Ai margini della sala, una tenda di velluto nero. Dietro, un carrello d’acciaio con la torta di compleanno: un semplice pan di spagna con la candelina dei cinquant’anni. Ma non doveva essere una “millefoglie” a quattro piani?
Il vestito! Che ci faccio in questo squallido tubino grigio, lungo fin sotto il ginocchio? Che fine ha fatto il mio abito color blu navy, dal taglio esclusivo?
Osservo le facce degli invitati. Ovunque vedo sopracciglia aggrottate, bocche incurvate verso il basso. Tutti che, bicchieri in mano, mi guardano in tralice, parlottano tra di loro e scuotono il capo.
D’improvviso mi manca l’aria. Vorrei fuggire. Decido di farlo. Cerco una via d’uscita, ma non ne vedo. Com’è possibile? C’era una grande porta di fronte, e uscite secondarie su due lati. Ah! Le finestre… Macché! Scomparse anche quelle.
Cerco con gli occhi marito e figlie, ma non c’è traccia di loro. Solo volti sconosciuti e ostili.
Ora mi gira la testa e sudo, sudo copiosamente. Devo andarmene! Finalmente si apre la grande porta che non c’era. Meno male! Penso. Ma da lì entra una schiera di poliziotti in divisa. Uno di loro mi mostra il distintivo dicendo con voce asciutta: «Tiziana De Santis, lei è in arresto con l’accusa di omicidio». Le mie gambe cedono e crollo con le ginocchia sul pavimento, mentre l’ultima parola pronunciata dall’ufficiale rimbomba come un’eco nella mia testa: «Omicidio, omicidio, omicidio…»
Mi copro le orecchie con le mani, le sento appiccicose. Le guardo. Sono sporche di sangue. Gli ospiti mi accerchiano e, con i bicchieri levati verso l’alto, come in un brindisi, gridano in coro: «Assassina! Sei un’assassina!»
Spalanco gli occhi nel buio. Stavolta Fabio non si è svegliato. Forse, dopotutto, non ho gridato. Ma il mio respiro è ancora pesante. Ansimo. Temo che lui possa sentire il martellare del mio cuore impazzito, allora mi alzo piano e vado a chiudermi in bagno, attenta a non fare rumore.
La luce dello specchio mi ferisce gli occhi. Quando riesco a mettere a fuoco la mia immagine, vedo un viso pallido, occhiaie profonde e capelli scompigliati.
Mi sciacquo la faccia e cerco di ricompormi. Poi mi specchio di nuovo. «Tiziana, devi raccontargli tutto», mi dice l’altra me, «non puoi continuare così!»
«Dopo vent’anni? Come potrei giustificare di aver taciuto per tutto questo tempo?»
«Fabio capirà, vedrai! E comunque hai bisogno di aiuto. Questi incubi non passano da soli.»
«Passeranno», dico spegnendo la luce per zittire lo stupido grillo parlante.
Passeranno, penso mentre mi rimetto a letto e già sento negli auricolari la voce di Baglioni. Sarà una “Notte di note”. Un’altra notte di veglia, e di canzoni nel buio.
CAPITOLO IV
Billie Jean
La festa di compleanno è un successo. Tutto è come doveva essere: il buffet, il vestito, la torta, la musica … Tutto, tranne una cosa: mia madre (ottant’anni suonati) che da oltre mezz’ora balla disco music al centro della pista. È il sesto brano musicale che interpreta instancabile, impegnandosi in improbabili fantasie coreografiche. Ora, sulle note di Billie Jean, favorita dalle luci colorate che la illuminano a intermittenza, è impegnata in una reinterpretazione scenica di Michael Jackson. E lo fa con discreto successo! Tanto che gli altri ospiti hanno rinunciato a ballare e le si sono disposti intorno battendo le mani al ritmo della canzone.
Io, mio fratello e mia sorella guardiamo impotenti la scena, alla disperata ricerca di una strategia per far cessare l’imbarazzante esibizione.
«Vado io» dico con coraggio. Con un calice di prosecco in mano, mi faccio spazio tra i divertiti spettatori, raggiungo mia madre e, con un sorriso radioso, le porgo il bicchiere, la prendo a braccetto e la porto via: «Su, ora fai una pausa e bevi qualcosa».
