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Anche i figli son persone

Anche i figli son persone

La campagna di crowdfunding è terminata, ma puoi continuare a pre-ordinare il libro per riceverlo prima che arrivi in libreria

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Consegna prevista Novembre 2023

Cinque personalità, ognuna con la propria storia, con i propri dolori e le proprie gioie. Intrecciate tra loro da un legame viscerale inevitabile. Tutti sono restii a guardarsi dentro per affrontare i propri fantasmi, “mettere la polvere sotto il tappeto” è una forma di difesa, e poi lo fanno tutti, no? Che siano figli, fratelli o persone, che poi è la stessa cosa. Chi più, chi meno, si metterà in discussione in maniera critica. Cosa accadrà? La crisi per ognuno è spietata, le cadute saranno necessarie, ma si rialzeranno tutti? A volte la crisi può essere un bene, addirittura un dono, dipende dal proprio sguardo sulla vita, sulla propria. Edoardo, Luciano, Elisa, Rachele, Angela, uniti dallo stesso sangue, ma diversi allo stesso tempo, cadranno e reagiranno in modo differente. L’abbraccio fraterno riporterà un equilibrio essenziale come l’aria. Anche tu, lettore, sarai caduto sicuramente nella vita, ma ti sei veramente rialzato?

Perché ho scritto questo libro?

Mi serviva fare spazio, comprendere e comprendermi. Ho voluto sfogare dubbi, paure e dolori, capendo che le emozioni sono tutte importanti e vanno vissute, soprattutto quelle brutte. Questo libro è per me una tappa importante all’interno del mio viaggio, fatta di una creatività tutta mia, di emozioni, colori, musica e fantasia. Mi piacerebbe che tu, lettore, dopo l’ultima parola di questo libro ti fermassi a riflettere, su cosa? Facile, sulla persona più importante della tua vita: te stesso.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Pur essendo ancora presto aveva già chiuso finestre e persiane. Elisa era già pronta e attendeva comodamente seduta sul divano il messaggio di sua sorella Angela per scendere in strada. Se ne stava nel suo salotto fatto di poco arredo, curatissimo ed elegante, la tv sempre spenta ed un milione di libri ben ordinati nella libreria, tutti comprati e mai presi in prestito da amici o in una biblioteca. Era una sua fissa quella del possedere ogni libro che leggeva. Li acquistava, se li mangiava in pochi giorni e poi ogni settimana li spolverava. Essendo in anticipo, si mise a curiosare la vita degli altri su facebook, non aveva voglia di iniziare una nuova lettura, non era abbastanza concentrata, aveva li pronto ad aspettarla “Qualcuno con cui correre” di Grossman, ma non voleva immergersi subito in quella storia. Spense il cervello ed il suo pollice cominciò a far scorrere immagini, video e commenti come se avesse vita propria, vide mille e più cose e nessuna le rimase in mente. Era quello che voleva, leggerezza e superficialità al termine di una giornata di lavoro. In più, essendo venerdì, pure la settimana lavorativa era conclusa, il peso dello stress stava lentamente calando, come il levarsi dalle spalle uno zaino pesante dopo una lunga e faticosa camminata in montagna. Non doveva neppure cucinare, quella sera avrebbe cenato con i suoi fratelli, un altro sospiro verso il relax.

