«Mi hai portato le immagini che ti avevo chiesto?» domanda con voce roca mentre le sue grasse mani sbattono sulla tastiera a una velocità ipnotizzante. Le sue scarpe da ginnastica si muovono nervosamente sotto la scrivania, catturando tutta la mia attenzione. «Sì, te le ho portate. Ho per caso sbagliato qualcosa?» I suoi occhi stanchi si sollevano dallo schermo e mi scrutano dal basso. Rughe sottili contornano i suoi occhi e dei massicci baffi nascondono un sorriso prudente. «No, tranquilla, semplicemente non mi tornava molto il riquadro.» «Senti, ora che me lo fai notare, potresti modificare la trasparenza?» chiedo, indicando l’immagine. «Non ci sono problemi. Te l’abbasso un po’?» «Sì, facciamo un quarantacinque per cento.» «Okay, lascia fare a me.» «Ti ringrazio ancora!» «È un piacere lavorare insieme. Appena ho finito te lo faccio avere.»
Colma di imbarazzo, nascosta dietro un sorriso lo saluto e mi precipito all’ascensore. Approdata al mio piano, davanti alla porta di vetro satinato del mio ufficio, in piedi e in un particolare completo a scacchi c’è Alessio, il mio supervisore. «Ciao, Greta!» esclama pieno di entusiasmo. «Ciao, Ale! Aspettavi me?» «A dir la verità sono appena rientrato. Ti va un caffè?» «Volentieri, anche io torno giusto ora.» 10 «Dov’eri?» «Al quinto, il programmatore aveva bisogno di altre immagini.» «Avete risolto?» mi interroga, nascondendo un filo di preoccupazione. «Sì, sì… è stato molto disponibile.» «Meglio così, di solito i programmatori non lo sono.» Il secondo piano dell’azienda è adibito a enorme sala relax. Innumerevoli tavoli sono messi a disposizione di chiunque voglia prendersi cinque minuti di pausa e, a metà mattinata, nella zona bar vengono serviti cornetti e pasticcini il cui profumo invade l’intero piano, attirando tutto il personale. «Greta, il caffè senza zucchero?» La macchinetta si mette in funzione e l’aroma di caffè mi raggiunge con piacere. «Sì, grazie.» «Questa dovrebbe essere la tua ultima settimana di prova» osserva porgendomi il bicchierino fumante. «Già…» «Sei nervosa?» «Sì, abbastanza.» «È normale… ma dovresti stare tranquilla, hai tutte le carte in regola per rimanere.» Mentre bevo l’ultimo sorso, vedo una ragazza bionda entrare e Alessio alzare la mano per salutarla. Lei ricambia con un magnifico sorriso e si avvicina a noi. «Ehi, Ale, buongiorno!» «Buongiorno, Sofi. Come stai?» «Bene, tralasciando la giornata infernale che mi aspetta. Tu?» «Come sempre…» «Stai ancora lavorando a quel sito di cui mi hai parlato?» «Sì, mi sta facendo diventare matto.» «E questa bella mora che insisti a non presentarmi chi è?» domanda sorridendomi. «Già, scusami» si ammonisce, lanciandomi uno sguardo pieno di imbarazzo. «Ti presento Greta, l’ultima arrivata!» «Molto piacere, mi chiamo Sofia!» «Piacere mio!» «Non ti ho mai vista, è il tuo primo giorno di lavoro?» «Mmh, no, è l’ultima settimana di prova.» «Ah, sì? Scommetto che sei agitata!» «Da morire!» ammetto ricambiando il suo contagioso sorriso. «Scusa, Ale, perché non raggiungi Lorenzo e ci lasci fare salottino per altri cinque minuti?» supplica indicando qualcuno alle mie spalle. «Okay, okay. A dopo.» Alessio si allontana sorridendo e la conversazione tra me e Sofia si riaccende. «Coraggio, raccontami un po’ di te. Da dove vieni?» «Vengo da Bologna, mi sono trasferita da poco.» «Sei venuta su da sola oppure vivi con qualcuno?» «Sono sola.» «Sei già andata a fare un giro per il centro?» «Diciamo che un piccolo giro l’ho fatto, ma con questa metropolitana è un vero casino.» «Sì, non è facile… be’, fortunatamente adesso hai me. Se ti va, qualche volta potremmo andare a fare shopping!» «Mi farebbe molto piacere.» Sono già contenta di averla incontrata e consapevole che questa è la prima volta, da quando sono a Milano, che sento di poter stringere amicizia. «Di cosa ti occupi?» le domando incuriosita. «Io sono alla reception: accolgo i clienti, faccio da interprete e prendo appuntamenti. Fantastico, non trovi? Io ho studiato lingue e questo lavoro mi permette di parlare anche russo e cinese.» «Parli tre lingue?» «Cinque, a dir la verità.» «Sei un genio! Come hai fatto?» «Be’, è semplice. Mia madre è francese, quindi sono bilingue dalla nascita. Poi inglese al liceo, russo e cinese all’università. Per migliorarmi ancora di più ho trascorso due mesi in Russia e due in Cina.» «Cavoli, sono senza parole… io ci ho messo tutta la vita per imparare solo l’inglese!» «Vabbè, non sono mica andata sulla luna… mentre tu studiavi come mettere le mani su una tastiera, io studiavo come parlare altre lingue!» «Detto così sembra tutto molto facile. Hai studiato qui a Milano?» «No, sono di Milano ma ho studiato a Venezia.» «Ah, capisco. È molto che lavori qui?» «Saranno tre mesi. Ho avuto fortuna perché mi hanno contattata loro. All’inizio avevano bisogno solo di un interprete cinese, ma poi quando hanno letto il mio curriculum mi hanno proposto di lavorare qui e ovviamente ho accettato. Tu precisamente di cosa ti occupi?» «Sono una designer.» «Ah, come Ale! Quindi finisci di lavorare alla sua stessa ora?» «Sì, perché?» «Perché a fine turno ci ritroviamo sempre qui. Se ti va potresti raggiungerci.» «Volentieri! Grazie per avermelo detto.» «Perfetto. Ora devo andare, il signor Kuznetsov mi attende.» «Salutamelo!» scherzo, ricambiando il suo saluto con la mano. Sofia si allontana da me e, prima di uscire