La porta annunciò col solito rumore metallico l’ingresso dell’ennesimo cliente.
Miriam alzò gli occhi dalle buste che stava controllando e le ci volle qualche secondo per mettere a fuoco il volto di Valerio.
Insieme a lui entrò l’odore di bosco che si portava sempre dietro.
Era una domanda stupida, tenendo conto degli ultimi eventi, ma era anche l’unico, formale, modo per rompere il ghiaccio.
Lo sapevano tutti: Miriam accoglieva chiunque nel suo piccolo ufficio postale con un sorriso cordiale e quella semplice ma calda frase di benvenuto.
Valerio era impegnato a pulire gli scarponi sul tappeto di gomma posto appena dentro il locale. Alzò lo sguardo cupo e bofonchiò un saluto.
Miriam digitò il nome dell’uomo sulla tastiera del suo PC e comparve il numero di archiviazione che era stato assegnato per la giacenza.
Aprì l’armadio e il cattivo odore che da qualche giorno impregnava l’aria la investì.
Proveniva proprio dal pacchetto spedito a Valerio.
Era felice di potersi finalmente liberare di quella puzza.
Lo consegnò a Valerio che lo guardò curioso.
“Non ho mai ricevuto un pacco per posta. Cos’è questo odore, poi?”
La donna alzò le spalle e rimase in silenzio, cercando di respirare il meno possibile per non inalare quell’odore insopportabile.
“Dove devo firmare?” chiese Valerio più rassegnato che curioso.
Miriam indicò il riquadro per la firma sul foglio del registro e lui firmò.
Poi, inaspettatamente, guardò Miriam dritta negli occhi e le confessò.
“Non so, Miriam, ho un po’ paura. Questo pacchetto puzza troppo e tu lo sai di Gigliola.”
Gigliola era la figlia di Valerio e, da parecchi giorni, di lei si erano perse le tracce
A questo punto, non poteva più restare in apnea, doveva rispondergli per forza.
Alzò il collo del maglioncino di lana fino a sopra il naso e disse: “Sì, Valerio. Mi dispiace tantissimo. Non ho mai avuto occasione per dimostrarti la mia vicinanza. Immagino la tua preoccupazione… E questo pacco, hai ragione, è molto sospetto. Forse dovresti andare dai carabinieri ad aprirlo.”
Valerio era sempre stato una roccia. Lo conoscevano tutti in paese, anche se passava più tempo nei boschi che nei bar. Dopo la scomparsa della figlia, però, si era chiuso ancor più in sé stesso. La primavera era appena iniziata, i campi si stavano tingendo di verde e il profumo dei fiori riempiva l’aria quando Gigliola, la sua figlia ventenne, aveva lasciato la casa con l’intenzione di fare una passeggiata nei boschi, un’abitudine che aveva ereditato da suo padre. Indossava i soliti jeans, una maglietta bianca di due taglie più grandi un cappello di lana rossa che le aveva fatto sua mamma. Questa era la descrizione che era stata fornita ai giornalisti e alle forze dell’ordine.
Miriam ricordava ancora con un certo fastidi le troupe televisive appostate in ogni angolo del paese, a fare domande ai passanti.
Valerio aveva mal sopportato tutto quel fragore mediatico, nella speranza che potesse aiutare a ritrovare Gigliola.
Con il passare dei giorni, il mistero della scomparsa di Gigliola rimaneva irrisolto. I giornalisti se ne erano andati, senza risposte.
Il bosco, che un tempo era stato un luogo di pace e rifugio, divenne un labirinto di dolore e domande senza risposta. Valerio continuava a cercare, sperando ogni giorno di trovare un segno, una traccia, qualsiasi cosa che potesse riportargli indietro la sua amata figlia.
Miriam non si sarebbe mai immaginata di vederlo aprirsi e di mostrare la sua fragilità. Invece, ora, davanti a lei, Valerio era sull’orlo di una crisi di nervi. Stava cedendo. Tutta la sua armatura stava crollando, pezzo per pezzo e lei, in tutta verità, aspettava solo che quell’uomo portasse via quell’orrendo involucro di cartone.
Alla fine, uscì da dietro il bancone, prese Valerio per un braccio e lo trascinò fuori. All’aria aperta, finalmente, poté abbassare la maglia e respirare liberamente.
Lo invitò a sedersi con lei su una panchina in sasso che di solito ospitava i clienti in attesa del loro turno. A quell’ora, l’ufficio era in chiusura e quindi la trovarono libera. Lui obbedì docile.
“Se ci fosse ancora la Luisa, lei saprebbe cosa fare. Io sono solo disperato.”
Miriam non aveva mai conosciuto la moglie di Valerio. Era morta di cancro ancora prima che lei cominciasse a lavorare nell’Ufficio del piccolo paese di Ontaneto.
Ne aveva sentito parlare, però.
Il paese è piccolo e la gente mormora.
Si diceva che la Luisa fosse stata una donna eccezionale.
