ANTEPRIMA NON EDITATA
1
“Cerca la fonte di Cìgala. Recati là. Dai le spalle al mare. Poi guarda alla tua sinistra. Io sono lì. Cercami”. Il cuore le batteva forte. Aveva una fitta nel petto e respirava con difficoltà. Doveva assolutamente sforzarsi di prendere ampi respiri. Quella voce, che parlava dentro la sua mente, la turbava e la inquietava. Non sapeva spiegarsi di cosa si trattasse. Poi, d’un tratto, silenzio.
Decise di non dare peso alla cosa. Pensò che era troppo stanca e stressata in quel periodo. E stress e affaticamento giocano brutti scherzi. Così continuò a spolverare in camera da letto, canticchiando vecchie canzoni, per evitare di pensare a cosa le fosse appena accaduto. Aveva poco tempo persino per riflettere. Le cose da fare erano troppe, e quell’inchiesta sui disastri ambientali, che la redazione del suo giornale attendeva, non le lasciava nemmeno il tempo di occuparsi delle rotture burocratiche che la sommergevano.
Erano le 3 quando, pur non avendo sonno, chiuse il giallo che stava leggendo e spense la lampada notturna. Non dormiva ancora, che quella voce era lì ad angosciarla di nuovo.
“Mi ha nascosta là. Mi ha gettata via. Cerca la fonte di Cìgala. Dai le spalle al mare e poi volgi lo sguardo sulla tua sinistra. Sono sempre stata lì. Trovami”. No, quello non era per niente un sogno. E lei non stava affatto dormendo. Si girò e rigirò nel letto non trovando riposo. Tutte le posizioni erano scomode, tremendamente disagevoli. Pensava a quella voce, e poi il pensiero andò al suo collega Giorgio Caccamo, che viveva non lontano da Cìgala e che era un esperto di quei luoghi. Chi meglio di lui avrebbe saputo dirle se c’era davvero una fonte da quelle parti. Decise che si sarebbe tolta lo scrupolo di verificare e avrebbe, così, accantonato questa storia, che non doveva essere null’altro se non il frutto del troppo lavoro e della stanchezza accumulati.
Era in piedi dalle 6.40, ma aspettò che si facessero le 9 prima di chiamare il suo amico, a cui – lo ricordava bene – piaceva parecchio dormire e, se non aveva impegni di sorta, al mattino se ne stava a letto fino a tardi.
“Giorgio, ti chiamo per verificare un racconto che mi hanno fatto su Cìgala. Niente di che comunque”, gli disse per non incuriosirlo più di tanto.
“Sì che c’è una fonte”, le rispose lui con la voce ancora impastata di sonno. “È in spiaggia”.
Un fremito gelido la avvolse. Gli aveva chiesto della fonte, ma non pensava affatto di avere un riscontro nella realtà. Non ne aveva mai sentito parlare. Vista la risposta di Giorgio, quella voce non poteva essere soltanto una suggestione.
“Mi dispiace di averti svegliato”.
“Dovevo comunque alzarmi per occuparmi di alcune cose al Comune per il prossimo numero del giornale. Vedrai che sarà una bomba!”
“Allora non ti faccio perdere altro tempo. Ma prima di lasciarti, ti chiedo se sei a conoscenza di qualche leggenda legata alla fonte”, disse Angel.
“Nessuna leggenda. La fonte sta lì. Tutto qua. Un giorno è venuta fuori chissà da dove tutta quell’acqua e la sorgente sta là tuttora, placida e tranquilla, coperta da delle pedane in legno che vi sono state posizionate sopra”.
2
Quella sera Angel andò a letto pensando allo strano riscontro che aveva avuto nella realtà. E, mentre era ancora in dormiveglia, le si ripresentò la voce. Non riusciva proprio a scacciarla. Era come se le parlasse dentro il cervello.
“Mi chiamo Maria Teresa Maggio. Vai alla fonte di Cìgala. Mi ha gettata lì vicino. Mi troverai”, ripeté le stesse cose della volta precedente, ma, questa volta, rivelandole il nome. E, prima che la voce scomparisse, Angel intravide una figura di donna. A quel punto, si alzò per effettuare una ricerca su internet. Lo fece, anche stavolta senza attendersi nulla, così come era stato per la presenza della fonte a Cìgala, anzi non pensava minimamente di trovare quel nome sul web. E, invece, spuntarono articoli che riguardavano un fattaccio di cronaca nera accaduto dalle sue parti vent’anni prima. Lesse per sommi capi che nel 1997 era scomparsa una donna, Maria Teresa Maggio appunto. Era sparita nel nulla, non aveva avvisato i familiari di un suo allontanamento né si era fatta viva dopo. Il suo corpo non era mai stato trovato e, per tanto tempo, dopo innumerevoli appelli da parte dei familiari su emittenti televisive locali e nazionali e persino con trasmissioni ad hoc dedicate alla sua scomparsa, si susseguirono varie segnalazioni alle forze dell’ordine da parte di solerti cittadini, che ritenevano di averla vista nelle più disparate città d’Italia e persino all’estero. La ragazza, che all’epoca della scomparsa aveva ventidue anni, era sposata e viveva a Sica, non distante da Cìgala, che è una delle frazioni balneari Sicane. Ormai ne era stata dichiarata la morte, e il marito, che inizialmente era stato sospettato di avere ucciso la moglie e di averne occultato il cadavere, si era potuto risposare senza problemi, rifacendosi una vita.