dalla stanza, saluta Alessio e il ragazzo che è con lui. Ha un eccezionale portamento, cammina sui tacchi come se stesse danzando sulle nuvole. Indossa un bellissimo vestito attillato color pesca che fa risaltare la sua carnagione chiarissima; i capelli biondi, un po’ mossi, le cadono fino a metà schiena e gli occhi sono grandi e neri. Dietro a tutta la sua bellezza mi sembra si nasconda una ragazza socievole e altruista. Getto il bicchiere e raggiungo Alessio. «… e questo è Lorenzo» continua sorridendo. «Piacere… Greta» balbetto, dopo aver incrociato lo sguardo glaciale del ragazzo. «Sì…» borbotta. Poi mi guarda e, come se fossi inesistente, si allontana. Non riesco a distogliere lo sguardo da lui mentre un’emozione ignota si fa strada nel mio profondo. «Sarà meglio che andiamo anche noi. Ci vediamo più tardi, Lore» lo saluta comunque, con la sua solita gentilezza. Capitolo uno Apnea 13 Lorenzo lancia uno sguardo al suo amico e annuisce. Anche io annuisco e, senza troppi convenevoli, seguo Alessio. Poco prima di lasciare la stanza mi volto inconsciamente per la seconda volta verso Lorenzo, incontrando con sorpresa i suoi occhi gelidi. Dedichiamo il resto della giornata all’impaginazione di un’enciclopedia di medicina. Il lavoro consiste nel posizionare foto di vetrini di qualcosa a me del tutto sconosciuto e affiancarle alle didascalie. Duecentotrentasette foto pressoché identiche. «Finito!» esclama Alessio sollevandosi gli occhiali e stropicciandosi gli occhi arrossati. «Era ora!» «Già, a un certo punto ho smesso anche di distinguere le foto.» «Vuoi che ti porti qualcosa?» «Non ti preoccupare. Grazie, Greta.» Dopo essersi sistemato gli occhiali nuovamente puliti sul naso, chiude il suo laptop e si alza dalla poltrona. «Sei stanca?» «Un po’… credevo che non saremmo mai riusciti a consegnarlo in tempo.» «Adesso cosa fai?» mi domanda stiracchiandosi sulla sedia. «Mi fermo a lasciare queste cose in ufficio.» Col PC e alcuni fogli in mano mi avvio verso la porta, quando Alessio mi ferma. «Non vieni in sala relax?» «Sì, vi raggiungo subito» commento ricordando con piacere l’invito di Sofia. «Ci vediamo giù, allora. Prima devo consegnare tutto a Camilla.» «Vuoi che glieli porti io?» chiedo per ricambiare la sua disponibilità. «Mmh… ma sì, dai. Dopotutto sei l’ultima arrivata, devo approfittarne finché posso!» Ridendo mi allunga il fascicolo del nostro lavoro e la USB con il progetto terminato. Raggiunto l’ascensore, mentre premo il pulsante di chiamata una domanda si fionda nella mia mente: Dov’è l’ufficio di Camilla?! Come un fulmine corro all’ufficio di Alessio nella speranza di trovarlo ancora là. Le mie aspettative vengono malamente deluse, la porta è chiusa e la luce al suo interno spenta. Motivata dalla volontà di portare a termine l’ultimo incarico della giornata, decido di salire piano dopo piano e scoprire con le mie forze dove si nasconde il misterioso ufficio. Il quarto piano, quello subito sopra il mio, ospita i fotografi, i loro uffici e i set fotografici. Il quinto piano so perfettamente che ospita i programmatori, quindi senza perdere tempo approdo al piano numero sei, dove scopro l’esistenza di ampie sale conferenze e altri uffici. Settimo e ottavo piano, altri uffici. Anche il nono piano custodisce una delusione. Sono incredula per non aver trovato nessuno a cui chiedere, e consapevole di aver salutato Alessio ormai dieci minuti fa. L’ascensore inizia a salire verso l’ultimo, ignoto piano. Sbuffando, scruto il mio riflesso nello specchio: quella che una volta era una crocchia adesso sembra un nido di uccelli. Sciolgo l’improponibile pettinatura e districo le lunghezze per rendermi almeno presentabile. La melodia che ho già sentito un po’ troppe volte negli ultimi minuti annuncia l’arrivo al decimo piano e le porte si aprono mostrandomi un lungo corridoio deserto, illuminato solo dalla flebile luce che fluisce attraverso una porta socchiusa. Nella speranza di trovare qualcuno in grado di aiutarmi, mi avvicino furtivamente e sbircio dalla fessura: la stanza è un vero caos. Molte palline di carta sovrastano il pavimento, la scrivania ospita cinque schermi che mi impediscono di capire chi vi si nasconda dietro, un profondo silenzio fa da sfondo a uno scenario immobile. Delicatamente faccio sbattere le nocche sul vetro della porta, senza ottenere risultati. Provo a bussare una seconda volta con più forza, ma anche a questo tentativo non ricevo alcuna risposta. «Permesso?» dico varcando a piccoli passi la soglia. Dietro i monitor riesco a intravedere una folta massa di capelli neri, lievemente ondulati. «Mi scusi, saprebbe dirmi dove trovo l’ufficio della signorina Matteoli?» chiedo timidamente, avvicinandomi. Solo adesso capisco che la persona che si nasconde dietro agli schermi è Lorenzo, l’amico di Alessio. Appena mi vede si irrigidisce e, fissando i suoi occhi su di me, si sfila le cuffie dalle orecchie. «Whole Lotta Love, Led Zeppelin» osservo, rimanendo in ascolto. Con un impercettibile ghigno sulle labbra, annuisce. «Scusa se sono entrata, ho provato a bussare ma…» Con il suo inquietante sguardo fermo su di me, tira le spalle all’indietro, raddrizzandosi sulla sedia. «Avevo le cuffie. Che c’è?» «Ehm… stavo cercando l’ufficio di Camilla, ma credo che non sia qui.» «No.» «Okay, scusa…» Immediatamente mi volto e mi avvicino alla porta, quando i miei occhi