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Cassandra aveva ragione, però…

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Cassandra è una giovane insoddisfatta e senza un obiettivo preciso. Osserva gli altri e si chiede come mai tutti siano in grado di capire cosa vogliono dalla propria vita, mentre lei avanza nella nebbia con incertezza. Così le sue giornate scorrono senza colpi di scena, tra il lavoro al bar, le liti con il capo, i pranzi con il fratello e le chiacchierate con le amiche più care, Viola e Morgana.
Ma in maniera del tutto improvvisa, la sua vita viene sconvolta da un misterioso individuo e da… un Matto!
Questi eventi scombussolano Cassandra a tal punto da dare avvio a un percorso che la porterà non solo a indagare su quale possa essere il significato della carta del Matto, ma, inconsapevolmente, anche a scoprire se stessa.

PREFAZIONE

Questo libro nasce da una giornata storta, una di quelle in cui di solito si preferisce prendere a calci il mondo, spendendo, o meglio, sprecando il tempo a rimuginare su cosa non è andato come ci aspettavamo.
Dedicare molto tempo alla lettura mi ha portata ad avere accesso a molta conoscenza, ma spesso ho incontrato difficoltà nel mettere in pratica i tanti insegnamenti trovati in quei testi. Leggere più volte alcuni di questi è servito a fissare i concetti ma è sempre il passo successivo, la messa in pratica, a richiedere uno sforzo maggiore, o meglio, come direbbe qualcuno, “un super sforzo”.
Le occasioni per evolvere e offrire una versione migliore di noi non mancano, la vita ce ne fornisce in grandi quantità, ma spesso ce le lasciamo sfuggire. Poi arriva un giorno in cui quei tentativi falliti, apparentemente inutili e volti a rompere uno schema, cominciano a dare dei frutti.

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In questo modo sono riuscita a far “rinascere bene” una giornata che era nata male. Invece di imprecare e cercare qualcuno con cui sfogarmi, alimentando emozioni di bassa qualità, ho acceso il PC e ho creato Cassandra.
Il libro inizia in un momento in cui Cassandra, protagonista del romanzo, arrabbiata e desolata, rimugina su quello che le era appena capitato.
La mia rabbia è diventata la sua rabbia, trasferendola a lei l’ho trasformata e sublimata. E così, in una giornata di fine novembre di due anni fa, sono riuscita a mettere in pratica, almeno in quella occasione, l’opera alchemica della trasformazione del piombo in oro.
“A volte la soluzione a un problema può essere buttare un vaso dalla finestra.” Questa frase, apparentemente senza senso, ascoltata a una conferenza tanti anni fa, era un invito ad andare oltre, a rompere gli schemi abituali. Se non puoi risolvere un problema nell’immediato, non ha senso prestargli troppa attenzione, meglio impiegare la mente in altri modi.
Cassandra aveva ragione, però… è il vaso che, metaforicamente, ho lanciato dalla finestra. Scrivere questo libro è stato il modo attraverso il quale ho rotto uno schema, facendo una cosa totalmente inusuale in risposta a quello che di negativo mi era successo.

1

Cassandra camminava velocemente con gli occhi fissi sul marciapiede. Nella mente riviveva, come in un loop, la scena in cui Fausto, il suo datore di lavoro, la riprendeva per il modo di porsi con i clienti. Sapeva di non aver meritato quel rimprovero e sapeva anche che la mente ottusa di quell’uomo non era in grado di vederlo.
Aveva ben impressi nella mente il suo sguardo, quegli occhi tondi e poco espressivi, che si sposavano perfettamente con quella faccia grassa e il tono rozzo con cui la riprendeva, lo detestava.
Stava ripensando, anzi, peggio, rivivendo uno per uno tutti gli episodi di contrasto avuti con lui. Lavorava in quel bar da sette mesi. Aveva poca esperienza come cameriera, ma aveva deciso di accettare quel posto perché voleva cambiare tipo di lavoro. In precedenza aveva fatto la commessa in vari negozi di abbigliamento: inizialmente le piaceva, ma col passare del tempo star dietro ai capricci di certe clienti indecise aveva cominciato a pesarle.
Non riusciva più ad accettare quell’indecisione che non comprendeva, forse perché lei non avrebbe mai provato qualcosa che non le piaceva. Misurava solo quello che la colpiva ed era in grado di individuare il “suo” capo di abbigliamento in mezzo a tanti, le bastava uno sguardo rapido. Una volta scelto, lo provava e in pochi secondi, davanti allo specchio del camerino, decideva.
Evitava i consigli delle commesse, un po’ perché li considerava poco veritieri, ma, soprattutto, perché sapeva con assoluta certezza, da quel primo colpo d’occhio, se avrebbe acquistato quel capo, in quanto adatto al suo corpo e alla sua personalità.
Raramente si sbagliava: nel suo armadio, infatti, c’erano solo abiti che indossava abitualmente. E se uno le veniva a noia, lo regalava a qualche amica.
Si sorprese a pensare alle clienti indecise. Già, ma come sono passata dalla rabbia per il rimprovero di Fausto, al fastidio che provavo per le clienti?
Il collegamento tra i due pensieri era dovuto al motivo per cui aveva cambiato lavoro, scegliendo quello da barista.
Scelta poco azzeccata. E come poteva esserlo?! Aveva accettato quell’impiego solo perché non sopportava più quello di prima!
Bel salto di qualità, complimenti! Alla fine, la colpa è solo mia, infatti la rabbia verso Fausto non è che il riflesso di quella che provo verso me stessa, per la mia incapacità di scegliere un lavoro che mi piaccia veramente.
A quel punto rallentò il passo, la rabbia stava cedendo il posto alla tristezza.
Sentì affiorare un immenso desiderio di piangere. Mise una mano nella borsa per prendere gli occhiali da sole. Li indossava raramente, il sole non le dava fastidio, anzi, le piaceva, ma in quelle occasioni si rivelavano utili. Voleva evitare che la gente notasse il suo sguardo infelice, e poi indossare gli occhiali scuri per coprire la tristezza era un po’ come vestirsi di nero per andare a un funerale, un segno di rispetto.
Ha senso rispettare la tristezza? si chiese.
Le venne in mente una frase che aveva letto da poco in un libro: “Ogni emozione va rispettata, compresa la rabbia, l’insoddisfazione, l’odio, l’invidia, il rancore, il senso di impotenza, il disprezzo verso se stessi e gli altri e tutte quelle che vengono classificate come emozioni negative”, ma lei proprio non ci riusciva.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Elisabetta D'Andrea
È nata a Olbia nel 1974. Laureata in Giurisprudenza, attualmente lavora a Golfo Aranci nel settore turistico. La lettura è una delle sue più grandi passioni. Ed è proprio da questa passione che è nato il desiderio di cimentarsi nell’arte della scrittura con “Cassandra aveva ragione, però…”, il suo primo romanzo.
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