Herr Meister Michael Umlauf, seduto su una poltroncina di vimini proprio dietro il sipario del Teatro am Kärtnertor di Vienna, aveva l’aria di essere l’unica persona tranquilla in una mattinata in cui tutti sembravano impazziti. I due timpanisti, evidentemente indietro con lo Scherzo della sinfonia, se ne stavano nascosti in un anfratto del golfo mistico a ripassare. I fagotti e i corni correvano avanti e indietro per tutto il teatro alla ricerca degli spartiti che la stamperia non aveva ancora consegnato. “Ma non preoccupatevi, le parti a stampa non saranno diverse da quelle manoscritte che avete studiato!” li rincorreva Herr Böhm, il primo violino, che cercava di rincuorare i suoi colleghi ma era talmente teso che aveva dovuto togliersi la giacca e lo sparato e andava in giro praticamente in bretelle – cosa assai disdicevole, dato anche c’erano, tra le quinte, molte signorine.
Già, molte signorine e signore, leziose, vezzose, carezzose, altezzose e che andavano in giro pigolando, ammiccando, gorgheggiando profumatissime e mezze svestite. Tra di loro, qualche violinista, un’oboista ma specialmente molte coriste e due soliste: una soprano, Fräulein Henriette Sontag, e una contralto, Fräulein Caroline Unger.
“Ma le coriste”, pensò Meister Umlauf, “non dovrebbero starsene sempre al coperto, attente alle correnti e ai colpi di freddo?” Tanto più che era ancora maggio e nei retroscena dei teatri viennesi faceva freschino.
Mentre due signorine passavano veloci e ridacchianti inseguite da una torma di fattorini, Meister Umlauf si alzò e si diresse verso il suo camerino. Fu intercettato e bloccato dal direttore del teatro, Herr Barbaja che era, anche lui, abbastanza nervoso.
“Venga, venga, Meister Umlauf. Legga qui” e gli allungò il foglio appena arrivato della temuta Wiener Musikalisches Wochenblatt. Umlauf sorrise: era un’ottima cosa che il giornale parlasse del concerto. Ma l’impresario italiano pareva non fosse dello stesso parere, tanto è vero che corrugò la fronte: “Guardi, guardi e poi mi dirà”.
Meister Umlauf, si cercò un angolo con una buona luce e cominciò a leggere proprio dove l’indice di Barbaja gli indicava:
Torna da Berlino il maestro Beethoven, con tre brani per le nostre orecchie ancora nuovi: l’ouverture La consacrazione della casa; una scelta dalla Missa Solemnis che è stata ascoltata solo, pare, dallo zar di Russia (cosa ci avrà capito, visto che, oltre che russo, è anche ortodosso?); e una sinfonia a cui alcuni sostengono si addicano i versi del Maestro di cappella del Cimarosa, là dove si dice:
bramo provare un pezzo
di stile affatto nuovo.
un cantabile allegro,
cioè di due colori,
come una salsa che ha vieppiù sapori.
Si pensi infatti che, forse per non tenere inutilizzato il coro e i solisti che canteranno i brani della Missa, il maestro ha deciso di concludere l’ultimo movimento della sua sinfonia con un coro! O, mirabile visu! direbbe qualcuno. E noi aggiungeremmo auditu etiam, perché non si è mai sentito che una sinfonia si mescolasse con il coro. Ecco la salsa che ha vieppiù sapori, il contraddittorio cantabile allegro. Chissà: sarà stato il desiderio di compiacere il direttore del Teatro che, come tutti sanno, è milanese e senza un po’ di opera non può resistere, a portare il maestro Beethoven a questa strana soluzione? Oppure la motivazione sta nel fatto che, non avendo da molto il piacere di ascoltare i suoi propri componimenti, al maestro, nel ricordo, la musica potrebbe parere leggermente – per non dire abbastanza – diversa da quel che realmente è…
Meister Umlauf sollevò la testa per incontrare lo sguardo tagliente di Barbaja che aspettava un commento.
“Ma pensa te!” scosse la testa Umlauf, “osano paragonare Beethoven a un italiano, e la sua musica all’intermezzo comico di un italiano. Lui che proprio, di comico, non ha mai composto nulla!”
“Ma è per prendersela con me, evidentemente”, lo incalzò Barbaja. “Gli rode che il Teatro di Porta Carinzia, insieme al Theater am Wien, siano in mano italiane…”
Herr Umlauf, restituì il foglio all’impresario con un sorriso:
“Senza contare, poi, il cattivo gusto di far riferimento alla sordità del maestro… Ma, come dice un vostro grande italiano, Herr Barbaja, Doch still von ihnen – schau und geh’ vorüber. Non ragioniam di loro, ma guarda e passa… Non ha molta importanza quello che dicono oggi i giornali. Domani, vedrà come cambieranno completamente registro. Sarà un successo, non ho dubbi. Piuttosto, sia gentile, Herr Barbaja: tolga di mezzo il giornale e curi che non ce ne siano copie in giro. Ho bisogno che il maestro sia calmo e concentrato… È l’unica cosa che mi importa adesso.”