vengono attratti dalle chitarre adagiate sul muro. La tentazione ha la meglio e mi soffermo a osservarle con brama. Non avevo mai visto questi modelli così da vicino. Sono stupende. I miei sentimenti prendono possesso delle mie azioni, facendomi posare le dita sulle corde metalliche. Un brivido di piacere fluisce fino al cuore. «Gibson Explorer, Fender Stratocaster, Fender Jag-Stang… e il basso è un Warwick Corvette» sussurro emozionata. Un colpo di tosse mi riporta bruscamente con i piedi per terra. Lorenzo è dietro di me, vigile, a controllare ogni mia minima mossa. «Scusami!» esclamo mortificata, ritraendo la mano con rapidità. Il calore divampa dentro di me fino a farmi sentire la testa pesante e le guance paurosamente calde. «Scusami, davvero. Non avrei dovuto toccare la tua chitarra… ehm… adesso tolgo il disturbo. Scusami ancora» balbetto. A passo svelto e a testa bassa mi dirigo verso la soglia. Poi mi volto, sorprendendo Lorenzo davanti alle chitarre nello stesso punto di prima. Quando le porte del mio fedele ascensore si chiudono, mi appoggio alla parete e mi porto la mano sul petto, il cuore batte all’impazzata e tutto il mio corpo arde. Con la cartellina ancora stretta in mano inizio a sventolarmi e, sopraffatta, rimango a fissare i tasti dei piani. Chiudo gli occhi e ripenso al tour dell’azienda avvenuto il giorno del mio arrivo. La fastidiosa melodia torna a riempire l’abitacolo, cogliendomi impreparata mentre quegli ipnotici occhi glaciali tornano a penetrare i miei. Entra silenzioso, facendomi scivolare contro l’angolo senza via di fuga. Essergli così vicina mi suscita pensieri totalmente fuori dai miei canoni, un’emozione mai provata si forma dentro di me. Vedo le sue lunga dita premere il tasto numero uno e poi il cinque, facendomi sorridere. «Grazie…» Senza ricevere una risposta inizio ad ammirare la sua sagoma. È ancora più alto di quanto sembrasse, i capelli corvini sono leggermente lunghi e un po’ scompigliati, le spalle sono molto larghe e la giacca di pelle gli arriva perfettamente all’altezza della cintura. Lorenzo esce in silenzio, lasciandomi sola con il mio cuore scalmanato. Al primo piano vengo accolta da un ragazzo seduto dietro un bancone. «Buonasera, posso esserle utile?» «Buonasera. Dovrei consegnare questo alla signorina Matteoli… è il progetto per il signor Cornwell» lo informo porgendogli il lavoro. «Perfetto, lo stavamo aspettando. Adesso la signorina Matteoli non può ricevere nessuno perché è in videochiamata. Può lasciare tutto a me, ci penso io.» Nella speranza di trovare ancora Sofia giù in saletta, mi precipito nel mio ufficio e con furia raccolgo le mie cose.
CAPITOLO DUE
«Ehi, ce l’hai fatta!» Sofia mi saluta con estrema eleganza, scuotendo le sue esili dita per aria. Ricambio il suo sorriso contagioso e, ancora con il fiato corto, mi siedo accanto a lei. «Scusatemi se vi ho fatto aspettare, ci ho messo un po’ a trovare l’ufficio di Camilla.» «Mi dispiace, ti sei persa?» interviene Alessio ridendo. «Allora, Greta, cosa fai stasera?» mi domanda Sofia mentre giocherella con i capelli perfettamente acconciati anche dopo un’intera giornata di lavoro. «Non ho programmi. Tu?» «Senti, è tutto il giorno che ci penso: io non ho impegni, Ale nemmeno… perché non andiamo da qualche parte?» «Allora? Che ne dici, Greta?» chiede Alessio, prendendo posto di fronte a noi. «Io non conosco nessun locale!» scherzo. «Allora perfetto! Mentre aspettiamo la nostra rockstar, io e te potremmo andare in bagno a sistemare la carrozzeria» esulta scattando in piedi. «Magari entro domani…» borbotta il mio gentile supervisore. Il bagno è grande probabilmente quanto il mio appartamento e l’enorme specchio è illuminato da una forte luce fredda. Appoggio la borsa sul lavandino e, dopo essermi lavata le mani, estraggo il rossetto dal mio piccolo astuccio del make-up . «Accidenti, Greta! Sei uno spettacolo!» commenta Sofia facendomi arrossire. «Non è merito mio, ma del vinaccia. Vuoi provarlo?» «Ti ringrazio molto, ma credo che quel colore sia troppo scuro per la mia carnagione.» «Sì, forse hai ragione. Comunque, se volessi provarlo non esitare a chiedermelo.» «Grazie mille, sai! Mi piacciono veramente tanto i rossetti scuri ma quando li provo mi vedo ancora più bianca, mi fanno sembrare morta!» ammette strappandomi una risata. «Se posso dire la mia, il rossetto che avevi stamattina ti donava molto.» «È color corallo» dice orgogliosa. Quando raggiungiamo Alessio, vediamo che non è più solo, con lui c’è Lorenzo. Sofia si precipita da loro mentre io rimango imbambolata sulla soglia, ripensando a quanto accaduto al decimo piano. «Diciassette minuti e trentaquattro secondi, poteva andare peggio» commenta Alessio accennando una risata. «Ah ah ah… come sei simpatico! Allora, andiamo? Lore, vieni, vero?» Lorenzo annuisce e si alza in silenzio mentre Sofia continua a parlarmi. Raggiungiamo il parcheggio dell’azienda. «Come ci organizziamo? Io vado con Sofi, voi due cosa fate?» chiede Alessio. «Anche io sono con l’auto, quindi posso venirvi dietro» rispondo lanciando uno sguardo alla mia nuova amica. «Okay, allora ognuno con la propria» continua Alessio. Lorenzo stranamente si fa avanti, riemergendo da dietro le mie spalle. «Dove andiamo?» «Sofia voleva portare Greta da Norma. Ti va bene?» Lui annuisce e si incammina verso la sua auto. «Ecco il mio maggiolino rosso!» esclama