Due rampe di scale contrapposte accompagnavano all’entrata. Il pianerottolo godeva di una vista che si affacciava sul giardino interno del palazzo. Qui era possibile sedersi all’ombra degli ulivi secolari che, osservandoli bene, avevano anch’essi qualcosa da raccontare. Al centro, un mezzobusto di Giacomo Leopardi a cui la biblioteca era stata intitolata. Il poeta era raffigurato nella classica posa che lo vede parzialmente rivolto di profilo, lo sguardo sicuro di sé, mentre indossa una camicia con il colletto teso verso l’alto, un foulard chiuso a copertura della gola e una giacca con ampio collo aperta sul petto.
All’ingresso, un simpatico tappeto, diviso a metà, riportava le scritte “Arrivi/Partenze”, quasi a rappresentare il gate di un aeroporto. La curiosità risiedeva nel fatto che l’indicazione “Arrivi” aveva la freccia rivolta verso l’uscita, mentre le “Partenze” verso l’entrata. Ho gradito molto il gesto della ragazza che, un giorno, aveva deciso di invertire il normale senso di utilizzo di questo tappeto, che vorrebbe le partenze in uscita e gli arrivi in entrata. Il capovolgimento denota una comprensione concreta del fatto che la biblioteca è un luogo di partenze verso un’infinità di posti differenti, e non una semplice stanza adibita al ritiro o alla consegna di testi.
All’interno, una pila di libri accostata a una parete dava il benvenuto con la domanda: “Quanto sei alto?”.
Una divertente campagna comunicativa interrogava i più piccoli per avvicinarli, in maniera quasi competitiva, al mondo della lettura. L’ultimo a essersi misurato era stato un bambino di circa otto anni che, dopo aver raccolto tutti i libri che potevano essere letti a casa, aveva raggiunto l’obiettivo eguagliando la propria statura e ottenendo una coccarda colorata che riportava il suo nome e l’altezza, misurata in libri, faticosamente raggiunta.
La porta cigolava con penetrante sgradevolezza; le grandi finestre affacciate sulla piazza del comune vibravano a ogni soffio di vento. La pioggia, che nel frattempo era iniziata a cadere con insistenza, generava un monotono sottofondo.
Un uomo entrò con una certa timidezza dentro quel luogo dove sapeva di poter trovare riparo nei momenti di smarrimento, nei giorni in cui, guardandosi allo specchio, non si riconosceva.
Avrà avuto circa settantacinque anni, portati con molta dignità. Parzialmente calvo ma con una folta barba che riusciva a compensare bene quella mancanza. Indossava un paio di blue jeans, una camicia a quadri e una maglia a tinta unita beige. Dal collo gli pendeva un paio di occhiali da vista con una montatura piuttosto fine. Al polso, un orologio classico con cinturino in pelle, quadrante tondo con finiture dorate.
Si avvicinò all’impiegata comunale. La donna, che aveva circa mezzo secolo di storia alle spalle, portava dei lunghi capelli grigi raccolti in uno chignon e bloccati con una penna. Sulla fronte teneva appoggiato un paio di occhiali neri dalla struttura spessa. Il suo viso era particolare e forse difficile da dimenticare, grazie alle due folte sopracciglia invecchiate anch’esse dal tempo, un naso pronunciato e una grande macchia nera, credo fosse un neo, al centro della guancia destra. Le numerose rughe, vicino alle labbra, sotto gli occhi e al centro della fronte, conferivano al suo volto un’immagine comune: quella di un mare in tempesta.
Che fosse lo specchio del suo stato d’animo?
Le dita lunghe e affusolate caratterizzavano le sue mani candide, sporcate qua e là da alcune macchie della pelle, come gocce di caffè cadute accidentalmente su un pavimento cerato. Lo smalto bordeaux, a tratti assente, le infondeva un accento profondamente cupo.
L’uomo, con estrema gentilezza e cortesia, accompagnate da un tono di voce flebile al limite della percezione, la salutò. D’altra parte, lei, che non si era accorta della sua presenza, tanto sorpresa quanto infastidita gli rispose: «Ciao, cosa ti serve?».
Lui si guardò intorno un po’ smarrito, ma con un’idea ben precisa nella testa. Aveva raggiunto quel posto con coscienza e determinazione; non era lì per puro caso. Infatti, senza pensarci troppo, le disse: «Vorrei fare un viaggio».
Un’affermazione che potrebbe sembrare inappropriata in quel contesto, eppure non lo era affatto.
Dalla smorfia sul viso della donna si percepì subito quanto quella dichiarazione non fosse di suo gradimento. La risposta non tardò ad arrivare: «Anche io ora vorrei essere in un’isola deserta, eppure mi tocca stare qui. Non siamo mica un’agenzia viaggi!».
Con un timido sorriso, l’uomo si tolse dall’impegno di quella conversazione e iniziò quella che sarebbe presto diventata la sua più grande avventura.
La biblioteca era stata completamente costruita in legno, la cui tonalità, molto scura, si contrapponeva perfettamente alla gradevole illuminazione, generando così un equilibrio stabile tra le parti.
Era divisa su due piani. Nella parte inferiore trovava spazio un’ampia sala dove al centro era stato posizionato un mappamondo, anch’esso in legno, di notevoli dimensioni. Questo lo attirò a sé come una potente calamita, catalizzando la sua attenzione. L’uomo, ignaro, a ogni passo provocò lo scricchiolio del parquet, che ruppe la concentrazione di un ragazzo seduto a lato e intento nella lettura di una rivista storica. Il giovane, guardandolo con esasperata irritazione, si rivolse a lui dicendo: «Non vedi che c’è gente che sta leggendo? Nemmeno qui si può avere un’ora di silenzio!».
