È un piccolo paese, le vie del centro strette e tortuose.
Qualcuna tiene per mano un bambino.
Il brusio delle loro chiacchiere riempie l’aria, si
muovono lentamente, ma si percepisce la loro fretta.
C’è il sole, ma sembra notte.
È tutto in bianco e nero.
E io mi trovo qui, in mezzo a questa gente, circondata
da persone che non conosco.
Sento intorno a me una presenza minacciosa. È
una sensazione. La brutta sensazione di qualcosa che
ti fa paura, che ti sta cercando.
Voglio correre via, scappare il più lontano possibile,
ma non posso muovermi perché tutta questa gente mi blocca il passaggio.
Allora urlo, guardo il cielo e urlo con tutta la mia
forza, ma non esce un filo di voce.
Sento questa malattia come una presenza che mi
circonda, riempie l’aria, mi toglie il fiato.
Nessuno se ne è accorto, le persone nelle vie di
quel piccolo paese sconosciuto continuano a passeggiare e chiacchierare.
Poi riesco a uscire dalla folla e mi ritrovo su un
ponte. Sotto, il fiume. Davanti ai miei occhi, una rupe.
In cima alla rupe vedo una donna, mi guarda un
attimo e poi… si lascia cadere nel vuoto.
«Addio» sussurra, mentre precipita nel fiume.
Prendo la mia bicicletta e inizio a pedalare forte.
Devo correre da Siria, so che lei sta male.
Le mie gambe si muovono all’impazzata, spingo i
piedi contro i pedali stringendo i denti per la fatica,
ma la bici non vuole spostarsi. Si muove come a rallentatore.
Allora inizio a correre a piedi, il sudore mi bagna
la fronte, ma anche così non riesco a muovermi di un
passo. Corro, corro, ma le mie gambe sono pesantissime.
Il terreno mi scivola sotto i piedi, e io continuo a
rimanere ferma al punto di partenza.
Sono angosciata, perché ho paura di non arrivare
in tempo, io devo arrivare in tempo da Siria.
Mi sveglio di colpo.
Ancora una volta quest’incubo.
«Questo scatolone è l’ultimo, abbiamo caricato
tutto, cosa faccio, lo porto via adesso?»
La voce del facchino richiama la mia attenzione e
la mente riemerge dall’oblio in cui mi stavo perdendo.
«No, grazie, a questo ci pensiamo noi.»
«Bene, allora ci avviamo.»
«Perfetto, grazie. Lasciate pure tutto all’indirizzo
che vi ho dato, vi chiamo lunedì per sistemarci con il
pagamento.»
Mi affaccio alla finestra. Il furgone con la scritta
G.M. Traslochi è parcheggiato sotto quella che era la
mia casa, la nostra prima casa. Il motore è già acceso,
il ragazzo alla guida sta aspettando che il suo collega
lo raggiunga. Eccolo, la portiera sbatte, partono.
«Giulia, ci sei?»
«Sì, arrivo, eccomi.»
Ho avuto una brutta nottata.
Erano anni che non la sognavo.
Mi sono svegliata intorno alle quattro del mattino
e non sono più riuscita a chiudere occhio. Sarà la tensione
per il trasferimento, i pensieri per tutte le cose
che ci sono da sistemare. Non lo so cosa sarà, ma non
sono tranquilla.
«Scusa Simo, sono stanca. Non ho dormito molto
questa notte.»
Simone, mio marito, il padre di mia figlia, mi afferra
i fianchi con entrambe le mani e, da dietro, mi dà
un bacio sulla guancia.
«Sei la solita, ti preoccupi sempre troppo per
qualsiasi cosa.»
«Hai ragione. Ora mi riprendo e partiamo.»
«Sbrigati però, ho anche lasciato Sara in macchina da sola!»
«Ma sei matto? Corri da lei, prima che succeda
qualcosa! Io ci sono quasi, un attimo e vengo, voglio
salutare la casa per l’ultima volta.»
«D’accordo» mi risponde allontanandosi.
Mentre scende le scale sento il rumore dei suoi
passi sempre più distanti. Resto da sola nell’appartamento,
un bilocale di neanche cinquanta metri quadrati.
È pieno di ricordi. Ci siamo trasferiti qui tre
anni fa, sapevamo fin da subito che sarebbe stata una
sistemazione provvisoria: l’inaspettata notizia della
mia gravidanza aveva mandato all’aria il nostro piano
di andare a convivere quando io avrei terminato
gli studi e, nella fretta, non avevamo fatto in tempo a
trovare nulla di meglio.
Siria. I suoi occhi. Il pensiero di lei mi affolla la
mente. Il sogno di stanotte mi è rimasto appiccicato
addosso e non riesco a liberarmene. Come per scacciare
via la sua presenza, scuoto la testa con energia, i
Capitolo due Ci sentiamo, casomai
capelli mi cadono confusamente sulla fronte e davanti agli occhi.
«Mammaaaaaa!» grida mia figlia, accompagnata
dal suono del clacson.
«Arrivo, arrivo, eccomi!» urlo, affacciandomi alla
finestra.
Ho fatto davvero tardi. Chiudo le persiane e poi i
vetri. Buio. Accendo la luce come ho fatto centinaia di
volte, la mattina, prima di uscire di casa con Sara per
portarla dai miei genitori e poi andare al lavoro.
Faccio un giro veloce nelle stanze vuote, per controllare
di non aver dimenticato nulla e accertarmi
che le finestre siano tutte chiuse.
«Addio» sussurro alle pareti spoglie.