Sofia. «Greta, segnati il mio numero di telefono.» Quando entro in macchina e infilo la chiave, esattamente come lo avevo lasciato, lo stereo fa partire la musica a tutto volume, catapultandomi di nuovo nel mio mondo. Stanca ma eccitata per la prima uscita in compagnia nella nuova città, faccio un lungo respiro. Una grossa Jeep si accosta a me e il suo finestrino oscurato si abbassa. Incuriosita lo imito e mi trovo davanti i glaciali occhi di Lorenzo. Abbasso il volume. «Black Label Society, All for you» commenta, e se ne va senza dire altro. Chiudo il finestrino, inserisco la sicura agli sportelli, alzo ancora di più il volume e come una ragazzina inizio a cantare: «All for you! All for you! All for you! Remote recollections of tranquility. Terror grotesquely becoming of me. Unnameable joy when our blood once ran true. Destroying myself now!». Parcheggio vicino al pub e mi incammino verso l’entrata. Sofia e Alessio sono già lì davanti e Lorenzo ha appena parcheggiato. Mentre passo accanto alla smisurata Jeep, riesco a sentire la musica che rimbomba al suo interno. Sorrido. Quando scende ho appena superato il muso e, con estrema naturalezza, mi volto verso di lui. «Megadeth, Rust in peace» commento divertita, e senza attendere una sua risposta raggiungo gli altri. Il nostro tavolo è rotondo e rialzato su un terrazzino, più riservato rispetto alle altre postazioni. Da qui è possibile vedere perfettamente sia il palco sia il bancone. La prima a sedersi è Sofia, alla sua destra si siede Alessio. Mi ritrovo tra la mia nuova amica e Mr. Iceberg. La cameriera ci raggiunge con quattro tovagliette di carta, le posate e i menù. Noto che la scelta è molto vasta, ma ciò che stupisce veramente è l’immensa varietà di vini disponibili. «Sofia, cosa consigli di prendere?» le domando. «Mmh, vediamo… come vino consiglierei un rosso di Bolgheri, magari un Bruciato. E da mangiare prenderò il taglierino con formaggi e affettati.» «Ottima scelta! Allora… questo tagliere Norma deve essere la fine del mondo!» «Però è per due persone» osserva Sofia. «Peccato…» Inizio a sviscerare il menù, anche se ormai quel preciso tagliere con tutti i suoi crostini ha rapito la mia attenzione. «Lo prendo anche io» borbotta Lorenzo. Incredula, mi volto verso di lui. «Davvero?» Come è solito fare, annuisce. Sofia, sorpresa tanto quanto me, gli lancia un’occhiata per poi fissare me con sguardo critico. Mentre aspettiamo le nostre ordinazioni, sul palco cinque ragazzi iniziano a disporre i propri strumenti musicali. «Perché mai un locale con questa qualità di cibo si ostina a ospitare gruppi a suonare? Saranno maggiorenni?» commenta Sofia. «Che te ne importa se sono o non sono maggiorenni? L’importante è che sappiano suonare» ribatte Alessio. L’arrivo della cameriera fa cessare la discussione. Solo dopo aver ottenuto il consenso di Sofia inizia a versare il vino in tutti i nostri calici e infine appoggia la bottiglia sul tavolo. Abbandona in fretta il nostro tavolo per poi ripresentarsi con tutte le nostre ordinazioni. Lorenzo posiziona il tagliere tra noi mentre io con aria preoccupata rimango a fissarne la grandezza. «E chi lo finisce?» sussurro tra me e me. Gli occhi glaciali si spostano dal tagliere a me, penetranti come aghi. Per evadere dal suo sguardo decido di assaggiare il crostino con i peperoni. Lui sposta il secondo crostino con i peperoni dal mio lato. «Non ti piace?» gli chiedo, un po’ intimorita. «No» borbotta bruscamente, dopo di che trangugia il crostino con salsiccia e formaggio fuso. Per ringraziarlo, gli cedo il medesimo crostino. «Non mi piace» mento. Il concerto continua. Dopo aver terminato gli inediti, la band si preoccupa di intrattenerci con alcune cover, partendo da Wonderwall degli Oasis. Con il calice di vino in mano, mi metto ad ascoltarli con attenzione, anche se in sottofondo sento ancora Sofia e Alessio discutere, questa volta sulla cameriera. Il chitarrista, tralasciando alcune imperfezioni, non è male, mentre gli altri stanno facendo un sacco di errori. «Allora, come ti sembrano?» mi domanda Alessio. Prima di rispondergli, afferro il tovagliolo e mi pulisco la bocca, ma una voce grave, proveniente dalla mia sinistra, mi precede: «Sono pessimi». «A me non sembrano così male!» ribatte Sofia. «Be’… non sono male» confermo. «Il chitarrista ha fatto una marea di errori, il bassista non sa improvvisare e il cantante pensa a seguire il testo e non presta attenzione ai suoi compagni. Più che un’esibizione mi sembra una gara a chi arriva prima.» «Non essere così severo. Sono giovani!» «Sono giovani, non stupidi. È vergognoso.» «Allora, rockstar, perché non li raggiungi?» Ignorando totalmente le provocazioni di Sofia, Lorenzo riprende a mangiare. «Con te non si può mai scherzare!» sbuffa lei. Offesa, afferra il suo calice e beve un lungo sorso di vino. Alessio, per salvare la situazione, inizia a raccontare alcuni aneddoti sul lavoro: l’arrivo di Sofia, come si sono conosciuti lui e Mr. Iceberg, il modo in cui tentò di sedurre Camilla il suo primo giorno di lavoro. «Vi giuro, quando poi mi disse che in realtà non era una segretaria, ma il capo, sarei voluto scappare il più lontano possibile!» «Ma allora fa così con tutti? Quando sono arrivata, il primo giorno, ha iniziato a parlarmi in un modo talmente odioso…» lo interrompo. «Anche con me lo fece. Appena entrai nell’azienda, mi corse incontro