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Cari papà

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Paolo e Giorgio vedono Bastiaan per la prima volta in un orfanotrofio di Amsterdam. Ha addosso un paio di pantaloncini che gli pendono molli dai fianchi magri e un maglione con i fili tirati. Tiene le mani serrate a pugno, gli occhi fissi sul pavimento. Sta insieme agli altri, ma è come se fosse solo. «È un bambino difficile» li informa il direttore, ma il cuore dice loro che è quello giusto.
E così Bastiaan diventa Sebastiano e inizia una nuova vita, in una vera casa, con due meravigliosi papà.
Al netto delle chiacchiere di chi li circonda, i Casati, come ogni famiglia, dovranno affrontare piccole e grandi difficoltà. Riusciranno a uscirne a testa alta?

Le doglie arrivarono che non era ancora riuscita a contattare quel bastardo – che morisse della morte più crudele – del suo pusher. Aveva girovagato tutta la sera, percorso mille volte la strada dove di solito l’aspettava all’angolo, con quel suo fare irrisorio, soddisfatto di non essere mai caduto in tentazione, con il suo sangue pulito, il cervello integro e le tasche piene di soldi. Si chiamava Clement – ironia della sorte! – ma per tutti i disgraziati come lei lui era il Koning, il re.
Oh, ma se è vero che esiste un Dio, la dovrà pagare cara. Lo ucciderò strangolandolo con queste mie mani, gli stringerò il collo con tutta la forza dell’odio che provo per lui, poi gli sputerò in faccia e lo getterò nel canale.
Il liquido amniotico scese giù per le gambe, le bagnò le calze, le scarpe, finì per terra formando una piccola pozza d’acqua. Fu presa da spasmi incontrollabili. Si stese sul lastricato e spinse con le poche forze che le rimanevano, finché il bimbo non uscì dal suo ventre malato. Tagliò il cordone ombelicale con il coltellino che teneva sempre in tasca, la sua unica arma di difesa. Non degnò il neonato nemmeno di uno sguardo, doveva sbarazzarsi al più presto di quell’inutile zavorra. Si rialzò barcollante, raggiunse il primo cassonetto della spazzatura e lo buttò dentro, come un ammasso di rifiuti.