Era molto amata, sempre gentile con tutti, bella come le donne di altri tempi.
E lei e Valerio erano una coppia stimata e benvoluta da tutti i compaesani.
“C’è poco da fare” buttò lì Miriam. “La Luisa ti direbbe lo stesso. Vai dai Carabinieri ad aprire quel coso. La Gigliola è scomparsa e non sappiamo in che modo. Potrebbe essere collegato”
“Non so” ribatté l’uomo. “E se non c’entrasse niente? Che figura ci farei?”
“Senti. Facciamo così: chiudo qui e ci andiamo insieme. Denuncio io la stranezza di quel collo. Ti va bene così?”
Gli occhi di Valerio si riempirono di lacrime di gratitudine.
“Grazie” fu l’unica cosa che riuscì a risponderle.
2
Gigliola era scomparsa un pomeriggio di aprile.
Il sole gentile esaltava il verde dei prati d’intorno.
La primavera spingeva e tutto sembrava più facile.
Valerio era impegnato a sistemare le viti nella campagna sopra il paese e Lolly, il piccolo pastore scozzese che da qualche anno era diventato un componente della famiglia, aveva fatto capire chiaramente che aveva voglia di fare un giretto.
Si era piantato davanti a Gigliola col guinzaglio in bocca e aveva cominciato a guaire fino a muoverla a compassione.
La ragazza si era infilata un cappuccio di lana rosso.
Anche se fuori era caldo, non voleva rischiare di prendersi il raffreddore visto che quella sera aveva appuntamento con Luca.
I lunghi capelli di Gigliola scappavano dal cappuccio e ricadevano morbidi sulle spalle. Gli occhi, neri come la pece, sorridevano e il viso era illuminato dalla gioia che Lolly sapeva trasmetterle quando si svegliava dai suoi lunghi sonnellini e la cercava per due coccole o per una passeggiata.
Erano le 14 quando uscirono dal cancellino di casa.
La vicina raccontò poi ai carabinieri di aver notato un furgoncino bianco, posteggiato sin dal mattino nella via. Le era sembrato strano. Conosceva tutti gli abitanti dell’isolato e nessuno aveva quel tipo di veicolo.
Quando Valerio rientrò dai campi, trovò la casa vuota.
Aspettò seduto al tavolo del soggiorno finché il buio piombò nell’appartamento.
Allora prese una torcia e uscì per cercare la figlia in tutto il paese e nel bosco.
Solo all’alba si decise a rivolgersi alle forze dell’ordine.
Subito, il silenzio del mattino fu infranto dal potente suono delle pale di un elicottero che girava nel cielo come un calabrone infuriato.
Tutta la gente di Ontaneto si mise a disposizione per la ricerca.
Frugarono dappertutto.
L’unica cosa che trovarono fu il cappello di lana rosso di Gigliola.
3
Per tutto il viaggio verso la vicina cittadina di Vergnano, Valerio era stato zitto, stretto nella piccola utilitaria di Miriam che si lanciava a tutta velocità per la stretta carreggiata che passava attraverso i campi e poi costeggiava il fiume Reno.
L’uomo teneva il pacchetto fetido fuori dal finestrino, stringendolo con la mano destra.
Faceva fatica a trattenere quel cartone. Allo stesso tempo, però, non voleva lasciarlo chiuso nel bagagliaio.
Sicuramente c’era un collegamento con la scomparsa di sua figlia, di questo era certo.
Era terrorizzato.
Miriam era concentrata sulla strada. Stava andando troppo veloce per quelle curve ma non vedeva l’ora di arrivare a destinazione.
Aveva un bruttissimo presentimento e, di certo, non ci voleva mica la laurea in criminologia per intuire che in quel maledetto pacchetto ci fosse un pezzo di corpo putrefatto.
Davanti al campanile di Ontaneto premette il freno e inchiodò la Panda.
Valerio fu trattenuto dalla cintura di sicurezza che premette sulle sue costole e spinse fuori un’imprecazione.
Miriam fece il segno della croce, sotto lo sguardo incredulo dell’uomo.
“Fallo anche tu!” gli intimò.
“Ma Miriam, ma che cosa stai dicendo?!” gli rispose lui, fuori dai gangheri.
“Dai, per una volta, chiedi aiuto al Signore che qui ce n’è bisogno!”
“Io non ci credo…”
“Ma cosa importa? Tu fallo e basta! Mettiti in contatto con l’energia positiva dell’universo, magari serve.”
“Smettila e riparti”
“Parto solo dopo che tu hai fatto il segno della croce o una preghiera.”
“Miriam!”
“Avanti” insistette. “Cosa ti costa, vecchio brontolone?”
L’uomo obbedì, più per porre fine alla conversazione, che per altro. Però, in quel gesto ci mise la speranza di essere ascoltato.
Miriam ingranò la prima e ripartì sgommando.
