Non parlava ad alta voce, lei sussurrava. Faceva attenzione a non essere sentita e urlava solo quand’era sola.
Lei non vedeva il mondo come lo vediamo noi, lei lo vedeva al contrario. Noi lo giudichiamo, è naturale, noi ci facciamo un’opinione di esso e di ogni cosa che gli appartiene. Lei si faceva giudicare. Lei riceveva dal mondo i suoi giudizi.
Non deve essere facile, sa?
Sentire tutte quelle voci ogni secondo. Non deve essere facile credere a ognuna di esse. Guardi che non sono mica gentili e carine loro! Le voci. Nossignora!
Sono cattive. Sono stronze. Senza pietà.
Loro parlano tutto il tempo, a tutte le ore… non mi lasciano neanche dormire o mangiare in pace.
Sono parole sue e quando me le disse aveva il terrore negli occhi, quegli occhi stanchi che ora non riesco a dimenticare.
Che poi succede che se non le ascolti iniziano a urlarti nelle orecchie finché non cominciano a uscire fisicamente dalla bocca delle persone che prima ti giudicavano solo con gli occhi; e se invece le ascolti finisci per pensarle tu stesso, allora non sono più giudizi o opinioni, ma pensieri tuoi. E se sono tuoi allora sono ancora più potenti, sa?
Ma lo so cosa vorrebbe che io dicessi. Guardi che non sono stupido, lo so cosa vorrebbe sentirsi dire, così chiudiamo questa storia una volta per tutte e lei può finalmente tornare alla sua vita e il mondo potrà finalmente andare avanti.
Però, vede, se io non ascoltassi quelle vibrazioni stonate anche questa volta, allora… allora diventerei una di quelle voci che erano nella sua testa.
Che poi, diciamoci la verità, non erano solo nella sua testa.
Lei l’ha vista. E quando l’ha vista, nella sua mente è nata istantaneamente quell’idea che poi non si leva più. Lei, come ho fatto anch’io la prima volta che ho visto quel volto tanto unico, l’ha giudicata subito e il problema del giudizio che nasce da quell’accordatura è che non è affatto un giudizio ma un pre-giudizio, e i pregiudizi non se ne vanno. Mai.
I pregiudizi appartengono alle esperienze passate della persona stessa. Ce li portiamo dietro inconsapevolmente e dirigono la nostra vita drasticamente eliminando così tante possibilità, occasioni ed esperienze… ci pensi un secondo.
Le giuro che se io fossi stato un altro, quando l’ho incontrata la prima volta, avrei sicuramente scelto di non parlarle affatto. E se così fosse stato, adesso noi non saremmo qui a discuterne. A discutere di lei e forse lei lo preferirebbe, però io… io non so.
Non so se preferirei non essere qui.
Non lo so se preferirei non averla mai conosciuta così tanto quanto effettivamente l’ho conosciuta…
Anche se… se ci penso ora, dopo che l’ho conosciuta, credo che l’avrei voluta conoscere un po’ prima. Forse quando ancora vedeva il mondo nel verso giusto. E anche di questo sono convinto: che ci sia un verso giusto e un verso sbagliato di vedere le cose.
Di vedere se stessi e gli altri.
Non il nostro, no di certo! Però neanche il suo.
Il verso giusto è quello che non fa male a te e neanche agli altri.
Il verso giusto è quello che non si percepisce, né da fuori né da dentro; quello che non pizzica nessuna corda e che non vibra in nessun modo. Quello che non ha giudizi né pregiudizi con sé. Però così facendo si torna al problema principale. Quello che poi ci ha portati qui tutti e due, incollati a queste sedie in una stanzetta tanto piccola quanto angusta, tanto a ribadire che quell’accordatura poi contagia tutto ciò che facciamo.
Non mi dica che non è vero. Ha scelto questa piccola stanzina perché lei ha già una risposta a quella domanda che mi ha fatto, e tutto sommato posso dire che ha azzeccato anche la mia risposta, considerando che quando sono entrato non mi è sembrato affatto strano; né di trovare lei né tantomeno di trovare una stanza con le pareti spoglie e di un grigio smorto alquanto deprimente.
Però… come stavo dicendo, i giudizi, quando poi diventano pensieri, fanno ancora più male, e diventa quasi impossibile scappare. Però, lei forse questo non lo sa, nonostante le sue dieci lauree appiccate a quella parete smorta, che i pensieri poi non restano pensieri.
No. Diventano qualcosa di peggio. Ma prima di essere pensieri o giudizi, prima sono sguardi.
Eh, già!
Lei questo non lo sa ma quei pensieri lì, quelli che noi abbiamo pochissime volte, direi mai ma sarebbe umanamente scorretto; quelli lì non nascevano nella testa sua, ma negli occhi di qualcun altro e sono pronto a giurare che quegli occhi lei li filtrava al contrario con giudizi molto spesso negativi; ma in realtà quegli occhi non la vedevano neanche, perché ognuno ha i suoi nodi nella testa e non vede sempre tutto e tutti. Eppure lei, quegli occhi disattenti che non la vedevano neanche, li percepiva malevoli perché era nella sua natura percepire il mondo al contrario. Non per cattiveria o mania di protagonismo. Nossignora! Mi creda. Li percepiva così perché così era la sua accordatura mentale!
E se le corde sono stonate, allora tutto viene suonato stonato, persino lo sguardo di chi non ti vede; ed è così che quegli occhi diventano sguardi, e quegli sguardi giudizi, e quei giudizi pensieri.
Come può ben vedere, è tutto nella sua testa, e non si può far niente, che i pensieri son difficili da sradicare poi!
Ti iniziano a martellare nella testa che è un casino. Un ticchettio continuo che distrarrebbe e infastidirebbe chiunque, anche noi.
Avrà anche capito che, se si vive costantemente con quel ticchettio in testa, esso ti porta inevitabilmente a cercare di fermarlo o farlo affievolire in qualche modo; ma perché questo accada si ha la convinzione che ce lo si debba levare dalla testa, e allora lo si sposta nella gola. Ma ci pensi un po’: come può un ticchettio esistere in gola dove non ci sono orecchi per ascoltarlo come invece ci sono nella testa?
Non può!
Ah, so bene cosa pensa: Allora è risolto!
Eh no, non è che muore così facilmente lo sguardo degli altri, perché il ticchettio non è ancora diventato pensiero, che diversamente da come si crede i pensieri non risiedono nella testa. Nella testa c’è solo il ticchettio, ci sono le corde che vibrano, ma poi quelle vibrazioni scendono giù per la gola e nella gola prendono quel sapore tanto fastidioso di ferro, tipo sangue, e allora si irrita. Forse la si può definire tosse oppure mal di gola, ma bisogna sempre ricordarsi che in realtà non è affatto un sintomo fisiologico; perché poi non è nato da un virus ma bensì da un ticchettio martellante. Ma lei capisce bene che anche quel mal di gola è assai fastidioso, specie se non si può curare con qualche medicina o che so io! E allora ecco che scende ancora e finisce nel petto, nei polmoni, giù nello stomaco.
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