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Anche se non ce n’era bisogno, essendo in perfetto orario, visto che il ristorante non era troppo lontano e non sarebbe di certo scomparso per un eventuale ritardo, Angela conduceva comunque la sua minuta Smart come se avesse tra le mani una Maserati, abituata com’era a correre tutti i giorni da un ufficio ad un altro cantiere in perenne ritardo. Quella guida folle, da esigenza era diventata una caratteristica personale, poco amata da chi le stava accanto ogni volta. Non lesinava neppure ingiurie verso gli altri automobilisti, ciclisti e pedoni, ne aveva una per tutti. A volte ci andava pesante e conoscendola, fuori dalla guida, nessuno l’avrebbe mai detto, nemmeno lei. Pacata, corretta, metodica e precisa; questa era invece l’Angela conosciuta da tutti. Fu lei stessa a volere la cena di quella sera con tutti i fratelli e le sorelle, faticando non poco. Anche perché, seppure il desiderio di rivedersi era sentimento di tutti, molteplici impegni incasinavano la perfetta pianificazione della serata, ma lei come sempre ce la fece, perlomeno ad organizzarla. Arrivata sotto casa di Elisa, accostò, spense la macchina ed inviò il messaggio già scritto in precedenza, prima di partire, alla sorella. Nell’attesa, controllò gli orari dell’ultimo accesso su WhatsApp degli altri fratelli confidando che non fossero in ritardo, notò che Rachele aveva nascosto quell’informazione e questo la fece innervosire un po’. Elisa arrivò subito, salì in macchina con la richiesta di una guida tranquilla, poi salutò Angela che partì tagliando la strada ad un ciclista, categoria che avrebbe eliminato volentieri da tutte le strade del mondo.

Uscì di casa a piedi, un po’ perché aveva tempo ed un po’ perché ne aveva voglia, una camminata poteva fargli solamente bene. L’estate era alle porte, lo sentiva dall’aria appena scese in strada sotto casa, ne ebbe la prova quando attraversò il ponte verso la città. I colori del cielo e del lago all’orizzonte erano i tipici di giugno. Luciano si fermò qualche secondo a godersi quella tiepida e piacevole brezza che gli spettinava i capelli. Ammirò le onde del lago che gli ricordarono lo sfogliare delle pagine di un libro di ricordi, di cari ricordi, si riempì gli occhi con quei colori che la natura gli regalava, quanto basta per rasserenarsi un poco, respirò il tutto e proseguì, aveva voglia di una birra in solitaria. Al bancone del pub trovò Gianni, un suo amico giardiniere che si stava facendo una birra post lavoro. Alla vista di Luciano, lo invitò a farsi una birra insieme; o meglio, alla vista di Luciano ordinò due pinte di Guinnes e indicò uno sgabello a mò di saluto/invito. “Birra in solitaria saltata”, pensò Luciano, però era piacevole chiacchierare con Gianni di tanto in tanto, quindi accettò l’invito volentieri, anche perché a dire il vero non c’era alternativa. Convenevoli, saluti, brindisi e giù il primo sorso di oro nero. Luciano si accorse subito che quella non era la prima pinta per Gianni, un po’ per il brillare degli occhi ed un po’ perché attaccò col solito discorso che gli faceva ogni volta che l’alcol gli toglieva i freni emozionali, l’incidente in auto che aveva avuto qualche anno prima, nel quale Luciano arrivò a soccorrerlo coi suoi colleghi Vigili de Fuoco. L’aveva liberato dalle lamiere proprio lui in persona, Gianni era felice di questo, che fosse stato proprio Luciano, ed era certo che la buona riuscita dell’intervento fosse dipesa appunto dal fatto che a liberarlo fosse stato un suo amico, ma non era proprio così la realtà. Luciano se lo ricordava bene, benissimo; quando arrivò sul luogo dell’incidente si accorse subito di conoscere l’uomo incastrato nella macchina che urlava per il dolore, ma come sempre il suo cuore si negò ad ogni emozione. Era una reazione automatica che subiva ogni volta che affrontava un intervento importante. Luciano diventava una macchina, un tecnico del soccorso, immune ad ogni urla o scena sgradevole, quindi Gianni o chiunque fosse stato non avrebbe fatto differenza, ma al suo amico lasciava credere il contrario. Luciano ne soffriva di questo, però non poteva farne a meno perché sul lavoro era perfetto, ma a volte, quando si trovava solo in casa, senza un motivo valido, si metteva a piangere senza darsi un perché. L’unica motivazione che si diede col tempo era che quei pianti fossero un pegno da pagare, una sorta di reazione umana, come un vaso colmo che strabocca di emozioni castrate, soffocate, per tanto, troppo tempo. Con la scusa dell’orario non accettò la seconda pinta di birra, lasciò dei soldi sul bancone divincolandosi dalle proteste di Gianni sul pagamento. Notò che gli occhi di Gianni da brillanti erano diventati lucidi, lo lasciò solo ed uscì dal pub. Era stata una bevuta un po’ pesantina, non era quello a cui aveva auspicato in principio sul ponte, guardò all’interno del locale dalla finestra e vide Gianni già con un’altra birra davanti a lui sul bancone, col capo chino. Luciano sospirò e si disse tra se e se che non poteva farci nulla, l’aveva salvato dall’incidente, ora non poteva fargli da psicologo, non spettava a lui. Così col suo alibi e la sua scusa Luciano riprese il cammino e sentendo lo stomaco brontolare pensò che aveva proprio appetito, era ora di cenare.

