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Bruciare la salvia. I settant’anni

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Di cosa sono fatte le vite normali? Di ruoli svolti, di luoghi, d’incontri, di amore, di amicizie, di quotidiani ribaditi, di cambiamenti cercati o subiti. Siamo corpi e anime che mutano dentro un tempo che scorre. Inesorabile. Aurelio, il protagonista di questo romanzo, sta per compiere settant’anni, un passaggio d’età che lo sorprende: il corpo che si trasforma, vecchie e nuove ansie, fragilità, il rapporto con le case, con i ricordi di famiglia. La sensazione di svanire, di diventare un ingombro della memoria.

Bruciare la salvia è anche la storia di un rapporto adulto. L’amore di Aurelio per Emilia è fuori dal comune, come lo sono i sentimenti che durano una vita intera. Le vite corrono, bisogna vivere il presente con la leggerezza di cui si è capaci e non smettere di costruire futuro. Per sé e per gli altri.

Capitolo I
Sono ancora io?

Non mi guardavo allo specchio, neppure quando ero un ragazzo. Così potevo immaginarmi. Emilia dice che non mi guardo perché sono pigro ma sbaglia, non è pigrizia, piuttosto un atto di superbia. Preferisco evitare i giudizi, anche quelli riflessi, anche il mio. Bisogna tutelarsi, anche da se stessi.

«Mi vedo brutta!»

Emilia è nell’altro bagno, davanti allo specchio.

«Sono diventata brutta, Aurelio.»

Sento che balza sulla bilancia, con quella fretta che non la lascia mai. Un breve silenzio, la lettura del peso che darà voce allo strazio.

«Bruttissima e grassa!»

Lo dice tutte le mattine e tutte le mattine le ripeto: «Non è vero, Emilia, non sei grassa e non sei diventata brutta, lo sai anche tu».

«Lo dici perché mi vuoi bene.»

Viviamo insieme da quasi cinquant’anni e non ho cambiato idea. Emilia è bellissima, è ancora bellissima.

«Non ti voglio bene, non te ne ho mai voluto.»

«Bugiardo!»

«Ti amo.»

«Io no! Perché sei un bugiardo.»

Ride, non saprei come fare senza di lei. Il rito si ripete identico ogni giorno, so perché lo facciamo, per dirci che siamo sempre noi, che viviamo senza perderci di vista. Davanti agli specchi dei due bagni della nostra casa, mentre Emilia si guarda per ritrovarsi, io, per ritrovarmi, mi sottraggo. A che punto mi trovo? Di cosa è fatto il mio presente, i miei interessi, le mie relazioni, i desideri, le nostalgie, gli umori, i pensieri negativi e positivi, il tempo che destino ai ricordi e quello rivolto ai progetti. Cosa si legge sulla mia faccia? Non so se voglio guardarmi. Sono ancora io?


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Capitolo I
Sono ancora io?

Non mi guardavo allo specchio, neppure quando ero un ragazzo. Così potevo immaginarmi. Emilia dice che non mi guardo perché sono pigro ma sbaglia, non è pigrizia, piuttosto un atto di superbia. Preferisco evitare i giudizi, anche quelli riflessi, anche il mio. Bisogna tutelarsi, anche da se stessi.

«Mi vedo brutta!»

Emilia è nell’altro bagno, davanti allo specchio.

«Sono diventata brutta, Aurelio.»

Sento che balza sulla bilancia, con quella fretta che non la lascia mai. Un breve silenzio, la lettura del peso che darà voce allo strazio.

«Bruttissima e grassa!»

Lo dice tutte le mattine e tutte le mattine le ripeto: «Non è vero, Emilia, non sei grassa e non sei diventata brutta, lo sai anche tu».

«Lo dici perché mi vuoi bene.»

Viviamo insieme da quasi cinquant’anni e non ho cambiato idea. Emilia è bellissima, è ancora bellissima.

«Non ti voglio bene, non te ne ho mai voluto.»

«Bugiardo!»

«Ti amo.»

«Io no! Perché sei un bugiardo.»

Ride, non saprei come fare senza di lei. Il rito si ripete identico ogni giorno, so perché lo facciamo, per dirci che siamo sempre noi, che viviamo senza perderci di vista. Davanti agli specchi dei due bagni della nostra casa, mentre Emilia si guarda per ritrovarsi, io, per ritrovarmi, mi sottraggo. A che punto mi trovo? Di cosa è fatto il mio presente, i miei interessi, le mie relazioni, i desideri, le nostalgie, gli umori, i pensieri negativi e positivi, il tempo che destino ai ricordi e quello rivolto ai progetti. Cosa si legge sulla mia faccia? Non so se voglio guardarmi. Sono ancora io?

Le otto della mattina, il sole illumina la stanza da bagno ma accendo ugualmente la luce. Ho giurato a me stesso che oggi l’avrei fatto, nessuna indulgenza, nessuna dilazione.

La testa. I capelli superstiti sono posizionati ai lati, l’ultima trincea. Una volta al mese vado da un parrucchiere cinese, vicino a casa, un tipo silenzioso. Evita di farmi le solite domande dei barbieri, “Come li vuole?”, oppure “Il solito?”. Il nostro dialogo si è concluso in occasione del primo incontro, quando mi ha chiesto: «Tagliare?». Un cinese che dice la erre, ho pensato. Avrei preferito che dicesse: “tagliale”? Forse sì, come nelle barzellette, i luoghi comuni, anche i più stupidi, cercano conferme. Tempo per la rasatura della testa: cinque minuti. Vado dritto alla cassa e pago, dieci euro. Mi dà lo scontrino. Oltre al taglio dei capelli mi sono fatto sfoltire le sopracciglia che sono più bianche che nere. Prima le tingevo, un espediente a cui ricorrevo per sembrare più giovane. Mi aveva convinto Emilia, diceva che le sopracciglia scure avrebbero dato risalto ai miei occhi, ma dopo un paio di mesi ho lasciato stare. Ora è tutto coerente, capelli, sopracciglia, baffi e barba miscelano il bianco al grigio. Non mi secca incanutire, non sono questi i mutamenti dell’età che temo, piuttosto è l’anarchia pilifera che mi spiazza, i peli che scompaiono e quelli che appaiono in alcune parti del corpo. E non è tutto, è in atto un’inquietante separazione tra le dita del piede sinistro: l’alluce e il secondo dito si sono avvicinati lasciando un vuoto al centro. Un’interruzione nell’allineamento che evidenzia un’estremizzazione a sinistra delle altre tre dita. L’altro piede, il destro, ha le cinque dita unite, compatte. Politicamente non saprei come interpretare la presa di posizione dei miei piedi. La solita frammentazione a sinistra? Invecchio e senza rendermene conto mi sto spostando a destra?

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Renzo Ceresa
È nato a Milano nel 1954, si è sposato a ventidue anni, ha tre figlie e quattro nipoti. Ha lavorato a Radio Rai per quarantadue anni, ricoprendo diversi ruoli. Curatore storico del programma “Caterpillar“, è stato direttore artistico del Caterraduno dal 2001 al 2018. Ha ideato e condiviso la direzione artistica di sette edizioni dei Radioincontri di Riva del Garda (2004-2010), evento nazionale dedicato al mondo delle radio pubbliche e private. Scrive poesie da sempre.
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