Quando erano solo una giovane coppia, i due protagonisti avevano fatto un patto: dopo essersi finalmente disintossicati dall’eroina, non avrebbero mai visto l’altro morire. Molti anni dopo quella promessa, una cartolina, ricevuta all’improvviso in quella stessa casa sulla collina dove aveva vissuto con lei, condurrà lui prima a Barcellona, e da lì in tanti altri luoghi alla ricerca della donna che ama. Non sarà semplicemente un viaggio esplorativo, ma un profondo percorso interiore che lo porterà ad affrontare le sue paure più grandi, oltre a permettergli finalmente di fare pace con i fantasmi del suo passato.
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Non si erano parlati per tutto il tragitto. La strada era lunga, il tassista girava mille stazioni radio e guardava spesso nello specchietto cercando un dettaglio o uno strano modo di fare per perdersi in una qualsiasi chiacchiera. L’immagine riflessa non diceva nulla e nulla lasciava. Lui era così.
Maneggiava un piccolo libro di cui non avrebbe letto che la prima pagina: “Al mio amato papà, Giulia”. Lui era così, alzava muri invisibili. Non era il vizio di un vecchio apatico, rancoroso o bastardo; inconsciamente sfidava le persone e spartiva chi era dentro o fuori dal suo interesse. Amava sentire le storie, non le chiacchiere. Soltanto sugli ultimi tornanti abbassò la guardia.
«Non abita proprio in città, eh?!»
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Si scompose in un mezzo sorriso, poi ritornò alle sue cose. Tra poco sarebbe tornato a casa. Il suo senso della mancanza si spartiva tra due sponde: lasciava la figlia e tornava dalla moglie.
L’auto si fermò in fondo alla scalinata bianca, non poteva salire dove la collina non lo faceva più. Solo la casa, solo una sponda della mancanza. Tirò su la borsa e cominciò quei duecentotrentaquattro scalini; duecentotrentaquattro come ogni volta che saliva, come ogni volta che li contava, passo passo, ma quelli erano sempre duecentotrentaquattro. Lo spazio non cambia, il tempo lo fa.
Duecentotrentadue, duecentotrentatré, duecentotrentaquattro… Sospirò anche col pensiero e si prese un attimo per chiedere al vento di mettergli un po’ d’aria in più nei polmoni.
C’era il silenzio e questo era normale; tutto quello che aveva cercato era la tranquillità e il silenzio è un buon compagno. Nei vasi e nel giardino del cortile c’era solo la terra e anche questo era normale; a una certa età, la schiena non regge e ci si abitua a non sentire più l’odore di gelso. Ci si abitua a dormire meno, a stancarsi prima, a prendere medicine e a vedere che i figli sono cresciuti. Tutto normale, lentamente.
Un solo giro di chiave e solo un istante: l’aria si era svuotata di quell’odore che da anni dava il senso di casa a quel blocco di cemento sulla collina. Un frutto senza polpa o una notte senza il buio; ci sono le stelle e la luna da guardare, ma è il buio che ti racconta la notte. Questo non era normale, ma inevitabile.
Sapeva bene dove andare, era un accordo vecchio di quarantadue anni e di cui non si era mai dimenticato. Sperava in un errore delle sue percezioni, forse il viaggio e le scale lo avevano stancato. Tutte paranoie… si stava sbagliando. Non gli sembrava giusto trovarsi da quel lato di una scelta così vecchia. Il cuore gli schizzò fino a sbattere col cervello e tutto il corpo si scosse: i pensieri tremavano sulle gambe, un miscuglio insano di emozioni scivolava tra gli occhi e i piedi pesanti. Il respiro si smorzava tra la gola e la pancia.
Si diresse verso la camera da letto galleggiante su quell’aria vuota. Era un bambino di settantatré anni che avrebbe preferito tenere gli occhi chiusi tutta la vita piuttosto che controllare se ci fossero mostri nascosti sotto al suo letto. La busta era dove avevano deciso, ma anche dove non avrebbe mai voluto trovarla.
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