Quando Pietro, un pensionato con un’ossessione per Karl Marx e il partito comunista, scopre che la sua amica d’infanzia Yael è stata brutalmente assassinata, nella sua mente torna a farsi strada un passato lontano ma ancora doloroso. Un passato fatto di odio e follia, in cui una piccola e indifesa Yael, braccata dal nazismo a causa delle sue origini ebraiche, aveva trovato rifugio presso la famiglia di Pietro.
Accompagnato dall’ipocondriaco Oscar, Pietro si reca in Svizzera per assistere al funerale della vecchia amica e per ritirare una misteriosa eredità che questa gli ha lasciato: delle gemme che sembrano possedere poteri soprannaturali. Un tesoro bramato anche da Fulke, un nostalgico del Terzo Reich disposto a tutto pur di entrarne in possesso, anche uccidere. È la sete di potere a guidarlo, ma soprattutto il risentimento, il desiderio di vendetta e un intramontabile, attualissimo, fanatismo.
1. BUONGIORNO
La speranza in un che di catastrofico e la conseguente delusione nel constatare che tutto era ordinatamente fuori posto pervasero Oscar nell’istante in cui la sveglia suonò quel sabato mattina novembrino.
Il ricordo degli impegni presi per il fine settimana gli fece ingrigire l’animo e gli annichilì il morale.
Quasi quasi chiamo e dico che non sto bene. Forse è in corso un violento nubifragio e le strade sono impraticabili, magari una frana ha isolato il paese e la casa di Beccamorto è irraggiungibile, pensò pigramente grattandosi le palpebre. Scese con lentezza dal letto infilandosi le pantofole di stoffa comprate il giorno prima in una bancarella del mercato sotto casa. Il ricordo della felpa sudata del commesso gli fece salire un brivido lungo la schiena, acuendo lo stimolo a urinare.
Beccamorto era lo storico contabile dell’azienda dove da qualche tempo aveva trovato impiego Oscar. Il nomignolo, guadagnato da Pietro a causa del look non proprio festaiolo, circolava ormai da anni all’interno della S.R.L. milanese.
Nonostante l’acre odore di naftalina che lo aveva perseguitato per tutto l’apprendistato, Oscar era grato e affezionato al suo paffuto mentore lavorativo e durante l’affiancamento si era instaurata tra loro una sorta di simbiosi fraterna; per questo non aveva potuto rifiutare l’invito alla sua festa di pensionamento nella casa di famiglia da poco ristrutturata.
«Quando sarò libero dal giogo del dispotismo aziendale potrò dedicarmi interamente alla propaganda e alla diffusione dell’unico sistema sociale ed economico sostenibile.» Così era solito esordire Beccamorto al mattino prima del caffè.
«Ovvero?» chiedeva Oscar divertito, nel tentativo d’alimentare il fuoco rivoluzionario che veniva appiccato ogni giorno nella sala ristoro.
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«Ma come sarebbe a dire?! Il marxismo! Ormai ho acquisito l’esperienza e le doti comunicative necessarie per poter finalmente diffondere e far valere la voce proletaria nel resto del Paese. Siamo organizzati per proseguire la lotta iniziata dai nostri compagni sovietici! Viva il comunismo! Viva la libertà!»
Il rito quotidiano del pippone sociopolitico delle otto e un quarto terminava normalmente al suonare della tanto odiata sirena di inizio turno.
L’esperienza acquisita negli anni a cui faceva riferimento Pietro era il risultato del suo unico viaggio all’estero effettuato nel 1982 a Mosca, della durata di cinque giorni. La notizia della morte di Brežnev lo aveva sconvolto a tal punto da metter da parte la fobia per l’apparecchio e volare fino a quella che lui definiva la sua seconda madrepatria. In quella circostanza, aveva trascorso due dei cinque giorni di viaggio in una guardina della polizia sovietica. Preso da un eccesso di malinconia e commozione, aveva scavalcato una transenna durante la celebrazione del funerale per raggiungere il feretro dell’ormai ex presidente. Solo un telegramma dell’ambasciata italiana era riuscito a farlo tornare in Italia con la solenne promessa di non cercare più di metter piede sul suolo dell’Unione socialista.
Compiendo una gimkana tra calzini e briciole di biscotti ormai fossilizzate sul parquet, Oscar si preparò il caffè e con brevi sorsi prese con fermezza una decisione.
«Ma chi me lo fa fare? Basta! Ora torno a letto e stacco il telef…»
DRIIIIIIN! DRIIIIIIN! DRIIIIIIN!
«Porca miseria, chi sarà mai a quest’ora? Pronto?»
«Ciao, Oscar! Scusa se chiamo così presto, dovevo trovarti ancora in casa.»
«Ben fatto… Missione compiuta, Michele. Cosa diavolo vuoi?»
«Capisco perché tu e Becca andate così d’accordo, avete la stessa allegria contagiosa.»
«Uhmm…»
«Scherzi a parte, ieri insieme agli altri uffici abbiamo deciso di fare una colletta per regalare al buon Pietro un viaggio nella sua amata Russia. Scusa ma in questi giorni sono stato davvero impegnato e ho dimenticato di avvisarti. Per chi volesse aderire sarebbero venti euro. Essendo in tanti riusciamo con una piccola somma a fargli un bel pensiero. Allora, posso contare su di te?»
