Cesare è un giovane ragazzo di Milano. Ogni giorno, si sente inghiottito dalla realtà dolorosa che lo circonda. I drammi familiari, le notizie che legge in rete dal suo cellulare appena si sveglia, le situazioni disperate che vede tra le vie della città.
In un pomeriggio di lavoro come tanti altri, entra in scena Alice, la sua ragazza ai tempi del liceo. Per Cesare, è una novità sorprendente: lei ha bisogno di lui. Inizia quindi un viaggio non più solitario alla ricerca di uno scopo della sua esistenza e dei rapporti frantumati con i suoi genitori.
Davanti al male quotidiano, le fughe solitarie non diventano più l’unica arma di difesa di Cesare. Questo anche grazie ad Ale e Geko: il primo è un amico di sempre, il secondo un personaggio misterioso.
Insieme a loro e ad Alice, in Cesare si insinua una possibilità di vita nuova, più desiderabile di una faticosa sopravvivenza.
Perché ho scritto questo libro?
Scrivere “Cesare desidera” è stato un processo quasi naturale. Stanco di vedere tanto male nella vita di tutti i giorni e nelle notizie di tragedie sui giornali, la scrittura mi ha aiutato a capire meglio cosa stavo vivendo.
Immedesimandomi nel personaggio di Cesare, il protagonista del racconto, ho incarnato in lui tutte le tensioni che notavo nella mia vita.
Ma io, come Cesare, non sono solo: ecco allora comparire dei personaggi, o meglio delle persone, al suo fianco. E la storia comincia.
ANTEPRIMA NON EDITATA
IV
1.
Le luci lampeggianti dei semafori sono il respiro della città che sta dormendo. Regolare.
Poi l’autostrada.
Cesare guida lentamente. Un moto rettilineo sul cemento umido della notte. La radio a un volume appena udibile: non si distinguono le canzoni dalle pubblicità. Un rumore di sottofondo per ovattare il grido del suo cuore. Una mano di vernice color di pozzanghera spalmata su un fuoco di mille fiamme.
Guida fino all’alba. Non sa nemmeno dove si trova precisamente, come tornare a casa. Ha davanti il mare. Niente di più comparabile all’infinito. Niente di più angoscioso, frustrante e letale.
La malinconia si fa carne.
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Gli occhi di Cesare sono pieni di lacrime. Non scendono sulle sue guance, brinate e rosse per l’aria che lo investe dal mare. Si fermano tra le palpebre: un velo di indefinitezza che rende l’incomprensibile scenario ancora più vago, straniero.
Le luci di un’alba lontana, alle sue spalle, invadono lentamente cielo e mare. Non c’è una linea di separazione. Tutto è unito. Il disegno divino della creazione si compie, immutabile. Non tiene conto di chi ha davanti, di chi lo guarda, di chi grida senza la voce per farlo al dramma delle cose non capite.
Cesare è ciò di più diverso dallo spettacolo a cui assiste innocente. Colpevole di essere nato, di non essere amato abbastanza.
Davanti a sé la perfezione dell’eterno. Davanti a sé ciò che non può bastare a ricomporre ciò che gli sembra per sempre spezzato.
2.
Qualcosa da mangiare. Aliti profumati di focacce e pane sfornati sono già nelle strade da molti minuti. Si guarda in tasca e trova alcune monete, poche. Sotto al sedile del passeggero, allungandosi, trova ciò che basta per permettersi una colazione.
Il corpo è stanco. Fisicamente. Non che le altre notti dormisse più di tanto. Ma non gli era mai successo di uscire in piena notte di casa e di guidare fino all’alba, solo e senza un’apparente destinazione. Pensando a questo lo capisce. Di essere arrivato al limite.
Un pezzo di focaccia e un caffè d’asporto. Le interazioni con la vecchia signora del bar sono state minime. Dei grugniti tra animali stanchi.
3.
Un ricordo, improvviso. Una fotografia mentale. Gli odori. Tutti i sensi vengono coinvolti. Le mani toccano le pietre su cui è accovacciato. Le stringono come se potessero staccarsi e volare via in assenza di gravità. E Cesare con loro.
La luce solare in lenta e progressiva crescita lo accompagna nel faticoso processo memoriale.
Parole dal passato.
Nomi dimenticati.
Desideri mai svelati.
Turbinii di frammenti increspano nel petto di Cesare.
E poi, rosa bianca dalla tenebra, il nome della madre.
Teresa.
È qui. Questo paesino, davanti a questo mare. Lo stesso di quella volta, le stesse onde e profumi nell’aria.
È qui.
È qui che sua madre lo aveva portato quella notte. Dopo le grida, le urla.
È qui.
L’ennesimo litigio dei genitori. Le bestemmie di papà. Le lacrime di mamma.
È qui.
Che l’aveva portato con sé. Aveva dormito per tutto il viaggio: ogni volta che si svegliava per pochi secondi sentiva i gemiti della madre alla guida. Gli occhi appannati dalle lacrime, come i suoi di pochi istanti prima.
E poi il mare. Lo stesso.
Cesare. Cesare sospetta l’esistenza di un destino. D’un amore spietato.
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