«Ma mi stavo divertendo!» protesta lei senza rinunciare a tracannare lo spumante.
«Vorrà dire che dopo ti fai un altro giro di pista, ora però lascia ballare gli altri.»
«Ma sì, hai ragione, penso che mi riposerò un po’. Siediti un attimo con me, facciamo due chiacchiere.»
Se questo è il prezzo per risolvere la questione, lo pago volentieri.
«Ti volevo parlare di Erica», mi dice mentre cerca nella borsetta il fazzoletto di lino per asciugarsi la fronte.
La guardo con espressione interrogativa e lei prosegue: «Non mi piace per niente! La vedo magra, troppo magra!»
«Dai, mamma, sempre la solita storia! Ti piaceva da bambina, quando era cicciona e tu la ingozzavi di cibo come hai fatto con me?»
«Ma che cicciona e cicciona! Era solo un po’ paffutella! E stava benissimo. Tu invece le hai fatto venire i complessi e ora ha esagerato al contrario.»
«Mamma, ma che dici? Erica è in perfetta forma, ora. Guardala, ha un fisico da modella! Poi mangia un sacco. Stasera, per esempio, è la terza volta che la vedo passare con il piatto stracolmo di cibo.»
«Appunto! Il problema è proprio questo: tu vedi ma non osservi.»
Ora dai suoi occhi cangianti spunta un’espressività che mi fa ritornare bambina, e il mio piglio di risolutezza vacilla di fronte all’autorità genitoriale.
«Anch’io l’ho vista passare e ripassare con i piatti colmi», prosegue lei, «e mi è sembrato strano. Perciò l’ho osservata. Ecco guardala! Sta passando proprio ora».
Erica attraversa la sala portando una generosa porzione di vitel tonné, arriva a un tavolino d’angolo dove sono sedute le sue amiche, posa il piatto al centro, poi si siede anche lei e comincia a sorseggiare un bicchiere d’acqua.
«È tutta la sera che fa così», spiega mia madre. «Va avanti e indietro portando piatti a quel tavolo e lei non mangia niente. Beve soltanto. Acqua, per giunta!»
«Vabbè, mamma, ma non significa nulla!»
«Non mi piace, ti dico. Devi andare in fondo a questa questione!»
«Va bene, d’accordo, cercherò di approfondire», dico per mettere fine al discorso.
Mia madre annuisce soddisfatta, poggia il bicchiere e annuncia: «Bene! Ora penso che ballerò un altro po’».
Si dirige verso la pista, ondeggiando a tempo di musica nel suo abito di seta verde. E in un attimo è già parte di una moltitudine danzante, da cui spicca vistosa la sua testa biondo platino.
Non si è persa un ballo in tutta la serata e pretende di sapere cosa ha mangiato e cosa non ha mangiato sua nipote! Ma roba da pazzi! E per me la questione è accantonata.
…omissis…
CAPITOLO X
Diari segreti
Il diario segreto l’ho sempre avuto, sin da bambina. Quando facevo discussione con mio padre (e capitava spesso), poco dopo mi accorgevo che il mio diario era stato violato, che qualcuno aveva in qualche modo avuto ragione dell’esile lucchetto e si era insinuato nei miei pensieri, credendo di non aver lasciato alcuna traccia.
In realtà avevo un sistema infallibile per scoprire gli accessi indesiderati: ogni volta che richiudevo il diario, incollavo i due capi di una cordicella quasi invisibile su due pagine adiacenti, in modo che, se qualcuno lo avesse aperto, avrebbe staccato il filo.
Conoscevo il punto di vista di mio padre: lo faceva perché “voleva proteggermi”, ma non per questo giustificavo quell’atto, di chiaro stampo fascista come colui che lo praticava.
Bastava che io dicessi qualcosa del tipo: «Ma perché Luigino può uscire quando e con chi vuole, mentre io e Giovanna (che è pure più grande di lui) dobbiamo restare prigioniere in casa? Non sarà mica perché siamo “femmine”?» per far sì che il mio dispotico genitore si sentisse autorizzato (“per il mio bene”, si intende) a fare di tutto per sapere “cosa mi passasse per la testa”, e fino a che punto “la pianta stesse crescendo storta”.