Sollevo l’ultimo scatolone rimasto, apro la porta
di casa e lo appoggio sul pianerottolo. Chiudo la porta e
tengo il mazzo di chiavi in tasca per evitare di
perderlo nella confusione che c’è sempre dentro la
mia borsa: dobbiamo passare subito dal proprietario
dell’appartamento per restituirglielo, meglio tenerlo
a portata di mano.
Scendo lentamente le scale, guardando con attenzione
oltre lo scatolone che tengo tra le braccia, per
essere sicura di appoggiare bene i piedi sui gradini ed
evitare di cadere. Finalmente lo carico nel baule della
nostra Audi A3 grigia e salgo in macchina.
«Era ora! Sei sempre la solita. Ma cosa avevi da
fare ancora là sopra?!»
Simone non sopporta il fatto che io, in qualsiasi
circostanza, sia sempre in ritardo.
«Niente, mi sono persa nei pensieri.»
«Tu pensi troppo, te lo dico sempre.»
Mi dà un bacio e partiamo.
Sara, la nostra bambina, sta giocando con i pupazzi di
gomma dei Barbapapà seduta sul suo seggiolino
sul sedile posteriore. Ha già tre anni, è cresciuta in un
lampo, sembra ieri quando ho scoperto di essere incinta.
Il tempo vola. E le cose cambiano in fretta.
Ci stiamo dirigendo verso la nostra nuova casa, a
Bergamo, la città in cui sono nata e dove vivono i miei
genitori.
Il mio lavoro ultimamente sta andando molto
bene. Lavoro per la rivista Cosmopolitan di Milano,
scrivo racconti, per lo più rosa, e di recente mi hanno
assegnato una rubrica tutta mia. Grazie all’aumento
di stipendio abbiamo potuto acquistare una villetta
alla periferia di Bergamo, molto carina e spaziosa, con
un grande giardino, come l’avevamo sempre sognata.
Nei nostri progetti coltiveremo anche un piccolo orto
e compreremo un cane: Sara li adora.
Osservo Simone mentre guida, mi fa impazzire
quando è concentrato e si mordicchia nervosamente
la punta del pollice.
«Ti voglio bene.»
Mi piace dirglielo tutte le volte che lo penso.
Si gira, mi guarda, sorride.
«Anche io, stellina. Passiamo subito a restituire le
chiavi al signor Carlo?»
«Sì, le ho qui in tasca.»
Salutare l’imprenditore edile mi mette a disagio.
È un caro amico dei genitori di Simone e, a suo tempo,
ci aveva aiutato a trovare il più velocemente possibile una
casa in cui vivere con la nuova famiglia che
stavamo creando. Un velo sottile di angoscia mi sfarfalla
nello stomaco. Non mi piacciono gli addii. Non
mi piacciono i cambiamenti. L’eccitazione e l’entusiasmo
per la nuova vita che mi aspetta, nella casa dei
miei sogni, dei nostri sogni, fanno a pugni con l’ansia
dell’ignoto. Nuove abitudini, nuovi spazi, un nuovo
profumo a cui mi dovrò abituare. Che dovrò imparare
a chiamare casa.
Gli occhi di Siria prendono di nuovo il possesso
della mia mente.
«Grazie mille Carlo, per tutto» affermo con un
tono di voce troppo alto, troncando la conversazione
tra Simone e quell’omino scarno con la pelle olivastra
e i capelli bianchi, che si volta a guardarmi con i suoi
occhi semplici e pieni di bontà.
Ho pensato che il suono della mia voce avrebbe
potuto riportarmi alla realtà e cacciare via ancora una
volta Siria e l’incubo di questa notte. Di molte notti.
«Grazie a voi, Giulia.»
Mi stringe in un abbraccio inaspettato. Ricambio
con sincero affetto.
«Verremo presto a trovarla.»
Mentre ripartiamo, diretti alla nostra nuova casa,
la sensazione di un leggero fastidio mi pervade. Forse
non avrei dovuto abbandonare la mia comfort zone.
roberta
ci sentiamo, casomai
Roberta affronta in questo romanzo, con delicatezza e l’innocenza dell’adolescenza, l’hiv. lo affronta tramite GIULIA, una ragazza che di questa malattia non conosce quasi nulla, tranne le scarne informazioni che si rimpallano “per sentito dire”.
Madre e moglie, in occasione di un traferimento, si ritrova a rimestare tra i ricordi di quel passato che aveva chiuso in un cartone, con l’amarezza di un’amicizia sfumata. E in un flashback, alternato ai momenti di vita quotidiana, incontriamo Siria.
Quando Giulia è con lei si sente felice, realizzata, completa. Ma un giorno, il segreto di Siria la lascia ammutolita, spaventata, terrorizzata e vuole conoscere tutto quello che ignora, facendo ricerche in internet, leggendo libri… ma non riesce ad allontare quel demone apparso nelle loro esistenze.
adelpoggio (proprietario verificato)
Un romanzo bello e avvincente, che tocca tematiche profonde ma sa essere anche piacevole e veloce alla lettura. Una storia con una trama ben costruita e personaggi per nulla scontati: da leggere tutto d’un fiato! Consigliatissimo!
Marta Tamagna (proprietario verificato)
L’incontro perfetto tra tematiche profonde ed esperienze di vita. Un romanzo diverso, vero, coinvolgente e inaspettato.
Super consigliato! Complimenti all’autrice!
gatti.tatiana (proprietario verificato)
Una racconto stupendo, carico di emozioni e sentimenti profondi.
Una storia da leggere tutta d’un fiato, scorrevole e veloce, una pagina tira l’altra!
Complimenti all’autrice, anche per le tematiche trattate!