disperata perché aveva un cliente cinese con cui non riusciva a parlare. Dopo aver finito con lui, mi disse che ero assunta.» «Che donna fantastica! L’unico con cui non ha funzionato è lui» ci informa Alessio puntando il dito verso Lorenzo. «Perché?» domanda Sofia, talmente curiosa da non saper contenere i tic dei suoi tacchi. «Lore, lo racconto io?» gli domanda Ale. Con il consenso del taciturno amico, impegnato a finire di mangiare le cose che furtivamente ho fatto scivolare dal suo lato, con gran piacere inizia a raccontare: «Camilla gli andò incontro e iniziò a fare l’isterica, a lamentarsi delle stampanti, dei computer lenti e di tante altre cose. Lorenzo la zittì col suo tono di voce stile Robocop: “Non mi interessa se lei è frustrata, mi faccia solo vedere dov’è la mia scrivania”». Sofia, con la sua esile mano a nascondere la bocca piena di cibo, davanti alla scenetta improvvisata dal mio supervisore perde tutta la sua posa e inizia a ridere rumorosamente. «Oddio! Quanto avrei voluto vedere la scena! E poi?» «Dopo? Semplice, l’ha mandato in esilio.» Passiamo il resto della serata a ridere e chiacchierare, fin quando non restiamo soli all’interno del locale. «Ehi, Greta, ti è piaciuto tutto?» mi chiede Sofia. «Sì, moltissimo, ma ciò che mi è piaciuto di più è stato trascorrere la serata con voi.» «E dai, non dire così, ché mi emoziono facilmente!» Mentre lei si dirige alla toilette, io esco. Le uniche auto ancora presenti nel parcheggio, come mi aspettavo, sono le nostre. Dopo essermi chiusa il giacchetto, estraggo dalla borsa il pacchetto di sigarette, ne prendo una e la accendo. Quando rialzo gli occhi vedo che a farmi compagnia, ammesso che possa essere chiamata così, c’è Lorenzo. Dentro di me riaffiora la stessa, strana sensazione provata oggi pomeriggio. Un po’ titubante, mi avvicino a lui e lascio uscire dalla mia bocca un sussurro esitante: «Grazie». «Di nulla.» Al suono della sua voce un brivido mi percorre la schiena. Il suo sguardo pungente è fisso nel mio e mi fa sentire fin troppo vulnerabile. Un indesiderato sorriso si fa strada sulle mie labbra e poi, imbarazzata dal mio stesso gesto, mi metto a fissare il cielo nel disperato tentativo di calmarmi. Il vento invernale mi smuove i capelli e io mi sento una preda sotto gli occhi del suo carnefice. La cosa che più mi spaventa è che gran parte di me è attratta da lui, dai suoi occhi, dalla sua voce e dal suo essere un po’ strano e un po’ misterioso. A un tratto fischietta la stessa canzone che ascoltava quando sono entrata nel suo ufficio, cullandomi. Un enorme frastuono interrompe la melodia, cogliendoci entrambi impreparati. Mi volto e vedo che Sofia e Alessio, uscendo, hanno fatto sbattere la porta. Il meraviglioso viso della mia nuova amica è ora attraversato da massicce linee nere e gli occhi sono spaventosamente arrossati. «Ehi, Sofi, che succede?» «Scusa, Greta, è solo che…» singhiozza. Lancio un’occhiata ad Alessio, che con la mano destra tiene appoggiato un sacchetto di ghiaccio sulla spalla. «Allora, volete dirci cosa è successo?» «Scusateci, adesso è tutto sistemato. La porta del bagno dove era lei si è bloccata, non riuscivamo a farla uscire, per di più lei è claustrofobica. Appena l’ho sentita piangere… mi sono scagliato contro la porta per aprirla.» «Stai bene? Vuoi andare all’ospedale?» «Ma no, è solo una botta.» Istintivamente stringo Sofia tra le braccia. «Ehi, stai tranquilla. Adesso sei fuori… fai dei bei respiri profondi… vuoi andare a sederti un po’?» Mi risponde di sì con un filo di voce e la conduco alla panchina vicino all’entrata. «Respira, va tutto bene… vuoi una sigaretta?» le domando, senza nemmeno sapere se fuma oppure no. «Sì» farfuglia, asciugandosi con forza le lacrime. Prendo il pacchetto in borsa e glielo porgo. «Scusami, Greta… non avrei mai voluto rovinare questa serata.» «Spero tanto che tu stia scherzando, non hai rovinato un bel niente! Stai tranquilla, non è successo nulla.» «Sicura?» «Sicurissima.» Dopo aver atteso che finisse di fumare la sua sigaretta con calma, a piccoli passi l’accompagno alla sua appariscente auto mentre Alessio, con i suoi modi estremamente gentili, si appresta ad aprirle lo sportello. «Guidi tu, vero?» gli domando mentre aiuto Sofi a sedersi. «Certo, non preoccuparti» mi rassicura chiudendo lo sportello. «Ragazzi, grazie della serata. Adesso perdonatemi, ma devo portare questa fanciulla a casa. Ci vediamo domani.» «A domani, buonanotte.» Rimasti soli, io e Lorenzo osserviamo la macchina uscire dal parcheggio. «Be’, direi che la serata si è conclusa» affermo sospirando. «Già…» mugugna. In silenzio ci dirigiamo verso le nostre auto posteggiate l’una di fronte all’altra. Lui si sofferma davanti al piccolo muso della mia utilitaria e aspetta che ci salga. «Grazie ancora per la cena» commento aprendo lo sportello, senza il coraggio di guardarlo. Percorro la strada con lo stereo stranamente spento. L’unica cosa che desidero adesso è stare in silenzio, attenta a tutte le voci che attraversano la mia mente. Arrivata a casa, appoggio la borsa, il giacchetto e le chiavi sul divano. Con la testa sul cuscino, guardo il soffitto. Ripenso alla serata, ripenso alla giornata, ripenso al decimo piano, ripenso a quei magnifici occhi dello stesso colore del ghiaccio, ripenso a tutte le sensazioni che ho provato. Mi addormento canticchiando Whole Lotta Love.
