Giulia ha vent’anni e vive a Roma, sospesa tra il dolore per la perdita del padre e la lotta quotidiana contro l’anoressia.
Ogni giorno, dietro il bancone di una piccola pasticceria, affronta il cibo come un nemico e un rifugio, trovando conforto nell’affetto di chi la circonda.
All’improvviso Leonardo, un uomo più grande e sposato, entra nella sua vita e tra loro nasce un legame profondo. In Giulia si riaccende il desiderio di sentirsi viva. Il loro amore proibito, intenso e distruttivo, li trascina in una spirale di desiderio e colpa, fino a rivelare un segreto capace di spezzare ogni certezza.
Tra amicizie sincere, cadute e rinascite, imparerà che anche il buio più profondo, può lasciare spazio alla luce.
Perché, come un’eclissi, certi amori sono destinati a brillare solo per un istante… ma quell’istante può cambiare tutto.
Perché ho scritto questo libro?
Ho scritto Aspettando l’eclissi dopo la perdita di una persona cara. La scrittura è arrivata come una mano tesa, ricordandomi che ero ancora viva. Mi ha aiutata a trasformare il dolore in una storia di speranza. Non è solo la storia di Giulia e Leonardo ma di una donna che,nella fragilità,ha trovato la sua forza. Come tra luna e sole,che aspettano l’eclissi per amarsi,ho imparato che dal buio può nascere una nuova luce. Ora lascio andare questo libro,con gratitudine verso me stessa e la vita.
ANTEPRIMA NON EDITATA
Passeggiamo tra le bancarelle illuminate. Roma ci si stringe addosso come un mantello antico.
Nell’aria si mescola il profumo delle caldarroste a quello dolce dello zucchero filato.
La sera è fresca, ma non fredda, e le luci soffuse rendono tutto più intimo. C’è una calma sospesa, come se anche il cielo trattenesse il fiato.
Sotto i nostri passi, il fruscio delle foglie si fonde con il suono del Tevere che scorre, le risate lontane, il vociare sommesso dei passanti.
Leonardo cammina accanto a me in silenzio. Ogni tanto mi lancia un’occhiata, breve, quasi timida, poi torna a guardare il fiume.
A un certo punto la sua mano sfiora la mia. Leggera, appena un tocco. Sembra volerla afferrare, stringerla, ma si ferma. Un respiro appena accennato gli sfugge, poi infila le mani nelle tasche.
Ci fermiamo sotto un lampione. La luce calda ci avvolge, morbida. Mi siedo su un muretto, le gambe a penzoloni, le mani strette tra le ginocchia.
Inizio a parlare. Gli racconto di me. La voce mi trema un po’, ma continuo…
«Mio padre è morto due anni fa. Una malattia veloce, non gli ha lasciato nemmeno il tempo di salutare…»
Abbasso lo sguardo. «Avevo diciotto anni. Lo ricordo che scendeva le scale, il profumo dopo il lavoro, il bacio sulla fronte. Poi… più nulla.»
Leonardo resta in silenzio.
«Mia madre da allora si è chiusa in sé. Non parla quasi più con nessuno. Con me… è come se volesse controllare tutto. Mi guarda, mi chiede cosa ho mangiato, se ho dormito, se sto bene. Ha paura che io possa crollare. Come se il dolore fosse contagioso.» Sento il suo sguardo su di me, ma tengo gli occhi fissi sulle scarpe. Le parole escono da sole, come se avessero aspettato troppo tempo.
«Ho smesso di mangiare perché… era l’unica cosa che potevo decidere io. Quando non puoi controllare nulla, controlli te stessa. E credevo che così avrei avuto pace.»
Tiro su col naso. Non voglio piangere. Non più.
«O almeno… questo è quello che sostiene il dottor Ciani!» Accenno un sorriso ironico, quasi a voler alleggerire quell’atmosfera troppo pesante.
Leonardo è lì, accanto a me, ma il suo silenzio ora è assordante. Mi fa paura.
Poi lo sento. La sua mano mi sfiora la guancia. Un gesto leggero, quasi timido. Una carezza che sembra chiedere permesso. Mi blocco, il fiato fermo in petto.
Roma è bella, di notte! Ha questo modo tutto suo di farti sentire parte di qualcosa, anche quando sei a pezzi.
Poco più avanti, un uomo suona il violino. Una melodia lenta, struggente, ci raggiunge piano, come un sussurro.
Lo guardo. E prima che possa pensarci troppo, le parole mi escono da sole. «Mi fai bene.»
Lui abbassa lo sguardo, poi lo solleva. Ha gli occhi lucidi, come se dentro stesse trattenendo il mondo intero.
«Un bene che ci fa male.» Dice piano.
Le sue parole mi colpiscono come uno schiaffo in pieno viso. Non serve gridarle, certe verità basta sussurrarle per fare rumore. Poi si avvicina. Mi bacia sulla guancia, con delicatezza, senza fretta.
Come se in quel gesto ci fosse tutto quello che non abbiamo il coraggio di dire.
Il cuore mi impazzisce nel petto. Lui sembra calmo, presente, come se per lui fosse semplice. Per me, niente di tutto questo lo è. Io, al contrario di lui, tremo dal terrore.
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