Angel trasalì. A momenti le veniva un colpo nel prendere atto che le stesse accadendo qualcosa di tanto assurdo, ma vero. Devo averne sicuramente sentito parlare, pensò, ma non si ricordava affatto di quella storia. Del resto, quando Maria Teresa Maggio era scomparsa, lei era ancora alle prime armi col giornalismo.
Al tempo, aveva iniziato da poco a lavorare presso un’emittente televisiva locale della sua città con l’intento di conseguire il tesserino di giornalista, ma non si occupava ancora di nera, le affidavano, in genere, la politica locale, che lei odiava con tutte le sue forze, e si era specializzata nel settore della cultura, seguendo spettacoli teatrali in scena nei bellissimi teatri della provincia.
E adesso che si fa? si chiese. Anche a volerci credere a qualcosa di tanto irrazionale e al fatto che non sono impazzita, che posso fare? Vado sul posto e do una guardata? Come se da lì non sia mai passato nessuno in questi vent’anni! Ma non ho altre idee!
[…]
12
[…]
Il giorno dopo, puntuale alle 11, Angel era in procura a Sagàra. C’era voluta un’ora per trovare un parcheggio, peraltro neppure vicino al palazzo di giustizia. All’ingresso c’era un assembramento di giornalisti. Tv e giornali locali e nazionali, nessuno si sarebbe perso quella conferenza stampa, che fu trasmessa in diretta sulle maggiori reti radio e televisive. Poliziotti e carabinieri, che stavano entrambi seguendo il caso, erano già schierati dietro al tavolo della sala conferenze, in attesa dell’entrata del procuratore capo Masso. E lui, come da copione in casi importanti come questo, si fece attendere un quarto d’ora, per consentire anche ai ritardatari di arrivare.
Entrò a testa bassa da una porticina al lato del tavolo, senza guardare nessuno, soltanto a terra. Era concentratissimo. Si posizionò davanti al microfono. “Prova, prova. Si sente?”
Al sì corale della stampa, iniziò a parlare: “Come tutti sapete, l’altro ieri, giovedì, è stata ritrovata nella pineta di Sacro Re una bambina morta. Anna Petralìa, 7 anni, nata a Sancàce, dove viveva con i genitori, è stata uccisa. Andiamo per gradi”.
In sala c’era un silenzio tombale. Tutti erano attenti alle parole del procuratore e pronti a formulare le loro domande al termine del suo discorso.
“Quello che sappiamo è che la mamma, giovedì mattina, l’ha accompagnata a scuola con la sua automobile, come faceva di solito”, disse Masso. “Il papà è andato a prenderla alle 13.00, all’uscita dalle lezioni, e non l’ha trovata. Non vedendola uscire dal portone dell’istituto, è entrato per vedere cosa fosse successo, ma ha scoperto che la figlia non era mai arrivata in classe quella mattina. A informare il padre è stata la maestra, che pensava che la bambina fosse assente per problemi di salute, vista l’epidemia di febbre che aveva decimato gli alunni da qualche giorno, e per questo non si era preoccupata e nessuno aveva chiamato i genitori per chiedere informazioni su quell’assenza. Questo vuole dire che la bambina è stata presa da qualcuno di mattina, nel tragitto che percorreva a piedi da sola dal cancello che delimita il cortile dell’istituto scolastico, dove l’ha lasciata la mamma, al portone di ingresso della scuola. Lì, in genere, c’è un collaboratore scolastico che si assicura che i bambini entrino dentro. Lui dice di non avere visto la bambina giovedì mattina o potrebbe non ricordarlo. Per l’esattezza, ha ricordi confusi, non sa indicare con precisione se la bambina fosse in cortile il giorno prima o la stessa mattina della scomparsa. Comunque, noi sappiamo che è stata accompagnata dalla madre e partiremo da qui nelle indagini, per scoprire, anche con l’ausilio delle videocamere di sorveglianza sparse per la città, sia quelle pubbliche che quelle di privati, cosa sia accaduto all’ingresso a scuola, nella speranza che abbiano immortalato chi ha rapito la bambina o con chi si è allontanata. Abbiamo già acquisito tutti i video”.
