Emanuele scrive lettere alla moglie Sofia, convinto che lei sia lontana per un lungo viaggio, ignorando la dolorosa verità: Sofia è morta in un incidente stradale. Rinchiuso in quello che crede il suo appartamento, Emanuele vive in realtà in un reparto psichiatrico, prigioniero di una mente piegata dal dolore. La sua vita si snoda tra autoinganni e una realtà surreale, plasmata da allucinazioni che nutrono il mondo fittizio in cui si rifugia. L’ammissione della morte di Sofia sarebbe un peso insostenibile, e così la sua mente costruisce un universo distorto al fine di proteggersi. Ma Sofia non torna, e l’equilibrio fragile di Emanuele si spezza lentamente, facendolo precipitare nell’abisso di una realtà inaccettabile.
Perché ho scritto questo libro?
Qualche tempo fa, un bambino piagnucolone è entrato nella mia vita. Urlava incessantemente, come se volesse restare per sempre. Niente paura: ormai è lontano e la mia casa è tornata tanto silenziosa da spingermi, attraverso queste pagine, a rivivere emozioni passate. Quel bambino rappresenta il vuoto che, talvolta, l’amore lascia in eredità: un ospite indesiderato, apparentemente eterno. Spero che questo racconto possa far sentire meno solo chi sta affrontando il rumore di un pianto senza fine.
ANTEPRIMA NON EDITATA
Prima lettera:
Cara Sofì,
alter ego del mio bene, amo ogni tua linea o sfumatura; ma se dovessi scegliere, direi che di te amo soprattutto il nome: Sofia. Non è uno di quei nomi ruvidi e goffi che sguinzagliano la lingua facendola sbattere su palato e denti. Nel pronunciare il tuo nome, questo ripugnante strumento anatomico, rimane immobile, si astiene con religioso rispetto.
Sofia.
Ascolta. Senti come i denti sfiorino dolcemente il labbro inferiore nel pronunciare la f, con un gesto più leggero del tempo. Percepisci come i denti entrino in contatto con le morbide labbra servendosi di una tenera carezza.
Un’armonia perfetta, una simmetria incantevole.
Sarai stanca di sentir dire che il tuo nome significa saggezza. Ti capisco, questa banalità sconfina nell’insulto.
Io amo il tuo nome non per il suo significato, ma per l’elegante danza di lettere che lo compone.
Si apre con un sibilo sottile: ssss…, come un richiamo che silenzia una folla rumorosa.
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Poi, quand’ella tace, si apre il sipario e inizia il ballo: So. Senti che bella accoppiata di lettere? So. Queste due lettere, così semplici e anonime se prese singolarmente, insieme vibrano di significato. Poi arriva la protagonista, e le due lettere precedenti sfumano in essa come un soffio; lo sfiorare dei denti sulle labbra crea l’intermezzo simmetrico: Sof. Poi si aggiunge la i e il tuo nome prende significato ancor prima di completarsi, concretizzandosi nella tua bellissima persona: Sofì. Infine, questo meraviglioso ballo, si conclude con la lettera a. Sofia. Hai notato come il tutto si conclude con la prima lettera dell’alfabeto? La prima che i bambini pronunciano in un vagito carico di vita? Il tutto si chiude con la lettera che simboleggia l’inizio, creando un cerchio perfetto che incoraggia a iniziare nuovamente il tuo ballo. Sofia. Sofia. Sofia…
La nostra asimmetria si nota già da questo. Come sai, io mi chiamo Emanuele, e non c’è nulla di poetico in questo. Esprime una razionalità da cui mi sono sempre voluto allontanare. Emanuele. Lo senti? Senti come non c’è nulla di speciale? Non c’è grazia, non c’è leggerezza. La lingua sbatte ben due volte contro il palato, sottolineando la pesantezza del suono. Senza contare la m, che fa chiudere le labbra con maldestra brutalità, quasi a voler interrompere le parole ancor prima che possano arrivare a compimento.
Ma non importa. Anzi, il mio nome, così ottuso, fa risaltare il tuo.
Nelle parole c’è tutta la bellezza dell’ingegno umano e tutta la poesia dell’anima. E tu, Sofì, nel tuo nome racchiudi la bellezza più pura di cui l’uomo è capace. In te, mia cara, hai poesia e simmetria, hai danza e immobilità.
Con i tuoi capelli color rame e i tuoi occhi grigi, presi in prestito dalla dea Atena, sei bellissima.
Ti aspetto ogni giorno con sempre più impazienza. So che sei arrabbiata con me, ma spero che questa dolce lettera possa farmi perdonare e convincerti a tornare finalmente tra le mie braccia.
Sento il fiume,
le rocce rotolare,
il cinguettio di un uccello lontano
appollaiato su di una betulla.
Poi ti allontani.
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