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1.
Da alcune ore ormai sei disteso inerte su questo letto d’ospedale, papà. Hai la pelle bianca come il lenzuolo che Giorgio cerca continuamente di sistemarti con le mani. Sul bordo superiore, quello che spunta dalla coperta, c’è una sigla: S.C.B. È ricamata con del filo blu e sta per San Carlo Borromeo, l’ospedale che ti ha accolto in fin di vita. Hai avuto un’emorragia cerebrale, così hanno detto i medici che ti hanno soccorso. Sei stato sottoposto a un intervento e adesso sei tenuto in coma farmacologico, per proteggere il cervello da eventuali stress. Giorgio non ti ha lasciato un momento, se non per andare in bagno. Adesso sta riposando sul letto accanto al tuo. Io sono qui, seduto su questa scomoda poltrona, e prego Dio che ti faccia vivere e ritornare l’uomo forte che sei sempre stato.
Giorgio aprì un occhio.
«Sei ancora qui, Sebastiano? Che ore sono?»
«Le tre del mattino.»
«Su, vai a casa che ci sto io con lui.»
«Non voglio lasciarvi soli, papà.»
Sebastiano aveva l’abitudine di chiamare i suoi genitori adottivi ciascuno con il proprio nome: per lui erano Paolo e Giorgio. Sentire quella parola uscire spontanea dalla bocca di quel figlio tanto desiderato diede a Giorgio una gioia immensa. Nonostante il dolore, un sorriso gli affiorò sulle labbra.
Sebastiano Casati, il cui vero nome era Bastiaan, era stato abbandonato da una ragazza madre in un cassonetto della spazzatura. Lo aveva trovato più morto che vivo un signore che abitava nei paraggi. Era stato tempestivamente soccorso e salvato, pronto per passare una buona parte della sua vita in un orfanotrofio olandese, fintantoché qualche coppia disperata senza figli non lo avesse adottato.
Aveva cinque anni quando sorella Anne lo condusse nell’ufficio del direttore, heer Olav Steiner, dove due signori gentili lo stavano aspettando. Uno di loro, il più giovane, gli si avvicinò, gli fece una carezza e gli chiese: «Come ti chiami?».
Lui non capiva, quell’uomo parlava strano, ma anche se avesse capito non avrebbe risposto. Bastiaan non parlava, aveva scelto il silenzio come arma di difesa. Nel suo tacere aveva riposto tutta la disapprovazione per il mondo che gli aveva negato una vita normale, anche se quella era la sola vita che conosceva. Il signore più giovane gli scompigliò i capelli e lo prese per mano.
Lui si fece la pipì addosso. Sarebbe stato punito per questo. Allora prese a dondolare su se stesso, un movimento consolatorio, ciò che uno psicanalista avrebbe definito “una compensazione”. Il direttore lo riconsegnò a sorella Anne, l’inserviente simile a un bulldozer, che appena fuori della porta lo strattonò dicendogli di vergognarsi, che era troppo grande per fare ancora quelle cose e che non doveva ripetersi mai più, tanto meno in presenza di chi voleva conoscerlo per portarlo in una vera casa.
Bastiaan non sapeva che cosa fosse una vera casa e fu preso da una crisi di panico. Gli saltò al naso un odore sgradevole e lo stomaco gli si rivoltò. Era così la casa? La pancia cominciò a borbottare, borbottare e il rumore a ingigantirsi, ingigantirsi dentro la sua testa. Gli sarebbe uscito dalle orecchie, dal naso, dal corpo, sarebbe fluito sotto la porta fino ad arrivare a heer Steiner e a quei due signori che lo volevano portare chissà dove. E perché mai qualcuno avrebbe voluto prendersi cura di un bambino come lui, un bambino che tutti prendevano in giro? “Bastiaan si è mangiato la lingua, Bastiaan si è mangiato la lingua”, questo era il ritornello che lo accompagnava, la colonna sonora della sua giovane vita.
Volevano capirlo che non era muto? Lui la voce ce l’aveva, ma non riusciva a tirarla fuori. Così si lasciò cadere per terra con le mani che gli coprivano il viso.
Sorella Anne comprendeva tutto il suo dolore, ma non poteva fare altrimenti. Lo issò in piedi e lo sculacciò. Le era stata imposta una regola: mai affezionarsi a quei bambini. Erano tanti, troppi, e loro erano poche, un pugno di persone per più di cento creature.
«Se lo farai ancora sarò costretta a metterti il pannolino, così tutti rideranno di te e nessuno, dico nessuno, ti vorrà più.»
Sorella Anne era stata più che esplicita.
Quella notte Bastiaan ebbe di nuovo L’incubo. Una nuvola maleodorante lo avvolgeva e non riusciva a respirare. Aveva gli occhi aperti ma non vedeva nulla. Fiutava il pericolo, come gli animali, ma gli animali fuggivano dai pericoli, lui invece riusciva solo a muovere le braccia…
Si svegliò madido di sudore nonostante il freddo. Il pisello gli stava per scoppiare, ma non doveva assolutamente fare la pipì, pena il pannolino.

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Commenti

  1. (proprietario verificato)

    Ho letto le bozze del romanzo”Cari papà “tutto d’un fiato e mi sento di dire che tutti dovrebbero leggerlo! 👍🤗

  2. (proprietario verificato)

    Mi sto’ letteralmente innamorando dei due piccoli protagonisti .

  3. Camillo

    (proprietario verificato)

    Conosco la scrittura di Manuela Fuga perché ho letto tutti i suoi libri , dal contenuto sempre originale e devo dire che non si smentisce mai !
    Il suo ‘ Cari papà ‘ mi sta proprio piacendo un sacco !
    Da 0 a 10 ..sicuramente 10 …!

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Manuela Fuga
è nata a Venezia, città in cui vive e lavora. Prima di Cari papà ha pubblicato Il miliardario che rubò Venezia, del quale uscirà a breve la traduzione in lingua inglese, e Il segreto della terza colonna.
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