Immediatamente dopo vidi uscire una bambina che entrò nel gabinetto riservato agli insegnanti; dopo alcuni minuti uscì, rientrò in classe, uscì la maestra che a sua volta fece ingresso nel gabinetto. Questo via vai mi lasciò perplesso e il bidello, resosi conto di ciò, mi spiegò che, quando doveva andare in bagno, prima gli chiedeva se ci fosse la direttrice in giro e, avuto il via libera, mandava una bambina a scaldarle la tavoletta del Water e poi andava in bagno quando questo aveva raggiunto la temperatura desiderata.
Un altro personaggio ineffabile era un maestro giunto da poco a Genova dalla Calabria che si esprimeva in un linguaggio difficilmente comprensibile; dal suo vocabolario erano spariti i congiuntivi, era faticoso capire i suoi discorsi perché l’accento calabrese era veramente forte; gli alunni spesso si guardavano chiedendosi cosa avesse detto. La sua cultura era a dir poco lacunosa; vedendo il documento d’identità di un papà nato a Massaua disse:
“Ah lei è di Aosta!”
Confondendo la sigla (AO), Africa Orientale, con la targa automobilistica. Quell’episodio mi fece comprendere che anche la storia non era il suo forte.
Il personaggio più inquietante era un’altra maestra che arrivava a scuola in Mercedes suscitando il mio stupore perché mi sembrava strano che con lo stipendio da insegnante potesse permettersi una simile auto, visto che non aveva sposato un riccone. Scoprii presto l’arcano; aveva chiesto ed ottenuto la sede di sevizio presso una piccola succursale nella zona più popolare e povera del quartiere con classi piccolissime di 8/10 alunni. Nella scuola aveva fatto installare una seconda linea telefonica di cui provvedeva a pagare la bolletta. Grazie a questa poteva svolgere la sua attività di agente immobiliare; credo passasse più tempo al telefono che in classe. In caso di appuntamenti, lasciava i suoi alunni ai colleghi e andava a guadagnarsi quanto necessario per pagare la Mercedes. La cosa più triste era rappresentata dalla scelta della sede: famiglie povere con molti semi-analfabeti che non davano alcuna importanza alla scuola e che perciò non gli ponevano alcun problema.
Vi era poi un cospicuo gruppo di docenti, preoccupato dall’uscita dei decreti delegati, che si sentì investito di una missione spirituale: ritenevano la partecipazione dei genitori agli organi collegiali e il tempo pieno sostenuto dai partiti della sinistra, in particolar modo dal PCI così come dalla CGIL scuola, un tentativo subdolo dei comunisti per togliere i bambini dalle famiglie e dalle parrocchie per farne dei piccoli Kmer rossi.
Anche nei confronti dei docenti del doposcuola comunale avevano un atteggiamento scostante, sembrava fossero risentiti nei nostri confronti; il motivo era costituito dal fatto che a Genova si era da poco insediata una giunta di sinistra dopo molti anni di amministrazione democristiana, perciò tutto quello che proveniva dal comune veniva vissuto come un tentacolo dei socialcomunisti.
Fra le altre cose quelle giunte furono il meglio che io ricordi per quanto riguarda i servizi socio-educativi. Si passò da una logica meramente assistenziale, pur anch’essa utile, a quella di servizio sociale. Ciò non solo nei termini, (l’Assessorato all’assistenza fu trasformato in Assessorato ai Servizi Sociali) ma soprattutto nei contenuti. L’assessorato alla pubblica istruzione lanciò servizi quali l’Inchiesta Sulla Città che offriva alle scuole la possibilità di visite guidate presso musei, luoghi di lavoro, strutture cittadine; ad esso si affiancarono il progetto di Turismo Scolastico che prevedeva scambi di una settimana con classi di altre città, la trasformazione delle colonie estive ed invernali da luoghi in cui i poveracci potevano mandare i propri figli in vacanza in momenti di aggregazione ed esperienze di gruppo per moltissimi ragazzi, nonché l’occasione per le classi di poter usufruire delle settimane bianche.
Anche il doposcuola andò lentamente cambiando per trasformarsi in quello che divenne il S.I.S.CO.: Servizi Integrativi Scolastici Comunali. I docenti venivano finalmente preparati con corsi di formazione e aggiornamento, alle scuole si offriva non più solo un servizio di “babysitter” per il pomeriggio, ma anche laboratori per le classi al fine di realizzare una didattica innovativa in cui il “sapere” finalmente si abbinava al “saper fare”.
Tutto ciò a molti degli insegnanti con cui ho avuto a che fare non importava, sembrava che il Comune di Genova non avesse attinto alle graduatorie dei diplomati dell’Istituto Magistrale ma direttamente dagli iscritti alle case del popolo.
