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Anche il vento è del mare

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Priscilla è una donna delusa, annoiata, proprio lei che ha sempre sognato grandi avventure. Dopo il tradimento del suo fidanzato non riesce più a scrivere un libro decente: alle sue storie mancano emozioni.
Spinta dal padre, parte per la Costa Rica e proprio lì, immersa in quei luoghi, dà vita al racconto di Alba, una giovane pirata imbarcata su un brigantino: il Dammi Vento. Anche lei, come la sua creatrice, vuole essere padrona della propria vita ed è alla continua ricerca di sfide che appaghino la sua sete di libertà.
La scrittrice troverà nel personaggio da lei stessa inventato l’ispirazione e il coraggio per dare una nuova rotta alla sua vita, verso una nuova avventura e forse un nuovo amore…

 

1. ALBA
Ci fu un tempo in cui il Mare scommetteva in modo particolarmente

cinico sul destino degli uomini. Essi infatti erano attratti dal suo spirito,

uno spirito brutale, generoso e al
tempo stesso avido. Il Mare consegnava loro grandi tesori e
infinita popolarità in cambio delle loro anime, ma era volubile

e poco bastava perché si prendesse i loro corpi e le loro vite,
inghiottendoli improvvisamente.
Questi uomini però, nessuno escluso, erano disposti a morire purché,

prima di farlo, avessero potuto assaporare quelle
ricchezze, ma soprattutto quella sfida che il Mare offriva loro.
Ho ascoltato ormai ogni storia su questi pirati, come meglio

vengono chiamati. Alcune persone osano credere che
essi siano dei cani, figli del demonio risputati persino dall’inferno.Continua a leggere
Continua a leggere

Alla fine anche a noi è piaciuto immaginare così, ma
sappiamo la verità. Noi siamo sì governati dal signore degli
Inferi, ma in realtà non abbiamo vere leggi: siamo solo fratelli
e figli di un padre chiamato Vento e di una madre chiamata
Mare. Sentiamo il richiamo di questa madre attratti dalle sue
infinite avventure e sentiamo la carezza di questo padre sui
nostri volti perché esso ci spinge verso la libertà.
Proprio la libertà è ciò che io stessa agogno di più. Per lei mi
sono imbarcata e per lei continuo a solcare le onde di questo
vasto e infinito mondo.
Non temo la morte, nessuno che faccia la mia stessa vita la
teme. Ogni mattina mi sveglio a bordo di questo brigantino e
assaporo la brezza leggera tra i capelli, gli spruzzi salmastri e
freschi sulla pelle.
Solo una cosa desidero oltre a questo.

2. PRISCILLA
Il sole splendeva alto nel cielo senza nuvole, brillante come
solo in quei luoghi sapeva essere. Era sorto da poche ore, ma
la calda temperatura di quelle terre si faceva già sentire.
Il Mar dei Caraibi, una distesa d’acqua magica, di un azzurro

scintillante e incredibilmente magnetica con i suoi improvvisi

cambi di colore. A Priscilla, mentre osservava quella
vasta e liquida vallata cristallina, altro non veniva in mente se
non di buttarcisi dentro, lasciandosi avvolgere dal suo tiepido
abbraccio salato.
Era partita il giorno prima dall’Italia, in direzione del piccolo

Stato della Costa Rica, nel Centroamerica. Negli ultimi
mesi gestire il suo lavoro non le era risultato semplice.

Diverse vicende si erano susseguite nella sua vita e a causa loro
aveva perduto la capacità d’inventare. Un assurdo “blocco
dello scrittore”, come continuava fastidiosamente a definirlo
il suo agente, l’aveva colta di sorpresa facendo sì che un baratro

infinitamente profondo iniziasse a risucchiarla. Di idee
ne aveva, e tante, ma non riusciva a elaborarle e finiva per
cancellare anche le poche righe che era riuscita a far apparire
sullo schermo del portatile.
Finché un giorno suo padre non le aveva suggerito di partire.