In verità, neppure Meister Umlauf era del tutto tranquillo, sebbene non volesse darlo a vedere. Un problema c’era. E anche abbastanza grosso: il maestro Beethoven, alle 18.55, sarebbe salito sul podio per dirigere la sua nona sinfonia senza essere in grado di farlo, ma senza – neppure per sogno – pensare di rinunciarvi.
D’altra parte, il concerto doveva assolutamente essere un successo. Herr Barbaja sarebbe stato presto nominato direttore di tutti i teatri dell’impero austroungarico – Scala di Milano compresa – e Meister Umlauf, a detta di molti, avrebbe avuto l’incarico di supplente proprio nella guida dei due teatri viennesi gestiti da Barbaja: il Theater am Wien, e quel Teatro di Porta Carinzia, am Kärtnertor, dove si trovava in quel momento.
Le voci parlavano di una nomina che non avrebbe tardato, e Umlauf ne aveva davvero bisogno: la moglie, la dolce Gunhild, ultimamente gli si negava forse perché troppo stanca di fare bucati e rigovernare piatti; i due figli erano ancora da mantenere; c’era una casa da portare avanti, e non c’erano neanche i soldi per una governante a tutto servizio (a parte che non avrebbero avuto il posto dove metterla). Ora, la carica di direttore prevedeva uno stipendio doppio rispetto a quella di maestro sostituto e Umlauf non doveva proprio lasciarsela scappare.
Barbaja gli aveva lasciato la Wiener Musikalisches Wochenblatt e Umlauf si era fermato in un angolo di quel labirinto di corridoi, anfratti, sgabelli, macchinari, secchielli con tanto di pali e strofinacci per lavare i pavimenti che è il retro di un teatro e, mentre pensava a Gunhild, la sfogliava. Erano solo sei pagine e, nella seconda, c’era un articolo del vecchio Johann Friedrich Rochilz su Rossini – proprio quel Rossini che Beethoven non poteva soffrire.
Pensandoci un attimo, anche lui avrebbe voluto avere il tempo di scrivere recensioni, oppure di mettersi seriamente a comporre. Sì, qualcosa aveva fatto – qualche balletto, qualche Singspiel, ma poca roba, e con l’occhio distratto sempre da qualcos’altro: portare avanti la famiglia, fondamentalmente. Ma anche – di tanto in tanto – prendersi qualche svago. Non riusciva a farne a meno. Era il dolce prezzo della mediocrità.
Sì, era un mediocre tanto è vero che, anche se tutto fosse andato bene come sperava, avrebbe fatto, sì, un passo avanti, ma sarebbe comunque rimasto un sostituto: maestro sostituto come direttore d’orchestra – Korrepetitor come si chiama in Austria – direttore sostituto come impresario teatrale. Forse il destino gli stava dicendo qualcosa? Non sarebbe mai stato “in comando”, ma sempre un facente funzione, uno che fa le veci? E allora? In fondo, che importava? Va bene, non era Beethoven. Del resto, di Beethoven ce n’è solo uno.
E meno male!
Meister Umlauf entrò nel suo camerino e cominciò a prepararsi. Beethoven era completamente sordo. Era riuscito, sì, a spiegare a lui, Umlauf, il ritmo, le agogiche, gli attacchi… ma non aveva potuto verificare che gli orchestrali seguissero le sue indicazioni. Aveva voluto dare indicazioni anche su tutta la parte più fine dell’esecuzione – qua rubare un po’, qua attenti all’archetto, qua c’è scritto “p” ma eseguitelo “mf” – ma anche se aveva mugugnato, gesticolato, scosso furiosamente la testa e alla fine (non sempre e non a tutto) annuito, in realtà – Umlauf lo sapeva bene – non aveva sentito nulla. Era stato lui, Umlauf, nelle poche mattine in cui avevano provato prima che Beethoven venisse a teatro, a cercare di decodificare, e quindi integrare, le indicazioni del maestro con le sue e a verificare che gli orchestrali, i coristi e i solisti le avessero ben capite.
Ora, arrivava il difficile, e si trattava di capire come venirne a capo. Beethoven voleva dirigere a ogni costo, ma non poteva farlo. L’unico modo per portare avanti il concerto sarebbe che lo dirigesse lui, Umlauf.
Un’idea per riuscirci ce l’aveva, e doveva solo comunicarla agli orchestrali.
- 2.Ma avrebbe funzionato?Como, domenica 5 maggio 2024
La mamma al telefono
“Ciao, figlio, sono la mamma.”
