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Animali da Guerra

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Dai deserti australiani ai mari gelidi del Nord Europa, l’uomo continua a scontrarsi con se stesso e con la natura, che spesso ha il sopravvento su di lui nonostante i danni che l’umanità le infligge.
Dalla lotta tra lupi e contadini in un inverno gelido all’arrivo degli emù a Campion a causa della siccità, i racconti di “Animali da guerra” sono storie di sopravvivenza, scontro, incontro e prevaricazione, tutti con uno stesso filo conduttore: narrare una faccia del conflitto.

T E R RA D I F RO N T I E RA

È una terra nera, arsa dal gelo, spaccata, ferita, serrata sui semi e sui germogli come le mani di un morto. Una terra scura, scintillante di ghiaccio, che solo secolari radici di alberi spogli, protesi verso il cielo quasi volessero graffiare con i loro rami scheletrici quel sole sempre coperto, riescono a schiantare. Una terra sferzata da gelidi
venti in inverno che diventa una malsana palude brulicante di insetti durante l’estate, ma che è anche la loro terra.

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Contadini curvi sotto pesanti cappe di lana inzaccherate e luride per il fango affrontano la tempesta, affondano le lame smussate e arrugginite delle loro asce nei tronchi degli alberi, battendo i denti per il contraccolpo. Lavorano con lena, ma le deboli braccia di donne, vecchi e bambini non riescono a intaccare per più di mezzo pollice la dura corteccia. Stringono i denti, i tonfi sordi del metallo contro il legno si perdono nel vento.
Un albero cade, infrangendo come vetro il ghiaccio incrostato sulla sua corteccia. Le roche urla di giubilo coprono gli sbuffi del vento per un attimo. Stanotte saranno al caldo.
Le zampe scivolano, fanno male, quella cosa bianca brucia e morde, si infila sotto le unghie come le spine dei rovi, ma quelle fitte sono nulla, paragonate alla fame. Le sue narici sono coperte di piaghe e, tuttavia, continua a tuffarle in quella cosa fredda che graffia come un gatto selvatico, alla ricerca di un’usta.
Dall’ala sinistra del branco viene un ringhio e lui scatta in quella direzione. Hanno trovato un piccolo topo raggomitolato nel suo buco e se lo contendono.
Rallenta, alza le orecchie, non ha intenzione di sprecare le sue energie, il topo verrà divorato prima del suo arrivo. Si ferma, osservando la coda della piccola arvicola scomparire nella nera gola dell’alfa che drizza la coda e arruffa il pelo. Immerge ancora il naso nella neve e continua a cercare.

2023-05-25

Aggiornamento

Il mare inghiottì tre dei suoi uomini in un battito di ciglia, senza che lui potesse accarezzarli con una bestemmia per spronarli l’ultima volta. Un lampo fece ghignare il cielo e una smorfia attraversò il suo volto mentre, sferzato dalla pioggia e dalla grandine, afferrava la ruota del timone. Il legno ringhiò e i suoi denti cigolarono ma, la nave più veloce mai costruita, continuò la sua precipitosa corsa verso il maelstorm che si era schiuso dinnanzi a lei come una bocca d’inferno. Il capitano ululò blasfemo mentre le nocche gli diventavano bianche, i polpastrelli rossi e i tendini dei suoi avambracci robusti si sfilacciavano come sartie in un uragano. Altre quattro anime furono strappate dal ponte dai cavalloni e, schiumante, l’uomo di mare si rivolse alle onde, ritto statuario come una polena “In te sono nato e in te morirò ma non mi piegherò alla tua frusta! Lanciami addosso tutto quello che hai, sputami addosso tutto il disprezzo che puoi scatenare! Io di qua non me ne vado maledetto! Non mi pieghi!”. Un fulmine accese l’albero maestro come un faro nella notte e, i pochi membri dell’equipaggio ancora sulla tolda abbandonarono i loro mestieri, inginocchiandosi per pregare. “In piedi cani! A Me! A me dico o il tormento delle fiamme di Satana non sarà nulla rispetto a quello che vi farò io all’inferno! La vostra anima appartiene a Dio, il vostro cuore alla lurida prostituta di un qualche bordello di terz’ordine, ma il vostro corpo, la vostra forza appartengono a ME!” ruggì il pazzo capitano, vomitando addosso ai marinai violenti improperi e poi, schiumante, senza lasciare il timone, rivolse al cielo due occhi di fuoco, febbrili “a che pro, a che pro mettere nel mio animo l’avventura e il mare aperto per farmi finire così!? Neppure tu puoi prendere la mia vita, non te lo permetto, non te lo permetto!”. Un onda più alta delle altre, nera come il fondo di un paiolo coprì le nuvole e, in quell’oscurità, l’uomo a capo della nave più veloce del mondo vide il suo riflesso. Pallido, rosso, feroce, un volto senza occhi gli sorrise con un ghigno ferino e predatore; il capitano tese la mano per allontanare quella visione e l’apparizione parve quasi squarciare con artigli pallidi e insanguinati il velo d’acqua che la separava dal mondo degli uomini. “Vai al diavolo!” urlò il marinaio e, scaricò la pistola che era riuscito a recuperare dal cinturone con una mano mentre, l’altra, ancora reggeva il timone. L’onda precipitò sul flyut, sghignazzando. Palingtrekken (anteprima non editata).

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Elia Russo
Trevigiano, classe 1996, nel 2012 è stato lo scrittore più giovane premiato del concorso Talenti per il futuro, traguardo ripetuto l’anno successivo. Nel 2018 è stato finalista al premio Chiara Giovani e al concorso Historica edizioni. Ha partecipato a vari festival culturali come Cartacarbone, Libiam e Suggestiones. Attualmente è tesista in Filologia e Letteratura presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia.
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