CAPITOLO TRE
Per strada ci sono poche persone, l’aria gelida di fine gennaio oltrepassa il tessuto fino a pungermi la pelle. Con la musica di Einaudi che mi coccola, correre è un piacere. Ricordo ancora quando mia nonna mi portò al suo concerto, a Torino. Avevo sei anni e quella fu la prima volta in vita mia che piansi per la musica. Il giorno dopo, sul treno del ritorno, le chiesi se per lei e il nonno sarebbe stato un problema mandarmi a scuola di musica. Ricordo il suo sorriso, le sottili rughe che le contornavano le labbra. Al mio primo concerto, mio nonno si nascose vicino alla porta di ingresso per non farmi vedere che piangeva e mia nonna, con il suo fazzoletto di stoffa perfettamente stirato, si asciugava le lacrime in seconda fila, in mezzo a tutti i genitori dei miei compagni. Ogni volta che ascolto le note del maestro, non godo solo della sua grazia e della magia che racchiude ogni suo brano ma rivivo anche i momenti più preziosi della mia infanzia. Con l’accappatoio indosso e i capelli già asciutti, spalanco le ante dell’armadio e senza pensarci troppo afferro il vestitino nero super attillato e le Dr. Martens, per poi raccogliere i miei lunghi capelli corvini in una treccia laterale. Contraria al risultato, sostituisco gli amatissimi scarponcini con un classico paio di décolleté nere e sciolgo bruscamente la mia insulsa treccia. Arrivata in azienda, passo il cartellino e vado a prendere l’ascensore. Mi precipito al terzo piano, avvicino il cartellino alla maniglia e la porta si sblocca. Entrando, vengo sorpresa da ciò che sovrasta la mia scrivania: un tulipano rosa con accanto un bigliettino dello stesso colore. Grazie per ieri sera, mi sei stata vicina nonostante ci fossimo appena conosciute. Grazie di cuore. Baci baci, Sofia P.S. Ti andrebbe un caffè? Ti aspetto P.P.S. È stato Ale a farmi entrare nel tuo ufficio «Che carina» sussurro. Lascio disordinatamente le mie cose sulla sedia e mi precipito al secondo piano, dove vedo la bellissima interprete corrermi incontro. «Ehi, ehi, ehi… hai per caso un appuntamento?» Ignorando il suo sguardo malizioso, la abbraccio. «Grazie mille per il pensiero, non ce n’era bisogno!» «Mi andava di fartelo e l’ho fatto!» «Grazie» ripeto scostandomi da lei. «Comunque, raccontami!» «Cosa dovrei raccontarti?» «Oh, avanti, non fare la modesta! Stamattina sei una super bomba sexy! Perché ti sei vestita così bene?» «È un semplice vestito nero…» mi giustifico, facendo correre i miei occhi non del tutto convinti su di me. «Non me la racconti giusta! Ieri sera ti ho lasciata sola con la nostra rockstar e stamani ti presenti vestita così.» «Perché rockstar?» le domando incuriosita. «Non cambiare discorso, con me non funziona!» «Okay, a dire la verità qualcosa è successo…» «Ah, lo sapevo!» strilla, sorprendendo tutti i presenti. «Dai, dai, raccontami! È la prima volta che posso spettegolare sul posto di lavoro!» «E va bene, allora… quando siete andati via… be’, come posso spiegare? Raccontarlo ad alta voce mi imbarazza.» «E dai, non lasciarmi sulle spine!» Mi avvicino ancora di più a lei e sussurro: «Be’, insomma… quando siete andati via… faceva freddissimo. Sotto quel cielo stellato, io… cioè, lui…». Sofia sembra una molla in tensione, pronta a scattare. «Tu o lui cosa?» «Be’, in sintesi: lui è rimasto zitto, io l’ho ringraziato per aver pagato, l’ho salutato e me ne sono andata.» Il sorriso di Sofia si trasforma in una smorfia di disapprovazione. «Sul serio? Non è successo nulla?» «Mmh… no» rispondo divertita dal suo fulmineo cambio di espressione «Non sei divertente! No! Affatto!» borbotta imbronciata. Di ritorno nel mio ufficio, sistemo il tulipano nella bottiglietta che avevo in borsa e lo posiziono vicino al monitor, poi controllo le e-mail. Buongiorno Greta, ho avuto un contrattempo, non so quanto ci metterò. Nel frattempo puoi cominciare a revisionare il lavoro per il signor Lee, lo trovi nella nostra cartella condivisa. Se dovessi avere dei dubbi non esitare a contattarmi e se dovessero presentarsi dei problemi corri da me (sono al decimo piano, da Lore). Alessio «Perfetto…» mormoro. Dalla borsa estraggo l’iPod e faccio ripartire la sessione straordinaria di Einaudi. Apro la cartella condivisa, seleziono i file del signor Lee e mi immergo nel lavoro. Dopo aver ricontrollato minuziosamente un’ultima volta, decido di concedermi una piccola e meritata pausa. In saletta ci sono pochissime persone e di Sofia, Alessio o Lorenzo nessuna traccia. Col bicchierino bollente in mano, vado a sedermi a un tavolino vuoto e decido di inviare un’e-mail al mio supervisore per metterlo al corrente dei miei progressi. Ciao Alessio, ho finito il lavoro per il signor Lee. Ho trovato solo qualche piccolo errore ma adesso è tutto sistemato. Ho messo il progetto terminato nella nostra cartella condivisa. Cosa devo fare, adesso? Mentre aspetto le tue direttive mi prendo un caffè. Greta