“Ciao, mamma. Lo so chi sei.”
“Come fai a saperlo?”
“Il tuo nome compare sul cellulare.”
“Ma va’? Non ti si può neanche fare una sorpresa!”
“No, mamma. In generale non mi piacciono le sorprese e le tue ancora meno.”
“Che figlio degenere.”
“Che madre rompi.”
“Vabbè, lasciamo perdere, tanto da te non mi aspetto più niente. Devi venire subito a casa.”
“Subito? Stai male? Anusha non c’è?”
“No, non sto male e Anusha c’è. Starà rovistando nei cassetti per rubacchiare qualcosa, ma c’è. Devi venire perché voglio guidare la macchina.”
Il professor Previati è in macchina. La macchina è in coda. La coda non dà segni di smoversi. Questo gli ha permesso, fino a questo momento, di rispondere alla madre tenendo il cellulare in mano. Ora però sente il bisogno di rimettere entrambe le mani sul volante e inserire il vivavoce: la conversazione potrebbe diventare complicata, a casa lo aspetta la moglie con la cena de’ suoi rondinini (quanto gli piace il kitsch pascoliano!), ed è meglio essere prudenti.
“Scusa, mamma, non credo di aver capito, c’è stata un’interferenza. Che cosa vuoi fare?”
“Hai capito benissimo: non c’è stata nessuna interferenza. Devi venire perché voglio guidare la macchina e tu mi devi aiutare a salirci.”
“Ma mamma, ne abbiamo già parlato mi pare. Tu non puoi guidare la macchina.”
“E perché non potrei guidare la macchina? Ho la patente.”
“A parte che non hai più la patente perché ti è scaduta tre anni fa e non l’abbiamo rinnovata…”
“Come ‘non l’abbiamo rinnovata’? Tu non l’hai rinnovata. Ti sarai distratto come al solito e chissà dove l’hai messa ora. Comunque, non importa. La rifacciamo. Intanto, se ci ferma un vigile, diremo che l’ho dimenticata a casa.”
“Mamma ascolta…”
Il professor Previati è ancora di buonumore. La coda sembra muoversi un po’, e probabilmente riuscirà a percorrere i sei chilometri che lo separano da casa in meno di mezz’ora. Giusto il tempo per arrivare, baciare la moglie Elena (un piacere a cui non vuole rinunciare) e baciare i marmocchi (di cui il primo – Ottavio – ha ormai diciannove anni, lo supera in altezza di un buon dieci centimetri e non vuol essere baciato, ma il professore si diverte un mondo a coglierlo alla sprovvista; il secondo – Emilio – ne ha sedici e non si sottrae anche se forse ne farebbe a meno; la terza – Teodora – che è la più piccola e ne ha dodici sembra addirittura che i baci li cerchi… ah, meno male che ci sono le figlie!). Poi si farà la doccia, si verserà una birra e si metterà a giocare a Risiko, o con il trenino elettrico o persino con la casa della Barbie insieme a Teodora. Basta che si giochi a qualcosa almeno mezz’ora. Poi aiuterà a preparare la tavola, e persino a cucinare. “Tutto, faccio tutto, non preoccupatevi. Datemi ancora un minuto” dice sempre.
Ma per il tutto ancora da fare stasera c’è ancora tempo. Prima c’è la coda. E la mamma.
“… Mamma, ascolta: sai benissimo che non mi sono dimenticato di rinnovarti la patente…”
“Ah, l’hai fatto apposta!”
“Be’, in un certo senso sì. Non ti ho rinnovato la patente perché non puoi rinnovarla.”
“Perché non posso rinnovarla? Guarda che non sono rimbecillita come credi.”
“Io so benissimo che non sei rimbecillita… ma tu sai altrettanto bene che non è questo il problema.”
“E quale sarebbe?”
Il traffico ormai scorre, anche se con qualche rallentamento improvviso. Il professor Previati guida con prudenza, ma la conversazione, anche solo inconsciamente, lo sta destabilizzando. Quindi, si distrae a pensare a “quale sarebbe il problema”, non tanto perché non lo sappia, ma solo perché vorrebbe trovare un modo nuovo, convincente e definitivo per dirlo alla madre, e quella distrazione – due secondi? forse meno – gli fa tamponare la Mercedes davanti. Appena appena, ma la tampona.
“Santamadonna! Mamma! Ma che domande fai!” grida.
“Che ti è successo, figliolo? Hai tamponato?”
“Sì che ho tamponato, porcaccia la miseria…”
“Così parli a tua madre?”
Il professor Previati si slaccia la cintura, cerca di alzarsi, spera che non ci siano grossi danni alla vettura davanti alla sua, spera che il conducente non sia un energumeno vendicativo di quelli che imperversano su Facebook, spera… dum spiro spero, dicevano gli antichi romani.