Sarebbe scesa alla fermata successiva della metro, stazione Garibaldi. Non ne vedeva l’ora Rachele, avrebbe finalmente fumato una sigaretta in attesa di suo fratello Edoardo. Uscita dalla stazione accese la sua Camel Blu senza guardare dove stava andando, infatti urtò una persona e la sigaretta cadde a terra, l’ultima del pacchetto naturalmente. Si bloccò sul posto impietrita, fino a quando sentì vibrare il telefono nella borsa; era un messaggio di Edoardo, avrebbe ritardato. Rachele ne approfittò per comprarsi un pacchetto di sigarette, così raggiunse un bar Tabacchi nelle vicinanze. Entrò e c’era parecchia gente, si mise in fila e la sua attenzione venne catturata dalla tv, trasmetteva un fermo immagine di Sofia Goggia, “campionessa mondiale di discesa libera” dicevano i sottotitoli, l’audio non c’era. Nella foto la sciatrice teneva il trofeo tra le braccia con un’espressione del viso stanca, ma al tempo stesso felice e soddisfatta, sembrava una madre nel primo momento in cui vede il proprio figlio subito dopo la nascita, quando il dolore e la fatica svaniscono alla sola vista della creatura tanto attesa, abbracciata come un trofeo. “Chissà se diventerò madre un giorno”, pensò Rachele, pensiero subito interrotto dalla commessa che richiamò la sua attenzione. Ancora prima di uscire dal bar aveva la sigaretta in bocca, appena fuori dalla porta l’accese prestando più attenzione rispetto a prima. Mentre esaudiva il suo bisogno di nicotina col primo tiro, ritornò coi pensieri all’immagine in tv, le sarebbe bastato un pizzico della soddisfazione provata dalla sciatrice, ma per il momento andava bene anche solo fumare, ed espirando il fumo che aveva nei polmoni si diresse verso una vetrina di scarpe che aveva notato prima di entrare nel bar.

Edoardo era sempre di corsa solo tra un appuntamento e l’altro, durante i suoi impegni invece non badava all’orologio. Anche questa volta, pur essendo in ritardo e consapevole che sua sorella Rachele lo stesse aspettando, lui incalzava coi suoi aneddoti più o meno veri alla vittima di turno, il Signor Minervini, possibile acquirente dei prodotti di Edoardo. La discussione era divagata su argomenti extra lavorativi, vista la stazza del Minervini, Edoardo optò per elencare ristoranti, trattorie, vini e pietanze, lanciando consigli, dritte e recensioni. Ci beccò, ed anche bene, l’imprenditore milanese era tutto orecchi ed acquolina, ed una volta cotto a dovere, sfrecciò la sua offerta per gli arredi da ufficio che aveva in vendita, e continuando su un’area distesa e serena da trattoria il colpo era fatto, in pochi minuti ottenne contratto e firma in calce. Con una forte e decisa stretta di mano, un sorriso stampato alla segretaria all’ingresso, finalmente se ne uscì da quel posto tirando un sospiro di sollievo compiaciuto, e soddisfatto di se stesso. Mentre il suo ego spadroneggiava nella sua testa, il raziocinio gli ricordò di sua sorella, poi la vibrazione del cellulare confermò il suo presentimento. Rachele lo stava chiamando, da almeno quaranta minuti. Rispose senza salutare ripetendo solamente

«arrivo, arrivo, arrivo, …» tra un insulto e l’altro della sorella.