Masso fece una pausa e guardò delle carte che aveva portato con sé. Poi riprese: “Secondo il medico legale, il dottor Fausto Giustino – che prego tutti di non provare a disturbare né per telefono né tantomeno tampinandolo, tanto non vi dirà nulla del caso – la bambina potrebbe essere stata uccisa subito dopo il rapimento. Vale a dire dopo le 8.30, orario in cui la mamma l’ha accompagnata a scuola. L’autopsia, che è stata già disposta e sarà effettuata nel più breve tempo possibile, ci fornirà dettagli importanti riguardo alla morte della bambina. Al momento posso solo dirvi che è precipitata da una qualche altezza e crediamo sia stata spinta giù dolosamente. Chi avesse informazioni di qualunque sorta può rivolgersi ai carabinieri o alla polizia. Tutti stanno lavorando al caso. Per ora non c’è altro da dire”.
Il procuratore si fece largo tra i poliziotti e i carabinieri che gli facevano da sfondo alle riprese e si diresse verso la porta interna, che dall’aula delle conferenze stampa collega all’interno della procura.
“Procuratore, procuratore, la bambina è stata abusata?” chiedeva un giornalista. “Avete dei sospetti?” dal fondo proveniva un’altra voce. “È stata uccisa nella pineta?” chiedeva un altro, e ancora: “Che ci può dire del furgone bianco che qualcuno dice di avere visto?”
I giornalisti incalzavano con le domande, che però cadevano nel vuoto. Masso era uscito e né il capo della polizia né il colonnello dei carabinieri avrebbero aggiunto una singola parola a quanto era stato detto di ufficiale. Masso era stato chiaro con tutti: “Non una parola sul caso. Le informazioni che reperiremo, i sospetti, la gente che andremo a sentire a qualunque titolo e qualsivoglia cosa inerente all’omicidio non devono trapelare nella maniera più assoluta! Tutto deve passare da me. Faremo sapere ai giornalisti quello che ci interessa che sappiano e quando riterremo che debbano sapere”.
13
Angel si mise a scrivere. Il pezzo era andato, lo aveva scritto velocemente, assemblando le informazioni apprese in conferenza stampa, e adesso, dopo la fatica, finalmente aveva qualche minuto per sé. Fu in quel momento che la sentì piangere. Non voleva credere che stesse accadendo di nuovo. Pensò che si trattasse di suggestione. Del resto, l’orrenda morte di quella bambina l’aveva colpita, e il fatto di doversene occupare in maniera cinica, pensando soltanto a reperire le informazioni e a carpire quanti più dettagli possibile per darli in pasto alla gente, senza avere tempo per provare un sentimento di pietà nei confronti di quella piccola creatura che era stata strappata alla vita tanto crudelmente, la fiaccavano non poco, e questo, come di solito, accadeva soltanto in un secondo momento, ossia quando, spento il computer, ripensava a tutto. Qualcuno aveva spinto quella bambina per ucciderla e solo Dio sa se aveva prima abusato di quel corpicino. Era orrendo.
Quel pianto era così chiaro nella sua mente che decise che gli avrebbe dato retta, tanto nessuno mai sarebbe venuto a conoscenza del suo tentativo di parlare con una bambina morta.
“Sei Anna?”
“Sì”.
Angel sentì singhiozzare quel ‘sì’, che la pietrificò. In fondo, non credeva che sarebbe riuscita davvero a parlare con lei. Ma visto che sembrava tutto così assurdo, ma era anche vero, doveva tranquillizzare la bambina.
“Sei da sola?”
“Sì. È buio! È buio! Aiutami!”
“Sono con te. Tu puoi parlarmi quando vuoi. Io mi chiamo Angel. Sono qui e riesco a sentirti. Non ti lascio. È buio, lo so, ma non devi spaventarti. Piano piano ti abituerai gli occhi e riuscirai a vedere qualcosa. È un posto nuovo, lo so. Tutti avrebbero paura. Proprio come te. Ma io so che sei una bambina coraggiosa. Una bimba che sa giocare a pallavolo e sa stare in una squadra, anzi ne è il capitano, non può che essere forte. Ho visto le tue foto in divisa da pallavolo, sai?”
I singhiozzi erano più radi, la bambina la stava ascoltando.
“Tu sai perché ti trovi lì?”
Ma che razza di domanda sto facendo alla bambina! Devo o no dirglielo che è morta? A 7 anni lo può capire? Devo chiederle chi l’ha uccisa? Angel non sapeva cosa fare, non aveva dimestichezza con i bambini, figuriamoci con quelli morti, e riprese a parlarle.
“Ti manca la tua mamma, lo so. Ma io non ti lascio da sola”.
A quel punto Anna piangeva fortissimo e Angel non sapeva cosa fare se non continuare a parlarle per cercare di consolarla.
“Anche la tua mamma, certamente, vorrebbe parlarti e averti vicino, vorrebbe abbracciarti. Tieni duro. Questo brutto momento passerà”.
Anna piangeva inarrestabile.
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