Era un uomo piuttosto attaccato alle sue origini e alla famiglia.

Mai si sarebbe allontanato dalla moglie e dalla figlia, ma
soprattutto mai avrebbe lasciato che la figlia si allontanasse
da lui. Insomma, la normalità veniva prima di qualunque cosa
insieme alla stabilità. Secondo lui era inutile rischiare, e il rischio

includeva anche la possibilità di abbandonare il proprio
Paese in cerca di avventura e di fortuna. Non che Priscilla non

ci avesse provato. La sua adolescenza era stata colma di questi

tentativi, ma erano tutti stati prontamente sabotati dal padre.

In compenso le aveva pagato un’ottima scuola e un’ottima

università perché potesse fare ciò che desiderava, ovvero
scrivere. Aveva finito gli studi e, ringraziando la fortuna, dopo
un paio di tentavi una buona casa editrice le aveva fatto un
contratto: da quel giorno altro non faceva che inventare

fantastiche storie viaggiando con la fantasia in mondi lontani ed
esotici, vivendo avventure mozzafiato e senza tempo. Così, la
sete di conoscenza e di ricerca del suo posto nel mondo si era
esaurita, rendendo soddisfatta lei e al tempo stesso il padre.
Perciò il suggerimento di partire risultò così stridulo alle
orecchie di Priscilla.
«Cosa ne diresti di andare per qualche mese lontano da
qui? Ti fai un piccolo viaggio e cambi aria. Pensaci, vedrai che
qualcosa salterà fuori.»
Con queste parole si era alzato dalla sedia e si era allontanato,

lasciando Priscilla nell’incomprensione più totale. Era
quella l’impressione che faceva alla gente? Una ragazza nel
fiore degli anni con una carriera appena iniziata, ma ormai
giunta al termine? No, non poteva essere così, non poteva apparire

così disperata fintanto da convincere il padre a farla
partire, lasciandola andare lontano da lui.
In ogni caso l’apatia era diventata parte di lei e l’idea di andare

via non le risultava poi così esaltante. Alla fine aveva accantonato

il consiglio del padre e aveva continuato a osservare lo schermo

del computer in attesa dell’ispirazione. Quando
però un biglietto aereo si materializzò sul tavolo del salotto
insieme a una valigia già pronta non ebbe altra via di fuga e
con un bacio, un sorriso e qualche raccomandazione i genitori
la spedirono in Costa Rica.
Perché scelsero proprio la Costa Rica le fu ben presto chiaro.

In quelle terre l’aspettava un amico del padre il quale l’avrebbe

ospitata e tenuta d’occhio per tutto il tempo della sua
permanenza. Ma non fu solo per questo motivo. Sapevano che
da qualche tempo Priscilla aveva in mente come soggetto del
suo prossimo libro i pirati, un buon testo impregnato di avventura

e libertà. Cosa c’era dunque di meglio se non trovarsi
immersa negli stessi paesaggi in cui questi lupi di mare avevano vissuto

qualche secolo prima, saltando da un vascello
all’altro, armati di sciabola e coraggio?
«Bene allora, che Mar dei Caraibi sia.» Tolto il grande cappello

di paglia e gli occhiali da sole, Priscilla si gettò nell’acqua

limpida e cristallina di un mare che non avrebbe mai
smesso di odorare di libertà e grandi avventure.