4
Quando arrivarono alla caserma di Vergnano, il braccio di Valerio era indolenzito per il lungo tempo di inattività. Le dita si erano irrigidite in una stretta morsa intorno al pacchetto e l’angoscia aveva spento ogni altra emozione.
Scese dall’auto in uno stato di trance e si diresse verso il portone della stazione dei Carabinieri.
Miriam parcheggiò alla bell’e meglio accanto all’aiuola del parchetto di Piazza della Pace e raggiunse l’amico all’ingresso della caserma.
Premette il campanello che, in risposta emise un anonimo ronzio, e la telecamera illuminò i loro visi sconvolti.
Spiegarono brevemente il motivo della loro visita al militare che aveva risposto e quello fece scattare lo scrocco del portone.
Miriam teneva premuto un fazzoletto sulla bocca mentre Valerio pareva non sentire l’odore nauseabondo che l’oggetto nelle sue mani emanava.
Era un cacciatore, Valerio.
Ne aveva viste di carogne in decomposizione nei boschi, bestie uccise dai lupi o cadute nei dirupi e morte di fame.
Non si lasciava sconvolgere dai processi della natura, nemmeno da quelli più macabri. Quello che più lo metteva in crisi era la gestione dei sentimenti, specialmente di quelli afferenti alla sfera del dolore.
Finalmente arrivarono al piano adibito a Reception. La hall della caserma dei carabinieri era ampia e ben illuminata, con pareti dipinte di un bianco austero che rifletteva la luce artificiale dei neon sul soffitto. Un grande stemma dell’Arma dei Carabinieri troneggiava sopra il bancone principale, conferendo all’ambiente un’aria di solennità e autorità.
Il pavimento era rivestito di piastrelle grigie, impeccabilmente pulite, che risuonavano sotto i passi di chiunque vi entrasse. Ai lati della sala, alcune sedie di metallo con imbottiture rosse erano disposte in fila, offrendo un posto dove aspettare per chiunque avesse bisogno di assistenza. Sopra di esse, poster informativi e avvisi ufficiali erano affissi alle pareti, fornendo informazioni utili ai cittadini.
Dietro il bancone, un giovane carabiniere li fece accomodare. Indossava la divisa impeccabile e aveva un’aria di serietà e professionalità. Appena Valerio entrò col fetido reperto, l’odore acre si sparse rapidamente nella stanza, colpendo le narici del giovane militare. Istintivamente, fece un passo indietro, la sorpresa e il disgusto chiaramente visibili sul suo volto. Poi, con un rapido movimento, si ricompose, mettendosi subito in allerta e osservando attentamente il pacco che Valerio teneva in mano.
La tensione nell’aria era palpabile. Ogni gesto, ogni sguardo era carico di aspettativa e preoccupazione. Valerio si avvicinò al bancone, mentre il giovane carabiniere si preparava ad affrontare l’inaspettato
“Signor Nanni, cosa succede?” chiese allarmato il giovane.
Non era passato molto tempo da quando Valerio Nanni era stato in quell’ufficio per denunciare la scomparsa della figlia Gigliola Nanni.
La fotografia di Gigliola gli sorrideva dalla parete beige dell’ufficio dove era stata affissa la segnalazione.
Da un mese non aveva notizie della figlia e ogni giorno vagava per i boschi intorno al luogo di ritrovamento del cappello rosso, che non aveva potuto riportare a casa.
Era stato sequestrato e mandato ai RIS di Parma per trovare eventuale materiale biologico appartenete a qualcuno che non fosse Gigliola. Per capire se qualcun altro c’entrasse con la sparizione della ragazza.
C’era una remota possibilità che si trattasse di un allontanamento volontario.
Valerio non aveva mai creduto a quella teoria: Gigliola non gli avrebbe mai fatto una cosa simile, non ne aveva motivo.
Erano passati solo tre anni dalla perdita della loro cara Luisa, mamma e moglie amorevole, e lui era ancora tramortito da quel lutto.
La figlia si prendeva cura di lui e della casa, ma lo faceva con amore.
Non lo avrebbe mai abbandonato a sprofondare nella solitudine, portandosi via anche Lolly.
Era pur vero che Gigliola, poco dopo la morte della mamma, aveva avuto un periodo di sbandamento. Spesso rimaneva a dormire a Bologna, dove studiava, a casa delle sue amiche. Quando tornava, si chiudeva in camera e dormiva per tutto il giorno.
Era taciturna e nervosa, aveva un aspetto preoccupante.
Ma poi si era ripresa.
Da qualche tempo poi, Valerio lo aveva raccontato anche ai carabinieri, Gigliola aveva cominciato a frequentare un ragazzo ma di lui sapeva solo che si chiamava Luca.
Insomma, non c’era motivo perché lei, ora, scappasse di casa.
Dopo tutto quel tempo senza sue notizie, però, Valerio stava sperando con tutte le sue forze che sì, lei se ne fosse andata, magari con quel Luca, fregandosene delle pene del vecchio padre, ma che fosse viva e che stesse bene.
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