«Naturale!» era la sua farneticante risposta alle mie ragionevoli proteste. «Non pretenderai mica che le femmine possano fare le stesse cose degli uomini! Per diventare una buona madre di famiglia, devi avere un comportamento serio. Una brava figlia non se ne va in giro senza motivo, ma resta a casa a studiare e ad aiutare sua madre nelle faccende domestiche.»
Ora, il diario di Erica è sulla scrivania. Lei è a scuola ed è certa, assolutamente certa, che nessuno lo aprirà. Ne è talmente certa, che non ha incollato alcun filo alle pagine di quel quaderno, né lo ha protetto con un lucchetto o qualsivoglia sistema anti intrusione.
E tanto grande è la sua fiducia nei nostri confronti, quanto lo è la mia riprovazione verso me stessa, ora che sto per tradire questo sentimento, così bello e sincero, in nome di un millantato dovere di protezione che, come genitore, dovrei nutrire nei suoi confronti.
Ma nonostante queste considerazioni, sono determinata a leggere il diario di Erica. Devo sapere “cosa le passa per la testa” e, soprattutto, devo capire se è colpa mia.
Lo apro. È scritto fitto fitto, nell’inconfondibile grafia ordinata di Erica. Vado a una pagina a caso.
Bari, 10 febbraio 2018
Nessuno si accorge che sto male, per gli altri sono invisibile, ma va bene così, perché è così che voglio essere.
Solo che io mi vedo, eccome se mi vedo! Se potessi, eliminerei tutti gli specchi che abbiamo in casa.
L’altro giorno è stato il compleanno di mamma, ha organizzato una grande festa in una sala bellissima con tanti invitati. Ci siamo vestiti tutti eleganti. Lei era splendida. Quando si è messa il vestito è venuta a chiedermi: «Erica, come sto? Si vede che sono dimagrita? Ho perso quasi tre chili, sai?». Io le ho risposto che stava benissimo e che certo, si vedeva che era dimagrita.
Poi mi sono guardata allo specchio e mi sono vista grassa. Sono settimane che non mangio ma sono ancora più grassa, tanto che non ho il coraggio di salire sulla bilancia. Allora mi sono chiusa a chiave in bagno e mi sono messa a piangere.
Se fossi dimagrita mamma se ne sarebbe accorta. Non dico papà, ma almeno mamma! Perciò è chiaro che non è così. Sono ingrassata e nessuno me lo dice, per non dispiacermi.
A un certo punto mamma ha bussato alla porta del bagno per dirmi di sbrigarmi, che era tardi. Mi sono asciugata le lacrime e mi sono truccata in fretta.
Quando Valentina mi ha vista, ha detto: «Ma non vedi come ti va largo questo vestito? Sei diventata troppo magra. Ora basta con ‘sta dieta!». Bugiarda! lei è magra e bella e vuole che io resti grassa e brutta.
Alla festa erano tutte più magre di me. Io naturalmente non ho preso nulla dal buffet, men che meno la torta. Ho solo bevuto acqua. Cerco di mangiare il meno possibile ma non serve a niente: continuo a ingrassare. Forse non devo bere nemmeno l’acqua. Farò così, almeno se non mangio e non bevo non avrò necessità di andare in bagno. Ogni volta che vado in bagno è tempo sottratto allo studio e non va bene, non posso permettermi di interrompere di studiare per andare in bagno! Papà ci tiene allo studio e io non voglio dargli dispiaceri.
Quando ero piccola gli ho promesso che diventerò medico, perché seguivo in TV “Un medico in famiglia”. Forse se lo divento si accorgerà che sono brava. O forse no, perché lui lo dà per scontato.
Mamma invece ci tiene alla danza classica, perciò quella non la posso proprio smettere, anche se ultimamente mi riesce faticoso ballare. Del resto, così grassa cosa pretendo!
Devo assolutamente dimagrire, non voglio dare un dispiacere a mamma, lei ne ha già tanti di dispiaceri. La leggo, la tristezza in fondo ai suoi occhi, nascosta dietro la maschera di allegria. Anche Valentina se n’è accorta. Perché si affanna così tanto a tenersi sempre impegnata? Gira e gira come una trottola ubriaca. Quali sono i pensieri che vuole scacciare? E perché ha gli incubi la notte? E perché papà non se ne accorge? E perché mamma e papà non si accorgono di me?
Annamaria de Angelis (proprietario verificato)
Molto bello e avvincente!!!