Rachele era ferma in piedi a bordo strada, bella che era impossibile non notarla, aveva un sacchetto in mano e l’espressione scocciata, salì in macchina ed Edoardo le chiese che scarpe aveva comprato, lei gli rispose che a quell’ora dovevano essere già a Lecco, chiudendo la frase con un «coglione!».

Passarono alcuni minuti in silenzio, nei quali Rachele restò fissa con lo sguardo fuori dal finestrino, senza in realtà guardare niente. Edoardo, dal canto suo, di tanto in tanto imprecava sottovoce contro gli altri automobilisti che non capivano la sua fretta e rispettavano cose tipo semafori rossi ed attraversamenti pedonali. Usciti dall’iniziale traffico caotico Edoardo si rilassò un attimo ed accese la radio; stavano trasmettendo la canzone “Come musica” di Lorenzo Jovanotti, «…la tua pazienza di perle, le mie teorie sull’amore…», Rachele volse lo sguardo dritto verso la strada. Edoardo cominciò a canticchiare sempre sottovoce, presero la superstrada, l’auto aumentò la velocità, Rachele sorrise, i due si scrutarono con la coda degli occhi ed al ritornello, a pieni polmoni ed a squarciagola, cantarono la canzone fino alla fine in un modo talmente stonato che li fece ridere di gusto. Una volta ripreso fiato, con le guance un po’ rosse ed il sorriso ancora stampato sul volto Rachele si rivolse a suo fratello.

«Sei un cretino!»

Edoardo di riflesso, senza lasciare lo sguardo dalla strada ribatté «Anch’io ti voglio bene!»

Continuò a guardarlo per qualche secondo, anche lei gli voleva bene, era vero, ma non glielo disse, rivolse di nuovo lo sguardo avanti, all’orizzonte si scrutavano già le montagne di Lecco, era da parecchio tempo che non le vedeva, ed anche quella volta, come tutte le altre volte, quella vista le diede un po’ di tranquillità. Non mancava molto, erano quasi arrivati, naturalmente in ritardo.

2023-03-31

Aggiornamento

A volte ci si prepara accuratamente per un appuntamento ma poi tutta questa preparazione va a rotoli per un sorriso o una frase. Sembrerebbe una disfatta, ma per me è un'emozione meravigliosa che ci sbatte addosso adrenalina pura. Ora Luciano vi spiegherà meglio:

Si sedettero mentre Paola continuava il suo monologo mattutino, della sveglia scarica, di sua mamma petulante, degli esami da preparare, di quella amica stronza, della gonna che non aveva trovato della sua taglia, troppo grande naturalmente; ed altre faccende che Luciano non riusciva ad afferrare, un po’ per la velocità dell’esposizione, un po’ perché nella testa cercava di mettere in ordine i passi del suo piano che, alla sola vista della “iena”, si erano mischiati ed ingarbugliati come una matassa impazzita. In tutto quel maremoto di parole, Luciano si perdeva negli occhi blu ed i biondi capelli dorati dell’affascinante logorroica che finalmente gli disse:
«Che fame! cosa prendi? Io cappuccino e brioches liscia, chiedi tu?»
Con fermezza e presa di posizione da buon maschio alpha di questa “cippa” Luciano ribattè
«Faccio io! ….vuoi il cacao?»
«Sì bravo!» rispose Paola con un sorriso che poteva benissimo sciogliere i ghiacciai più massicci della Groenlandia.
Al tavolo il tempo scorreva lento, accompagnato da una musica melodica che aleggiava ad alto volume solo nella testa di Luciano rincoglionendolo. Dietro il bancone c’era una barista super attiva, che viaggiava a cento all’ora come le parole di Paola, tra il fare, il pulire, il sistemare e il servire ogni cosa, stava pure alla cassa, e non perdeva un colpo. Filava tutto liscio, un mostro di bravura, se la mansione di cameriera fosse stata disciplina olimpica, questa ragazza sarebbe stata da podio. Luciano a fatica si guadagnò un posto buono al banco per poter ordinare, senza ottenere attenzione. Quasi si stizzì e se ne voleva andare, ma pensò che non fosse il caso perché era quello il locale adatto per il suo scopo, era quello il momento giusto, doveva solo stare più calmo e ponderare bene le parole che si era messo in mente, dirle bene e correttamente, poi quello che sarebbe successo nessuno al momento poteva saperlo. Doveva agire adesso, possibilmente con la colazione in mano. Provò a chiamare la barista, ma il rumore dei piattini, delle tazzine, della macchina del caffè e le conversazioni degli avventori con le loro grasse risate sovrastavano la sua richiesta.
«Scusa, scusa posso ordinare?».
Poi la barista si voltò verso di lui con uno scatto, guardandolo profondamente negli occhi tanto che il povero Luciano si sentì quasi nudo.
«Prego, dimmi!»
E lì niente più musica, niente più rumori, niente più avventori e tavolini, niente più freddo mattutino. Solamente tepore in petto e negli occhi l’immagine ripetuta lentamente, come una moviola, della cameriera che si girava verso di lui. Quel volto candido rimase indelebile nella testa di Luciano, prendendo il posto del suo tanto diabolico, quanto sconfusionato, piano “acchiappa Paola”. E lui come un tonto non rispose subito.
«Cosa prendi?» Incalzò la barista
«Due cappuccini e due brioches!»
«Lisce le brioches?»
«Ca-ca-o!» rispose Luciano aggiungendolo all’ordinazione, ma solo fra sé e sé aggiunse.
«Meravigliao!».
2023-03-25