Decido di inviare un messaggio anche a Sofia: Niente pausa? Baci. Appoggio il telefono sul tavolino e, mentre bevo il caffè, vengo sorpresa dal rumore della vibrazione. Ottimo lavoro. Adesso dovresti controllare quello per il signor Carretti però ci sono alcune cose che preferirei riguardassimo insieme, sarebbe meglio che mi raggiungessi. A tra poco. P.S. Se fossi così gentile da portare un caffè anche a me e a Lore, te ne saremmo grati a vita. Alessio Come un fulmine corro in ufficio, prendo il PC e torno in saletta; preparo due caffè da portare via, prendo due bustine di zucchero e due bacchettine, e mi precipito all’ascensore usando il computer come vassoio. Sperando di non fare danni, invio un messaggio a Sofia: Cambio di programma, Alessio mi ha convocato. Ci sentiamo più tardi. Inizio a contare i piani, cercando di mantenere saldo il mio balordo autocontrollo. Il corridoio è deserto come l’ultima volta e la luce che fuoriesce dall’unico ufficio scatena dentro di me strani formicolii. La voce di Alessio mi raggiunge, calda e gentile come sempre: «Buongiorno! Vieni, entra pure». «Buongiorno, vi ho portato i caffè!» esclamo sorridendo. Alessio afferra il suo bicchierino e una bustina di zucchero. «Proprio quello di cui avevo bisogno… grazie, Greta!» Con tutta la sicurezza che possiedo poggio il portatile sulla scrivania, sorprendendo gli occhi di Lorenzo occupati a scrutarmi. La fiducia che ero riuscita ad accumulare si volatilizza improvvisamente, lasciando il mio battito cardiaco libero di scalpitare senza ritegno e facendo nascere nella mia mente una strana paura: quella di non riuscire a essere razionale. «Ecco a te» sorrido porgendogli il bicchierino ancora caldo. Con gli occhi ancora su di me si allunga per afferrarlo, le nostre dita si sfiorano e una scossa mi attraversa. Ritraggo velocemente la mano, rovesciando il bicchierino e il suo contenuto sulla scrivania. «Cazzo!» sbraita, facendomi paralizzare. Alessio ride. «Informatico bagnato, informatico fortunato!» «Scusami! Scusami! Vado… a prenderti un po’ di carta!» balbetto mortificata. Lorenzo si alza. «Stai ferma! Hai già fatto abbastanza.» La sua voce rimbomba nell’ufficio. Le vibrazioni provate poco fa svaniscono in un attimo e un’ondata di ira mi travolge. «Puoi ripetere?» gli chiedo. «Hai-già-fatto-abbastanza» ripete, scandendo ogni parola. La ragione ha la peggio e il mio cervello in tilt libera la parte peggiore di me. Afferro la bottiglia lasciata aperta sulla sua scrivania e gliela rovescio addosso. «Adesso ho fatto abbastanza» preciso, senza distogliere il mio sguardo dal suo. Con furia afferro il PC, mi volto e lascio la stanza. Percorro il corridoio col cuore in gola, le lacrime iniziano a scendere incontrollabili. Sola nell’ascensore, cerco di fare dei respiri profondi. Non voglio che i miei colleghi mi vedano piangere. Durante la discesa, l’ascensore si ferma al quinto piano e qualcuno entra. Con la testa china per nascondere le lacrime, l’unica cosa che posso notare è che indossa delle scarpe da ginnastica. Arrivata al terzo, non appena le porte si aprono mi fiondo fuori come una saetta e raggiungo il mio ufficio. «Mi licenzieranno…» dico tra i singhiozzi. Con rabbia, afferro i fazzoletti dalla borsa e mi asciugo le lacrime. «Basta, Greta! Torna al lavoro!» mi ammonisco poi. Metto gli auricolari e faccio ripartire la playlist di Einaudi. Con le dita ancora tremanti apro il computer, dove trovo una nuova e-mail di Alessio. Portati avanti con i lavori di Zeppi, Nelli e Woo. Revisionali. Se riesci a finirli, fammelo sapere. P.S. Stai tranquilla. Alessio «Grazie, Ale…» Getto i fazzoletti usati nel cestino sotto la scrivania, prendo il beauty dalla borsa e velocemente mi sistemo il trucco. Ancora più motivata di prima, mi immergo nel lavoro. «Ti faccio vedere io di che pasta sono fatta. Non me ne andrò di qui fin quando non avrò terminato!» ringhio a denti stretti. Apro la cartella condivisa e copio sul desktop i file che devo sistemare, compreso quello di Carretti. Apro il primo progetto, quello di Zeppi. Le mie mani si muovono rapidamente sulla tastiera mentre Whirling Winds mi rimbomba nelle orecchie. Secondo progetto, Nelli. Anche se è ora di pranzo, continuo a lavorare. Sono testarda, lo so, ma a volte può rivelarsi utile esserlo. Lavorare mi tiene la mente lontana da ogni pensiero, facendomi dimenticare la fame. Facendomi dimenticare quanto avvenuto. Nel frattempo ricevo un’altra e-mail. Sono