«Certo.»
«Ottimo! Allora a più tardi!»
«A più tardi…»
La decisione presa con tanta fermezza un attimo prima fu riposta e cestinata dalla telefonata di quel misero, arrivista, presuntuoso lacchè.
Sentì il bisogno di prepararsi un caffè.
«Un momento… ma l’ho appena bevuto! Quel viscido afide mi fa perdere il senno!»
Si prese un momento per recuperare lucidità e cercare di trovare le forze necessarie per uscire di casa. Fece un lungo sospiro, si alzò dalla sedia e prese il toro per le corna. Con rapidi movimenti raccolse gli indumenti dal tavolo del soggiorno, si vestì, lavò il viso e si pettinò energeticamente; al caso e ai folletti verdi presenti in quel momento nella sua mente venne affidato il ruolo di guida nella ricerca di abbinamenti tra tessuti, odori e colori. La scura penombra della stanza non facilitò le operazioni d’allestimento della propria persona.
Sarebbe stata un’intensa e stancante giornata.
Ancora scosso e poco lucido, scese le scale facendo leva con forza sul corrimano traballante. I muri ammuffiti e il colore sbiadito dei pianerottoli di quella palazzina del centro gli provocavano sempre una malsana inquietudine che lo spingeva a percorrere le rampe il più velocemente possibile.
Abituato a frequentare la città utilizzando esclusivamente i mezzi pubblici, solo una volta arrivato in strada rifletté sul fatto che per raggiungere la sua desolante meta avrebbe dovuto utilizzare la macchina, ma le chiavi della Fiat giacevano ancora sopra il mobiletto davanti all’ingresso di casa.
«Arrrrghhh!» ringhiò tra sé ripetutamente ripercorrendo a ritroso il viaggio dell’andata.
«Sono proprio un asino! È già tardissimo!»
Dopo i numerosi fastidi della mattinata, riuscì a mettersi in macchina pronto per quella che aveva già immaginato essere una travagliata peregrinazione, paragonabile a suo dire a una piccola odissea autostradale. Per l’occasione aveva riempito addirittura il portabagagli con una scorta di cibo, acqua, benzina, vestiti, coperte e un piccolo coltellino svizzero per affrontare le feroci creature dei boschi.
I duecento chilometri che separavano il suo appartamento dal cucuzzolo di quel remoto paese appenninico lo spaventavano più di qualsiasi altra cosa al mondo. La repulsione verso la guida di quei mezzi meccanici a quattro ruote, seconda solo a quella per la montagna e per la natura selvaggia nella quale si stava recando, gli dava un perenne senso di avvilimento e fastidio.
In questo stato d’animo Oscar si accingeva a uscire dal raccordo milanese per inoltrarsi nel cuore della pianura.
Una fitta coltre di nebbia avvolse il veicolo. Le infinitesimali gocce d’acqua appiccicate al parabrezza risaltavano lo sporco atavico spazzato malamente dai tergicristalli consumati. Non percependo più costruzioni cittadine attorno a sé, Oscar andò in iperventilazione. Già immaginava il peggio per il suo lungo percorso: solo e abbandonato in una landa impenetrabile allo sguardo, circondato da vasti terreni apparentemente deserti. Si sentì naufragare, quella striscia d’asfalto rappresentava l’unica traccia di presenza umana in un mare di terra gelida. Fu costretto a fermarsi in una piazzola per metter ordine nella confusione del momento. Ripassò mentalmente il tragitto e trovò di conforto imprecare nuovamente contro l’interlocutore telefonico di qualche attimo prima.
«Che giornata di merda! Che giornata di merda! Che giornata di merda! Sono sveglio da un’ora ed è una giornata di merda già da due!» borbottò guardandosi nello specchietto retrovisore.
Risolta la piccola crisi di nervi, accese l’autoradio. La ricerca di una stazione senza interferenze risultò del tutto inutile, quindi aprì il vano porta oggetti, prese We’re Outta Here! dei Ramones e caricandosi con i pugni stretti riavviò il motore rimettendo in carreggiata l’auto.
Cullato dal ritmo punk proposto dagli altoparlanti, i nervi iniziarono a distendersi e più rapidamente del previsto Oscar raggiunse lo svincolo che gli avrebbe consentito di penetrare ancora più a fondo dentro quegli inquietanti e imperscrutabili abissi di nebbia.
La musica terminò. Nella solitudine della pianura emiliana tornò a tamburellare incessante il cuore, accompagnato dal consueto fiato corto e panico generalizzato. Sentì l’inizio della fine.
sabrina.bonazzi (proprietario verificato)
Mi ha interessato la trama del libro dopo la lettura della sinossi e dell’anteprima, per cui mi sono decisa di acquistare un po’ di copie, anche per poterle regalare ai mie amici.
Sabrina Bonazzi
Gianluca Gabbi (proprietario verificato)
Dopo aver letto le pagine dell’anteprima e le interviste dell’autore rilasciate a vari giornali, sono rimasta incuriosita dalla storia e dalle vicissitudini dei protagonisti , per cui ho deciso di aderire alla campagna di crowdfunding acquistando una copia del libro sperando che raggiunga l’obbiettivo che l’autore si è proposto.
Stefania Vecchi