Aggiornamento

Quarta pillola. Ve lo ricordate il giorno in cui vi siete accorti di non essere più piccoli? Di quando avete cominciato a vedere il proprio corpo in un altro modo? A tutti sarà successo, anche a Rachele, in un modo, come dire...beh cominciate a leggere questo piccolo estratto. Con una fretta incomprensibile rifiutò il passaggio in macchina verso casa proposto da Simona preferendo fare due passi. Non distava molto casa sua, dieci minuti a piedi erano sufficienti. In quei pochi minuti Rachele prese piano piano coscienza dell’accaduto: quella carezza così intima e quel bacio rubato da “ko tecnico” l’avevano sconvolta tantissimo, avevano aperto in lei valvole che rilasciarono nel suo corpo un flusso di emozioni potentissimo. Ma lo shock più grande fu in bagno, allo specchio, dove conobbe la nuova Rachele, la donna. I suoi occhi erano diversi, non più la bambina innocente e pura, ma una donna giovane ed attraente. Quell’intimità e quel bacio erano desiderati ma non voleva ammetterlo a se stessa, li subì, non avrebbe mai preso l’iniziativa di sua spontanea volontà. A quel pensiero, mentre anche il suo passo cambiava, i suoi fianchi si addolcivano e tutto il suo corpo diventava armonico come una sinfonia classica. Di riflesso cominciò a sorridere, sorrise a se stessa, aveva la piena presa di coscienza di scaturire desiderio, di piacere, si sentiva come un frutto proibito e la cosa cominciò ad intrigarla molto.
2023-03-18

Aggiornamento

Terza pillola. Te lo ricordi il tuo primo bacio? A chi lo hai dato? com'è stato? Chissà come sarà andata ad Edoardo.
...Ma, calato il silenzio tra di loro, prese piede l’imbarazzo. Erano già talmente vicini da poter sentire i propri respiri aumentare, ma ancor di più potevano sentire il reciproco disagio e la vergogna per quella situazione. Fu forse quella condivisione di sensazioni che diede coraggio ad Edoardo, allungò la sua mano fino a prendere quella di Marianna che era un po’ sudata, poi la strinse piano.
«E adesso? Che si fa?» pensò Edoardo.
Passarono alcuni minuti, di silenzio, di prima intimità, qualcosa doveva pur succedere, stava passando troppo tempo e la testa di Edoardo cominciò a frullare.
«La bacio, la bacio la bacio la bacio……se non lo faccio pensa che figura di merda che farò…»
«All’uno la bacio», «tre, due, …»
...
2023-03-11