ancora al decimo, spero di finire in giornata. Ci sentiamo più tardi. P.S. Controlla il telefono, Sofia ti stava cercando. Non le ho detto nulla. Stai bene? Alessio Immediatamente afferro il cellulare, dove scovo tre nuovi messaggi, tutti di Sofia. Tesoro, non riesco a venire a prendere il caffè. Scusami. Stai tranquilla, anche io sono sommersa di lavoro. Forse ho anche una videoconferenza, devo fare da interprete. La videoconferenza la facciamo! Tu sei sempre viva? Oppure Alessio ti ha schiavizzato? Le rispondo: Piena di lavoro ma pur sempre viva. Penso che farò tardi. Poi rispondo alla e-mail di Alessio: Ho letto i messaggi di Sofia proprio ora, grazie per avermelo detto. Io tutto bene. Capitolo tre Apnea 31 Terminato anche il terzo progetto, quello per il signor Woo, stacco gli occhi dallo schermo e mi sfilo le cuffie, mi alzo in piedi e mi sgranchisco un po’ le gambe. Dopo essermi assicurata di aver chiuso bene la porta del mio ufficio, mi dirigo verso il bagno. La luce è accecante. Mi avvicino al lavandino e mentre mi guardo allo specchio mi lavo le mani. I capelli sono un po’ spettinati ma il trucco, nonostante abbia pianto, è ancora ordinato. Raggiunto il secondo piano, l’odore di caffè mi pervade. Stranamente lo trovo disgustoso. A mani vuote mi sbrigo a tornare al lavoro, ansiosa di finire qualche altro progetto. Afferro il file “Carretti” e lo trascino sul programma di visualizzazione. Controllo se nella cartella condivisa ci siano appunti relativi al progetto. Trovo una lista in cui il cliente ha spiegato con cura tutto ciò che si aspetta da noi. Ho bene in mente il risultato finale. Mi appunto tutte le ispirazioni balenatemi nel cervello mentre noto un’ombra ferma davanti alla mia porta. Rapidamente mi sfilo gli auricolari e vado ad aprire, senza però trovarci nessuno. Abbasso lo sguardo e poi lo vedo: un bicchierino chiuso con il coperchio. Continuando a guardarmi intorno, mi abbasso per afferrarlo ma del mittente nessuna traccia. Appoggio il bicchierino sulla scrivania, così come l’ho trovato, e mi rimetto al lavoro. Con gli occhi ormai distrutti, allontano la sedia dalla scrivania e mi premo le tempie nel tentativo di alleviare la mia emicrania. Il progetto Carretti era tutt’altro che semplice, ma nonostante tutto sono riuscita a finirlo. L’orologio segna le venti e trentacinque. È tardissimo, sarei dovuta uscire un’ora fa! Seleziono i quattro progetti che ho revisionato e li metto nella cartella condivisa, poi spengo il computer e raccolgo le mie cose. Fuori dall’ufficio non c’è più nessuno. Nell’ascensore leggo l’ultima e-mail di Alessio. Scusami tanto, Greta, ma non riesco a raggiungerti. Quando hai finito vai pure a casa. Ci vediamo domani. Alessio
Subito dopo leggo il messaggio di Sofia: Ehi cara, sei ancora al lavoro? Io sto uscendo ora. Vado a casa, sono stanchissima. Non sforzarti troppo. Baci. Le rispondo: Scusa, ho letto il messaggio solo adesso… io sto uscendo ora, ho voluto in tutti i modi terminare un lavoro. Buonanotte. Ci vediamo domani!
Cristina M. (proprietario verificato)
Appena finito di leggere! Mi è piaciuto moltissimo! La scrittrice ha saputo progettare un intreccio avvincente!
G&CM
Libro coinvolgente e ben scritto. La particolarità dei dettagli di narrazione ti fa entrare perfettamente nella testa della scrittrice e nel suo mondo. Nasce come un romanzo rosa, ma si capisce che non sarà l’argomento principalmente trattato nel proseguimento della vicenda. Magari tutte le scrittrici esordienti scrivessero come lei. Complimenti!
vindabb (proprietario verificato)
Ho iniziato a leggerlo oggi, sono veramente felice che una nostra ex studentessa abbia avuto l’ispirazione e le capacità per scrivere un libro. Ti sostengo Volentieri in questa splendida iniziativa .
Buona fortuna!!!
Vincenzo
armando.giomi (proprietario verificato)
Nonostante il genere rosa non sia il mio preferito e più indirizzato a un pubblico femminile, “Apnea” già dall’anteprima mi ha rapito, una scrittura molto scorrevole e dei personaggi che sembrano trovarsi davanti a noi tanto sono realistici.
Consiglio vivamente questo libro e sono ansioso di leggere il prosieguo della storia!
Barbara (proprietario verificato)
Ho letto la bozza e ne sono rimasta totalmente affascinata, talmente tanto che sono rimasta sveglia fino a notte fonda per finire di leggerlo. Ogni pagina è ricca di sentimento e l’autrice è riuscita a trasmetterli talmente bene che più volte mi sono emozionata. Era tanto che non piangevo così tanto per una storia. Lo consiglio vivamente a tutti e spero che Ilaria pubblichi altri libri perché ho tanta voglia di leggere altre sue opere. Un caro in bocca a lupo a questa giovane autrice.