Si cerca di porre rimedio con piani personalizzati, individualizzati, strumenti compensativi e quant’altro, ma i risultati restano negativi, soprattutto in una scuola che continua a privilegiare i contenuti più delle competenze.
La mia scelta si rivelò azzeccatissima: la fatica era quasi nulla, i voti più che accettabili e, non avendo mai ambito a una pagella ricca di 8 e 9, mi restava molto tempo a disposizione per coltivare quelli che allora erano i miei interessi principali.
Allo sport si erano aggiunte le ragazze che, dopo otto anni di classi esclusivamente maschili, costituivano l’elemento più interessante nel passaggio alla scuola superiore. Oggi che le classi maschili e femminili non esistono più da tempo, faccio fatica a capire la ragione di quella divisione assurda che prevedeva, addirittura alle elementari, due ingressi separati. Al piano della mia classe, in barba a qualunque norma di sicurezza, l’uscita sulle scale da cui passavano le ragazze era chiusa a chiave. Non mi sembrava che fossimo così pericolosi per l’altro sesso, per altro ancora obbligato, alle medie e alle superiori, a portare il grembiule, mentre i maschi ne erano esentati terminate le elementari.
Godendo di una libertà impensabile nella scuola dell’obbligo, coglievo ogni occasione per approfondire la conoscenza dell’universo femminile.
L’aula di audiovisivi, buia e quasi sempre vuota, era il luogo ideale per appuntamenti mattutini costruiti con strategie sempre diverse; ad esempio: l’impegno quale rappresentante di classe mi autorizzava a uscire durante l’orario di lezione, mai ostacolato dai docenti che avevano vissuto anni di durissime contestazioni studentesche. Esaurite quelle ore, c’era sempre Mimmo, il mio compagno di banco non vedente, le cui richieste erano sempre accolte dai professori; quante volte gli ho detto: «Mimmo, chiedi di andare al gabinetto!».
Lui, anche se non ne aveva alcuna necessità, acconsentiva e naturalmente mi offrivo di accompagnarlo. Lo lasciavo nei gabinetti e andavo all’appuntamento concordato prima di entrare a scuola.
Povero Mimmo, credo di avere in parte sulla coscienza la sua bocciatura per tutte le spiegazioni che gli ho fatto perdere, facendogli trascorrere delle mezz’ore nei gabinetti puzzolenti.
Come ancor oggi accade in tutte le classi, gli insegnanti dopo un po’ di tempo ci cambiarono di posto e io persi la mia scusa per allontanarmi dall’aula.
Ma si sa che la necessità aguzza l’ingegno; avendo il banco vicino alla finestra che dava sul cavedio della scuola ed essendo 36 in classe, approfittavo degli ovvi momenti di distrazione dei docenti per, è il caso di dire, sgattaiolare fuori.
Non poteva durare a lungo; il segnale arrivò alla fine del primo quadrimestre sotto forma di un 6 in condotta che, se confermato a fine anno, avrebbe significato la bocciatura nonostante i voti sufficienti in tutte le materie.
È difficile oggi spiegare ai ragazzi che 8 di condotta è un brutto voto che, quando frequentavo io la scuola, veniva dato ai peggiori elementi; il 7 era riservato a chi si macchiava di qualche colpa grave, con conseguente rimandatura a settembre ed esame di tutte le materie; il 6, che appunto significava bocciatura, era riservato ai casi irrecuperabili.
Il secondo quadrimestre fu dedicato a pensare a nuove strategie meno pericolose da mettere in atto l’anno successivo; nacque in quei giorni l’idea del giornalino della scuola che, insieme all’impegno di rappresentante di classe e alla partecipazione ai campionati studenteschi, fu per i due anni successivi il passaporto per uscite fuori orario.
Promosso in seconda mi cambiarono corso, perché su 36 fummo promossi in cinque a giugno e in nove a settembre.
Pensando ai miei compagni di allora, posso dire che sicuramente molti avevano sbagliato indirizzo di studio, ma è vera follia consentire la formazione di classi di 36 alunni che permettono solo lezioni frontali, senza alcuna possibilità di rispondere a esigenze individuali e aiutare chi può trovarsi in difficoltà. In tal senso un caro amico di quegli anni è la prova vivente dei limiti di quella scuola: bocciato per il secondo anno di seguito, non potendo per legge ripetere una terza volta la stessa classe, si iscrisse in una scuola privata e, preparato in modo più personalizzato, riuscì a recuperare l’anno perso, a iscriversi in terza con me, a dare la maturità e a laurearsi senza problemi. La scuola pubblica aveva invece sancito che per lui quel percorso di studio era precluso.
Giunti all’anno della maturità, tutti cominciammo a riflettere su cosa fare dopo. Pochissimi pensavano di dedicarsi all’insegnamento, e io non ero tra quelli.
Poi accadde ciò che ha cambiato la mia vita.
Albi Beltrami
Salve Prof, come sta?
Credo che prima o poi leggero` il suo libro, mi sembra interessante e divertente. Tempi che furono, si dice.