Aggiornamento

Seconda pillola. Il colpo di fulmine esiste? Non esiste? Vi è mai capitato? Secondo me è magia pura, quando si è vulnerabili a questo meraviglioso inciampo. ...il treno arrivò alla stazione di Monza e Federica, con la stessa fretta e goffaggine che la contraddistinsero nella partenza, fece per scagliarsi verso l’uscita. Nella fretta le cadde il portafoglio dalla borsa, ed in un movimento simultaneo le due nuove amiche si chinarono per raccoglierlo, ognuna ignara che lo stesse facendo anche l’altra. Quando involontariamente le mani si toccarono, le due alzarono gli occhi ed i loro sguardi s’incrociarono, quella prima scintilla nata al tatto diventò un fuoco indomabile, caldo ed avvolgente alla vista. Sbigottite balbettarono entrambe delle scuse, poi Federica, con quel poco di ragione che le rimase in zucca si accorse del rischio di rimanere bloccata sul treno ed in un baleno scese e subito si voltò verso il finestrino. Elisa era già lì, con la meraviglia dell’amore nel volto e la mano appoggiata sul vetro, come se volesse riprendere Federica e stringerla a sé. Federica alzò la sua mano in segno di saluto ed il treno riprese la sua marcia. Quello era stato il più bel paesaggio che Elisa aveva potuto ammirare dal finestrino del treno, Federica era la sua Ibiza...
2023-03-07

Aggiornamento

Ciao, ho deciso di regalarvi delle pillole sui personaggi, cominciamo con Angela, la più piccola dei fratelli. Saranno pillole esaustive? Forse la prima impressione su una persona non rispecchia la persona che è veramente, oppure si, chi può saperlo. Rimane la curiosità, quella droga che ci fa nascere in testa domande e a volte ci fa fare gli sbagli più meravigliosi della nostra vita. ...Oggi Angela è così, in continua sfida con qualcosa o con qualcuno, piena di obbiettivi e progetti, pianifica, affronta e supera, come in una catena di montaggio. Ha passato le fasi della vita a pieni voti, tutto al primo colpo, la scuola prima, con una laurea in Ingegneria Civile, ed il lavoro dopo, aprendo uno studio associato d’Ingegneria. Le amiche storiche da tutta la vita con le quali sparlare su tutto e tutti, e l’amore con basi solide. Programmare, razionalizzare un sentimento? Angela lo faceva, anche bene a detta sua. E chi poteva darle contro? Nessuno, assolutamente nessuno. Tutto filava liscio nella sua vita, tutto ben oliato, viveva col fidanzato in un appartamentino appena fuori Lecco, un buon lavoro gratificante sia professionalmente che economicamente, un bravo fidanzato accuratamente scelto e degli ottimi amici di cui fidarsi. La vita sociale era ben organizzata, quasi senza intoppi e cambi di programma, le vacanze prenotate per tempo in modo da risparmiare e scegliere la location migliore. Insomma, una noia mortale sulla carta, ma estremamente dinamica e appassionante nel reale...
18 February 2023

Lecco TODAY

Su Lecco Today si parla dell'esordio letterario di Andrea Stefanoni e del suo romanzo in campagna di crowdfunding, Anche i figli son persone. Ecco l'articolo completo.

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Andrea Stefanoni
Mi chiamo Andrea Stefanoni e sono nato in una Brianza con occhi puntati sul lavoro, sul senso del dovere e del vivere responsabile. Dopo aver studiato come geometra ho costruito case funzionali e resistenti, ma vedevo oltre i mattoni. Le persone che poi abiteranno quelle case saranno felici? Ero un Geometra empatico che ha raccolto tanta stima, ma pochi denari. Il tempo libero impegnato in altri lavori: volantinaggio, cameriere, lavapiatti, giardiniere, sommelier, artigiano. Tutte professioni molto pratiche.
Insomma, scrivere è stato un atto di ribellione verso la mia Brianza produttiva, quasi come William Wallace verso la corona inglese.
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