“Ascolta mamma, non ho tempo, adesso…” E riattacca.
È già uscito dalla macchina. Davanti a lui c’è un signore molto alto, molto grosso, che potrebbe essere affatto sprovvisto di modi signorili.
“Sì è fatto male?” gli chiede il professor Previati. E resta in trepidante attesa di una risposta. Ecco un altro istante della vita di un uomo in cui può succedere di tutto. Gli ritorna in mente, molesto, il 10 agosto di Pascoli: “… l’uccisero, cadde tra spini, aveva nel becco un insetto: la cena de’ suoi rondinini…”
Risquilla il cellulare. È ancora la mamma. Il professor Previati sta per silenziarlo, quando il signore, gli fa un cenno – Risponda pure.
“Pronto, mamm…”
“Bravo, sbatti il telefono in faccia a tua madre! Ma proprio non ti ho insegnato niente.” Sul cellulare è rimasto inserito il vivavoce, per cui il signore che potrebbe non avere modi signorili ascolterà tutta la conversazione. Ma il professor Previati ha altro a cui pensare che non la privacy.
“Ma te l’ho detto che ho appena avuto un incidente.”
“Incidente, incidente. Per forza: sei sempre distratto.”
“Mamma, ascolta non ho tempo…”
“Ma dimmi almeno quale sarebbe il problema per cui non potrei guidare. Detto da te, poi, che hai appena avuto un incidente, non ci sarà neanche da fidarsi…”
[…]
“Ma mamma, lo sai benissimo perché non puoi guidare: sei su una sedia a rotelle. Non riesci a stare in piedi, le gambe ti si muovono appena, non distendi le dita della mano destra… come puoi pensare di guidare?”
Segue il silenzio. Il professor Previati è lì con il cellulare all’orecchio. L’energumeno guarda il parafango, ma ha sentito tutto. La mamma tace ancora per un istante. Poi risponde:
“Sei crudele e spietato. Non riesco a credere che tu sia mio figlio”. E riattacca.
Il professor Previati allontana il cellulare dall’orecchio, guarda l’energumeno. Ormai non ha più risorse. È esausto. Offrirebbe il collo alla mannaia se ce ne fosse una. E forse c’è. E infatti l’energumeno lo guarda. Poi sentenzia:
“Ascolti. Il paraurti non ha nulla di serio. Era già battuto. Non si preoccupi. Però, non tratti male sua madre.”
Claudia Ghidini (proprietario verificato)
LEZIONI DI VOLO
Già il titolo, Beethoven e la mamma, mi è sembrato una premessa interessante: qualcuno, questo genio, lʼavrà ben generato, educato, sopportato… e se poco ci è dato sapere sul rapporto sicuramente controverso tra il grande musicista e la sua mamma (mamma, non madre), ecco che ci troviamo ben descritto e particolareggiato, fin nelle virgole e sugli accenti da accordare alle parole, il rapporto tra un figlio, nel quale non è possibile non identificarsi, e una madre che, già da sè, si titola genio.
Lʼironia, la tensione e ovviamente la curiosità di scoprire come dove e quando si intrecciano le vicende di personaggi, così ben caratterizzati e posti con naturalezza in connesione tra di loro, ti porta a ritenere normale la posizione in cui lo scrittore ti colloca: un osservatorio spazio-temporale dal quale contemplare contemporaneamente l’oggi e il passato.
Una storia composta da tante storie radicate in una quotidianità quasi familiare, attraverso la storicizzazione e le citazioni che ti accompagnano lungo tutta la narrazione, consentendoti di non perderti mai, tra la Vienna 800esca e la Como odierna, ma di aggrappartici come ad un filo conduttore, che diviene il bilancere dellʼequilibrista che quasi incosapevolmente ti ritrovi ad essere.
Rivelatore di grandi verità collocate nelle piccole e banali cose quotidiane che dissimulano una potenza di deflagrazione inimmaginabile. Sappiamo bene, dimenticandocene di continuo, che la leggerezza di un tappo di dentifricio non chiuso può assumere tonnellaggi imprevedibili, se messo sul piatto della bilancia dello sfinimento.
Eppoi non tutti conosciamo la differenza tra frittate e grattacieli, ma soprattutto dove collocarci allʼinterno delle due categorie caretteriali ed esistenziali!
Che dire? Una scrittura appassionata e appassionante, una lettura che ti induce a voltare continuamente pagina per arrivare a carpire la verità contenuta nella fine della storia. Una lettura che mi ha coinvolta nello scherzo, musicale e letterario, in un clima mai pesante e sempre sotteso da un sorriso non solo ironico ma soprattutto benevolo!
Grazie allʼautore per averci proposto una scrittura tanto piacevole e costruttiva e anche tanto colta senza però cadere nella tentazione dell’autocelebrazione e della presunzione.
Claudia Ghidini