Attraverso le voci di molteplici narratori e personaggi, in questo romanzo etnostorico seguiamo le vicissitudini degli Achuar – un piccolo gruppo etnico dell’Amazzonia peruviana – tra il XIX e il XX secolo. Assistiamo, così, a guerre tribali, migrazioni, commerci, asservimenti, epidemie, crisi sociali, predicazioni missionarie, meticciato, politiche assimilazioniste: un itinerario che sembra terminare tragicamente quando una compagnia petrolifera invade il territorio indigeno. Questo lungo percorso trasforma profondamente la società e la cultura indigene ma, nonostante tutto, gli Achuar si rivelano ancora capaci di far valere le loro ragioni e di progettare un futuro nel quale la modernità entri a far parte della filosofia di vita che Itsa stesso, il Sole, indicò loro all’inizio dei tempi.
Tra il 1982 e il 1986, poco dopo la laurea in Antropologia, ho partecipato come volontario in servizio civile a un progetto di cooperazione e solidarietà internazionale nell’Amazzonia Peruviana. Inizialmente, il mio compito era realizzare una ricerca sulla medicina degli Achuar che aiutasse a creare un qualche dialogo tra gli indigeni e il servizio di assistenza sanitaria di base fluviale che li aveva in carico. Col tempo, però, sono passato a facilitare il processo di organizzazione politica delle comunità achuar sui temi, decisivi, del riconoscimento della personalità giuridica e della titolazione delle terre. A margine di quel mio appassionato impegno come antropologo “dalla parte degli indigeni”, ho raccolto una grande quantità di informazioni sull’etnostoria e il processo di cambiamento socioculturale nel quale gli Achuar erano da tempo coinvolti. Da questo materiale, pensavo, avrei ricavato una monografia.
Oggi, con tutto quello che gli Achuar hanno passato in quarant’anni di invasione da parte delle compagnie petrolifere, del mio attivismo di allora non credo si ricordi più nessuno. Del resto, la monografia che mi ero proposto di scrivere non l’ho mai completata. Il mio contributo allo studio antropologico degli Achuar è consistito in una mezza dozzina di saggi che hanno avuto scarsa diffusione e poco impatto accademico. Non così sul piano della mia vicenda personale: anche se nel corso della mia lunga e diversificata carriera di antropologo nello sviluppo non mi sono certo mancati altri incontri etnografici ugualmente sorprendenti e coinvolgenti, quella prima lunga esperienza di campo, tanto esotica e avventurosa quanto tormentata e sofferta, mi continua ad accompagnare giorno per giorno nel cammino e nei casi della vita.
Continua a leggere
Questo libro, che tratta della storia degli Achuar (in particolare, del sottogruppo stanziato in territorio peruviano nel bacino del fiume Huasaga) tra i primi e gli ultimi decenni del ventesimo secolo, è dunque il prodotto di un duplice esercizio della memoria: il ricordo vivido e ancora attuale di luoghi, modi, suoni, ritmi, parole e soprattutto persone (gli áints del titolo) dei miei anni amazzonici, da un lato; e, dall’altro, una rivisitazione di personaggi, eventi e situazioni dei tempi andati dei quali gli Achuar mi hanno parlato e dei quali avevo preso nota, che ho poi incorniciato in una cronologia scandita dai documenti d’epoca e dalle testimonianze orali di anziani missionari e commercianti fluviali a riposo. Ho infine lasciato che l’immaginazione si appropriasse di questo materiale e, colmando le lacune con la finzione, lo ordinasse in una narrazione adagiata sulla terra di nessuno che separa una ponderata ricostruzione storiografica da un romanzo storico ben documentato.
In tutto questo non c’è niente di nuovo né per l’antropologia, che da lungo tempo include a pieno titolo il romanzo etnografico tra i suoi registri stilistici, né tantomeno per la letteratura, specie per quella latino-americana, e ancor più per quella che si ispira al mondo indigeno. Collaudati sono anche gli artifici di genere che ho utilizzato per mettere in scena la cultura achuar e i suoi molteplici adattamenti e cambiamenti nel corso del Novecento: la collocazione della micro-storia indigena nel quadro dei grandi avvenimenti mondiali e nazionali di quel secolo; la giustapposizione dei punti di vista (nella narrazione, quello achuar, predominante, è contrappuntato da osservazioni e giudizi di commercianti, militari, missionari, antropologi); la caratterizzazione etnopsicologica dei personaggi, che sono tutti ricalcati su persone reali – áints e non – che ho avuto modo di conoscere e con cui spesso ho poi intrattenuto un’amicizia; l’impiego nei dialoghi di argomentazioni e forme retoriche proprie della lingua achuar e del dialetto spagnolo regionale (nonché di un buon numero di lemmi indigeni e vernacolari, con i quali spero che il lettore possa facilmente familiarizzarsi, grazie anche al glossario che ho accluso in fondo al testo). Di mio, ho cercato di aggiungere a questa ricetta, propria della novela indigenista, un montaggio della narrazione che intende essere cinematografico (o meglio, da fiction televisiva), e non poche concessioni all’azione e all’avventura.
La scrittura di Áints è stato un processo lungo e discontinuo. L’ispirazione iniziale mi è venuta dieci anni or sono, redigendo un testo destinato a un libro di letture per le scuole indigene dell’Amazzonia Peruviana, che verteva appunto sull’etnostoria achuar. Tre anni fa ho messo insieme una prima stesura del romanzo in spagnolo, pubblicata a fine 2018 da Abya Yala (Quito). Colleghi e amici che hanno letto quell’edizione mi hanno incoraggiato a farne una versione italiana. Ho dedicato a questo compito i giorni scuri del lockdown del 2020. Ho poi sospeso, un po’ per stanchezza e un po’ per noia, per riprendere e portare a compimento il lavoro solo in questa primavera-estate del 2021.
Áints ha un inestimabile debito nei confronti di molte persone. Prescindo qui da autori e opere che sono stati fonte di ispirazione o informazione. Mi limito a ricordare quanti hanno letto, commentato e corretto questo manoscritto italiano o alcune delle sue parti: Antonino Colajanni, il compianto Alberto Sobrero, Laura Faranda, Maurizio Gnerre e Alessandro Simonicca, tra gli specialisti; e mio figlio Dylan, Donatella Fimiani, Fulvia Motta e Pietro Bartoleschi tra i non antropologi, ai quali questo libro è ugualmente destinato.
Áints è dedicato a quattro persone, prematuramente scomparse durante la sua ideazione e scrittura, che mi hanno accompagnato nell’esperienza all’origine del libro e, per questo, appaiono a vario titolo nel racconto: Benjamin Chumpi Tiutar, il brillante maestro bilingue, protagonista della terza parte; Pedro “Perico” Garcia Hierro, l’avvocato spagnolo che ha speso la vita ad assistere le organizzazioni indigene dell’Amazzonia Peruviana e interpreta un cameo nell’ultimo capitolo; Massimo Amadio e Lucia d’Emilio, tra i maggiori esperti di educazione interculturale bilingue in America Latina, che sono stati miei compagni di progetto e come tali si affacciano in quello stesso capitolo.
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.