Qualsiasi proposta didattica era guardata con sospetto e spesso boicottata.
Si candidarono per le prime elezioni dei Consigli di Circolo, anch’essi visti come la Caporetto del governo all’avanzata del partito comunista; loro dovevano costruire la linea del Piave. Si attivarono anche per favorire il voto per le liste dei genitori promosse dagli iscritti alla Democrazia Cristiana.
Le riunioni di un organismo che avrebbe dovuto occuparsi di attività extra, para, inter scolastiche divennero la riproposizione di una specie di piccolo parlamento. Se qualche insegnante, meno condizionato da queste assurdità, osava accogliere le proposte di un genitore veniva circondato, catechizzato e messo alla berlina dall’intero collegio docenti, spingendolo inevitabilmente ad assumere un ruolo defilato per il quieto vivere.
Queste cose non solo le ho vissute personalmente ma ho potuto verificare che un tal clima si è respirato in molte scuole e per molti anni, dai racconti di altri colleghi; poi c’è stato un avvicendamento generazionale e un cambiamento della società anche se la spinta innovativa, direi quasi rivoluzionaria, di quegli anni si è persa nel tempo.
Fu allora che si passò dal voto al giudizio che, per chi si interessa di didattica, è semplicemente uno strumento meno rigido che consente di valutare il bambino in modo non schematico tenendo conto della sua personalità, del suo percorso di crescita, dei suoi problemi, delle sue difficoltà, degli interessi e delle sue attitudini.
Per i guardiani dell’ortodossia anche questo era un tentativo comunista di rovesciare la scuola come baluardo della tradizione.
Ricordo in particolare uno di loro, persona seria e scrupolosa che manteneva con il suo solo stipendio una famiglia di 7 persone. Credo di averlo visto quasi sempre con gli stessi vestiti e, visto qual era il suo stipendio, non sarebbe stato possibile diversamente.
Al suo posto chiunque si sarebbe preoccupato di come incrementare le entrate famigliari; lui no, girava i circoli parrocchiali per spiegare come correlare i giudizi con i vecchi voti; “cambiare perché nulla cambi” non era evidentemente solo il motto del Gattopardo.
Un giorno entrai, del tutto casualmente, in una di queste riunioni; l’imbarazzo che si creò fu incredibile; sembrava avessi sorpreso un bambino con le mani nel barattolo della marmellata.
Quello che mi sconvolgeva di più era che a spingere le iniziative dei “guardiani” era soprattutto l’“agente immobiliare”; non era mai presente ma offriva il suo sostegno morale. Lei temeva i cambiamenti non per ragioni ideali o politiche, ma molto, molto personali: la presenza di genitori nella scuola poteva portare alla luce i suoi intrallazzi.
Per quanto l’insegnamento fosse ed è libero, nella scuola erano presenti quelli che ora si chiamano Dirigenti Scolastici e che hanno sempre avuto anche una funzione di controllo.
La Direttrice Didattica di allora era formalmente presente ma se non ci fosse stata non sarebbe cambiato nulla.
Di tutto quello che accadeva nella scuola non si preoccupava a meno che non le creasse dei problemi.
I docenti, conoscendola, evitavano di sottoporle questioni; per loro il riferimento era esclusivamente la maestra vicaria che era anche il capo dei “guardiani”.
La Direttrice viveva nel suo ufficio buio e deprimente; mi sono sempre chiesto se fosse l’ufficio a rendere depressa la dirigente o viceversa. Arrivava a scuola alle 9 e alle 12 in punto tornava a casa.
Il segretario, un ex maestro elementare evidentemente annoiato dall’insegnamento, mandava avanti tutte le pratiche ed era facile trovarlo in ufficio anche nel tardo pomeriggio.
Dopo alcuni anni, in provveditorato si resero conto dell’andazzo e fecero presente alla Direttrice che il suo orario doveva essere di 36 ore la settimana; preso atto del problema andò in pensione.
Le mie colleghe insegnanti del doposcuola non si dimostravano certo migliori di buona parte del corpo docente. Pescate da una graduatoria basata sul punteggio della maturità, sull’età e su eventuali supplenze fatte, venivano chiamate e mandate in classe senza alcuna preparazione specifica e senza verificare in alcun modo se fossero idonee all’insegnamento.
L’istituto Magistrale in teoria avrebbe dovuto preparare i docenti, in pratica era un bignami di un liceo con aggiunte quattro nozioni di pedagogia e di psicologia. Con l’esperienza di oggi posso dire che eravamo in grado di insegnare quanto possa essere in grado di guidare un autobus chi ha imparato ad andare in bicicletta.
Albi Beltrami
Salve Prof, come sta?
Credo che prima o poi leggero` il suo libro, mi sembra interessante e divertente. Tempi che furono, si dice.