3. ALBA
Il sole splendeva alto nel cielo senza nuvole, brillante come
solo in quei luoghi sapeva essere. Era sorto da poche ore, ma
la calda temperatura di queste terre si faceva già sentire.
Il Mar dei Caraibi, una distesa d’acqua magica, di un azzurro

scintillante e incredibilmente magnetica con i suoi improvvisi

cambi di colore. Mentre osservavo quella vasta e liquida vallata

cristallina, altro non mi veniva in mente se non
di buttarmici dentro, lasciandomi avvolgere dal suo tiepido
abbraccio salato.
Il mio nome è Alba e sono imbarcata sul Dammi Vento da
ormai troppo tempo per ricordare con esattezza che giorno
fosse.
La mia infanzia fu uguale a quella di migliaia di altri bambini

orfani, venduti come schiavi per le grandi tenute di ricchi
e ingordi nobili. Però, a differenza di quei bambini, io fui

salvata e colui che lo fece risponde al nome di Máximo Carial. La
mia vita quel giorno cambiò rotta: se avessi dovuto servire un
padrone avrei servito Máximo, fino alla morte se fosse stato
necessario. Aveva ucciso l’uomo che quotidianamente infieriva

con la frusta sulle mie carni, poi si era dileguato nella notte,

senza voltarsi. Se fossi rimasta lì mi avrebbero accusata
dell’omicidio e sarei stata giustiziata all’istante. Così andai
via quella notte stessa e cercai il mio salvatore in ogni locanda
del paese sino a che non lo trovai, tra fiumi di rum e banchi di
prostitute, nel bordello del porto. Quando mi offrii di servirlo,

cosa che feci diverse volte prima di riuscire ad attirare la
sua attenzione, mi osservò a lungo e in silenzio, poi semplicemente

mi disse: «Ragazzo, sei arruolato. Raccogli i tuoi averi,
domani si salpa!». E tornò a ignorarmi inghiottendo sorsate di
rum. La mia risposta fu ancora più semplice, non avevo nulla
da raccogliere, ero già pronta a partire, anche subito se era il
suo volere, ma avevo ancora una cosa da precisare: ero una
ragazza e raramente chi nasce donna viene accettato su una
nave, pirata o mercantile che sia. La mente sottile di Máximo
però mi precedette: «Sai quali sono le regole, ragazzo? Le donne

non possono imbarcarsi. Quindi vai e divertiti questa notte
perché il viaggio sarà lungo». Con quelle parole capii che non
gli importava, si ricordava di me e sapeva bene che dovevo
fuggire dal paese se volevo godere della libertà che lui stesso
mi aveva donato.
La mattina dopo salpammo da Lisbona su di un brigantino
che di sicuro era rubato. Durante la traversata imparai molte

cose sul mare e su chi solca le sue acque. Prima di giungere alla

meta attraccammo due volte, la prima a Santa Cruz
de Tenerife per qualche fugace rifornimento e la seconda a
São Tiago de Cabo Verde. Da lì attraversammo poi l’oceano e
giungemmo finalmente a Hispaniola con una nave in più, uno
sloop battente bandiera spagnola che catturammo al largo
della piccola isola di Martinica.
Ora, il perché Máximo Carial si fosse imbarcato quel giorno da

Lisbona in direzione di Hispaniola, lui che agli occhi di
chiunque appariva tutt’altro che un disonesto pirata, era semplice:

il suo più caro amico, nonché fratello d’armi, il capitano
Ruperto De Vajos, era disperso da diversi mesi e lui, prima di
prendere nuovamente il largo alla sua ricerca, aveva battuto
ogni via della Francia e della Spagna fingendosi un ufficiale
della marina e svolgendo così ricerche il più accurate possibili.
La leggenda su quella strana e inaspettata scomparsa ovviamente

riguardava un ammutinamento e un tesoro rubato, ma nulla

di veramente tangibile avevamo tra le mani se
non il brigantino e lo sloop. Il primo passo da compiere fu
trovare la vecchia nave del capitano De Vajos, venduta dopo
il naufragio. Il Dammi Vento era un brigantino a palo che si
differenziava dagli altri per la sua stazza, grande e maestosa.

Imbarcazioni come quella erano più maneggevoli ed efficienti

grazie alla presenza di tre alberi invece che due: quelli di
trinchetto e maestra con vele quadre e quello di mezzana con
vele trapezoidali estese a poppavia degli alberi, ma soprattutto

erano veloci poiché sfruttavano a pieno le correnti del vento.