L’uomo risultò turbato, non tanto per il tono con cui il ragazzo si rivolse a lui, quanto per il contenuto di quella affermazione: lo stereotipo della biblioteca come ambiente tranquillo, pacato, silente. Tale percezione, però, è propria di chi ascolta solo attraverso le orecchie e non è allenato a farlo anche con la mente e con il cuore. La biblioteca, infatti, è quel luogo in cui sono contenute le parole, i suoni, gli odori, i sapori, le emozioni di storie che resteranno eterne. Accostare l’aggettivo “silenziosa” al termine “biblioteca” non è altro che un ossimoro che i grandi scrittori della letteratura italiana avrebbero potuto inserire nelle loro opere, proprio come hanno fatto Pascoli con “tacito tumulto”, Petrarca con “viva morte” e lo stesso Leopardi con “E il naufragar m’è dolce in questo mare”.
L’uomo riuscì comunque a raggiungere quella grande sfera. Dopo averla accarezzata con il palmo della mano, la fece lentamente ruotare verso est, là dove nasce il sole. Lo vidi chiudere gli occhi; in quel momento anche lui stava roteando, viaggiando, vivendo.
Molto spesso ti sarà capitato di sentir dire la frase “tu hai la testa fra le nuvole” quando si vuole etichettare una persona come sbadata, non attenta, distratta dal mondo. Eppure, io credo sia bellissimo trovarsi in quello stato. Ho avuto la possibilità di volare in diverse situazioni della mia vita e l’emozione che si prova quando si è là sopra non è equiparabile a nessun’altra. La prima volta che lo feci rimarrà per sempre impressa dentro me. Eravamo sulla pista, pronti al decollo. Una pioggia torrenziale offuscava la vista fuori dal finestrino dell’aereo. Poi, la partenza. Dopo alcuni minuti, eravamo in cielo, sopra le nuvole, e qui la rivelazione che mi riempì l’anima: c’era il sole. Imponente, raggiante, costantemente presente nonostante quella triste plumbea copertura volesse raccontare un’altra, falsa, verità.
Quindi, qualora nell’arco della tua vita dovessi sentirti qualificato come qualcuno che ha la testa tra le nuvole, non immedesimarti nell’accezione negativa dell’espressione. Significa che sei stato definito un sognatore, colui che non si accontenta della realtà che lo circonda ma cerca sempre luoghi, persone, emozioni nuove.
L’uomo restò in quella posizione per diversi minuti. Dopo alcune riflessioni con se stesso, entrò in uno dei corridoi che davano sulla sala principale.
Passeggiò tra quei grandi scaffali che gli restituirono la consapevolezza di non essere solo, ma in compagnia di autori, personaggi, comparse e protagonisti di un inevitabile susseguirsi del tempo chiamato vita.
Decine di migliaia di libri, l’uno accanto all’altro. Più alti e più bassi, più grandi e più piccoli, più recenti e più datati. Lingue, tradizioni, origini, esperienze diverse. Generi, ambientazioni, messaggi. E poi un’infinità di colori, di sfumature, di vita.
La biblioteca è il luogo della diversità. Di genere, di cultura, di forma, di idee, di percezione, di situazioni. E la diversità è ricchezza. Solo avvicinandoci a ciò che pensiamo di non essere potremmo capire realmente chi siamo.
Dopo alcuni minuti di inarrestabile girovagare, lo vidi salire le scale e portarsi al secondo piano. Lì, alzando gli occhi, rimase visibilmente meravigliato. La biblioteca era stata ricavata in un locale storico del comune, ristrutturato. Il soffitto era composto da volte affrescate raffiguranti scene bibliche. La potenza comunicativa di quel luogo non aveva eguali.
I suoi occhi rispecchiavano le figure angeliche che si stagliavano con eterna leggerezza sopra di lui. Interpretando l’espressione ben nitida sul suo volto, credo che mai prima di allora fosse stato invaso da così tanta bellezza.
Al contempo, io mi stavo godendo l’intera scena dall’ultimo ripiano, in alto a destra, di quella che, in fondo, era la mia casa. Scusa, non mi sono ancora presentato. Mi chiamo Edmondo, ma gli amici mi chiamano “Mondo”. La mia identità è ciò che di più ordinario tu possa trovare all’interno di una biblioteca.
Sono un libro. Sì, hai letto bene: un libro.
Per una volta, il corso della storia viene rovesciato e un libro, il sottoscritto per l’appunto, prende letteralmente la parola e racconta la sua esperienza di vita, ovvero la personale lettura dell’essere umano.
Come? Adesso te lo spiego.
Francesco Carone (proprietario verificato)
Libro che non è un libro, ma un viaggio da ascoltare…. Complimenti all’autore, e grazie per il viaggio, è anche per il gesto nobile, nel devolvere il ricavato in beneficenza.
marcello compagnucci (proprietario verificato)
“La soggettività è emancipazione.
La lettura è libertà.”
Un romanzo che sicuramente rileggerò quando riceverò la copia cartacea.
Come dice l’autore in un passaggio del libro, il fascino delle parole stampate, lo sfogliare le pagine sono parte integrante della lettura e contribuiscono ad apprezzare appieno il loro contenuto.
Un’opera prima profonda, curiosa, che regala spunti di riflessione anche nel suo epilogo.
Valentina Elisei (proprietario verificato)
A volte cambiare prospettiva è l’unico modo per godersi veramente le cose e grazie a questo libro tutto è possibile: ci apre gli occhi ad un mondo diverso e ogni capitolo stimola il voler conoscere la prossima meta.
Un libro che ci permette di andare e tornare, viaggiare attraverso luoghi e persone, che fa sorridere e anche riflettere.
Consigliatissimo!