“È tutto assurdo” ripeteva ogni volta che delegava a un altro, a un soggetto ignoto, la responsabilità delle sue dimenticanze. “Sono pazzo” aggiungeva. “Eppure quello che ieri era vero, io non me lo ricordo”. A volte, per paura di dimenticare ancora, cercava di rafforzare la sua memoria. Compilava un elenco delle cose da fare o quelle fatte, liste di cose da comprare che poi memorizzava. Era terrorizzato di non saper più ricordare, viveva nell’angoscia che, un giorno, si sarebbe svegliato con la mente talmente piena che esplodendo avrebbe lasciato andare i frammenti della sua vita. Era percorso da brividi di terrore tutte le volte che pensava di aver perso la capacità di distinguere gli avvenimenti reali dai propri sogni; i ricordi si confondevano ancora, ancora e ancora. Si chiedeva incessantemente: “È successo davvero? Ne sono sicuro? L’ho sognato?”.
Arturo, Arturo Bernardo. Odiava il suo nome. Odiava dover specificare ogni volta quale fosse il nome e quale il cognome. Lo odiava perché già il suo nome, Arturo e il suo cognome, Bernardo, non aiutavano la sua confusione, anzi ne dimostravano l’esistenza. Due nomi o due cognomi, non era chiaro. Non ne era sicuro. Spesso se ne assicurava controllando il documento d’identità, anche se non si fidava molto. Si ricordava, infatti, la scarsa affidabilità degli operatori del comune, della facilità con cui aveva mentito sull’altezza; di quella sua amica all’università che, secondo la propria carta d’identità, risultava ancora un’infante all’età di vent’anni. Un errore, diceva. Hanno sbagliato. E perché non sarebbe potuto succedere anche a lui? Che cavolata, pensava. Mio padre di cognome fa Bernardo, sarà ovviamente quello il cognome. Sempre che non abbiano sbagliato a scriverglielo, si correggeva. Tuttavia, il momento in cui, più di ogni altro, era assalito dal pensiero di dover mettere in ordine in nomi che compongono la sua identità era quando doveva firmare qualche documento, come se la giusta sequenza di nomi avrebbe potuto dare assetto anche alla propria esistenza. Si domandava sempre se dovesse scrivere prima il cognome e poi il nome o viceversa. Prima il nome è più elegante. Però, come faccio a sapere che colui che legge la firma, la pensi come me e non interpreti diversamente l’ordine dei nomi? Per questo Arturo amava i fogli prestampati dove vengono indicati lo spazio per il nome e quello per il cognome.
Arturo amava l’ordine, forse ne era ossessionato. Ne aveva bisogno in un’esistenza in cui non è chiaro neppure il proprio nome. Un amore che però non metteva in pratica: la sua casa era un disastro, soprattutto l’armadio, pieno di vestiti accumulati, attorcigliati fra loro come una grande orgia. Arturo aveva altre fisse: chiudeva sempre gli sportelli aperti, non riusciva a dormire con la porta aperta e odiava gli orologi. Aveva la capacità di percepirne il ticchettio a distanza di metri, anche al di là dei muri. Arturo pensava spesso a quale fosse la sua identità, a cosa significasse il suo nome. Che cos’è un nome? Non saresti comunque te stesso con un nome differente? Ma non si rispondeva, non sapeva farlo. Arturo faceva le domande, ma non trovava risposte. Forse è per questo che non seppe rispondere alle domande della vita e forse, fino ad allora non aveva davvero vissuto, se la vita è una continua ricerca di risposte.Soprattutto una domanda rimbombava nei suoi pensieri, come un’eco in lontananza: “Ne sei sicuro?”. La voce non era la sua, o forse sì. Non ne era sicuro.
Laura Amerighi (proprietario verificato)
Ciao Benedetta, prenotato! Brava, avanti così!!
Omar Hussein (proprietario verificato)
Ho letto l’anteprima e l’ho subito comprato! Ultra consigliato!
Chiara Ferronato
Una lettura davvero molto interessante. Scorrevole e piacevole ma per nulla banale. Chiasmo parla un po’ di tutti noi, delle sfumature dei nostri io che si nascondono nelle nostre quotidianità.
Una trama ricca di avvenimenti imprevedibili da scoprire d’un fiato.
Lo consiglio vivamente!