Ciò che però contraddistingueva il Dammi Vento da ogni
altro brigantino era la polena, solitamente mancante su quei
tipi d’imbarcazione. Una sirena di fulgida bellezza teneva in
mano una conchiglia dentro la quale soffiava con forza. Aveva
lunghi capelli sciolti nel vento, seni prosperosi e una sinuosa

coda che si immergeva per pochi palmi sotto la superficie
dell’acqua, giù per la prora, sotto l’albero di bompresso.

Ricordo che quando la vidi restai senza fiato, ma non solo io, anche
gli altri uomini che si erano imbarcati con noi in Portogallo
erano rimasti fermi sul molo in estasi davanti all’apparizione
del superbo Dammi Vento.
In pochi giorni Máximo vendette il brigantino e lo sloop in
nostro possesso e riacquistò il Dammi Vento con un’abile manovra

commerciale: con poche parole imbrogliò l’uomo che
da mesi ne era diventato proprietario, un mercante di pesci
più ubriaco che sobrio, consegnandogli una ridicola somma
di denaro.
Giunti alla Tortuga fu un gioco da ragazzi raccogliere altre

notizie sul capitano De Vajos. L’isola della Tortuga era il
più grande centro d’affari per un filibustiere, insieme a Port
Royal e ad altri pochi centri civilizzati del Mar dei Caraibi.
Una volta avute le informazioni ripartimmo in direzione delle

Bahamas, un complesso di isolotti dove le basse profondità
del mare risultavano una trappola per i naviganti inesperti.
Questo ovviamente non era il caso di Máximo.
Trovammo il capitano De Vajos su un isolotto sperduto,

abbandonato alla sua sorte. Non fu semplice fargli riprendere il
controllo di se stesso e del Dammi Vento, ma alla fine, grazie
alla grande amicizia che li accomunava, Máximo riuscì a far
tornare il grande capitano padrone della sua nave e della sua
vita. Una vita però fatta di sordida vendetta perché da quel
20
giorno solcammo i mari alla ricerca del traditore che per poco
non distrusse la vita del capitano. Obiettivo ultimo del nostro
navigare era scovarlo e ucciderlo, riprendendo ciò che di diritto

era di De Vajos: la parte sottrattagli del tesoro dell’Isola
del Cocco.
«Alba, cosa stai facendo lì impalato? Muoviti, il vento soffia,

spiega i controvelacci!»
Salvador Monac, il nostromo del Dammi Vento, mi aveva
urlato i suoi ordini e io non potei far altro che eseguirli, ma
prima inspirai a fondo l’ultima brezza di aria salmastra e

abbandonai, momentaneamente, l’idea di gettarmi nell’acqua
limpida e cristallina di un mare che non avrebbe mai smesso
di odorare di libertà e grandi avventure.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

Commenti

  1. (proprietario verificato)

    Un libro che sa di mare!!! Una lettura piacevole e scorrevole!

  2. (proprietario verificato)

    Ottimo libro. Lettura molto piacevole, consigliato!

  3. (proprietario verificato)

    Un libro da leggere tutto di un fiato…una storia avvincente e coinvolgente…un libro inusuale dove il mare e l’avventura la fanno da padrone, in altre parole Gaia in questa sua seconda esperienza editoriale riesce a far sentire il mare e l’avventura in una maniera veramente sublime! Complimenti.

  4. (proprietario verificato)

    Una piacevole compagnia mare avventura amori …un intreccio appassionante veleggiando per i mari del mondo…brava Gaia

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Gaia Gualla
GAIA GUALLA è nata nel 1992 a Piacenza, dove ha studiato e conosciuto la professoressa che le ha trasmesso la passione per la lettura e il teatro, in cui ha lavorato per anni. A Torino ha seguito corsi di scrittura e ora alterna quest’ultima all’attività d’ufficio. Anche il vento è del mare è il suo romanzo d’esordio.
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