Capitolo Uno
cimici e farfalle
Stoc.
Diego si risvegliò per l’impatto di una cimice contro il tendaggio di una delle tre grandi finestre.
Fuori, un muro d’acqua scendeva compatto con fragore da temporale estivo.
Dopo essersi schiantato, l’insetto ritentò. Roteò in aria per qualche secondo e terminò due avvitamenti veloci di nuovo contro la vetrata alla sinistra del letto, ricadendo a terra.
Diego intanto riprese contatto con la realtà.
Riconobbe il luogo dove si trovava, ispezionò brevemente la stanza e subito notò che rispetto all’ultimo ricovero avevano cambiato i serramenti: ora erano bianchi.
La cimice, dal canto suo, si dimenava ronzando, ribaltata a terra.
Diego la osservò e immaginò la fatica: il peso delle elitre, la coordinazione necessaria, l’utilizzo di ogni singola fibra muscolare reclutabile nella manovra.
Finalmente l’animale riuscì nello sforzo e non appena ebbe poggiato le zampette al pavimento, ripartì con un decollo verticale.
Tre, quattro giri sgraziati in aria, poi Diego ne perse le tracce.
La sentì ronzare di nuovo, più vicina, a sinistra. Ruotò il più possibile il capo, ma non la vide; continuò l’esplorazione dello spazio utilizzando fino al limite dello spasmo i muscoli oculari, e la ritrovò.
Allora, la cimice compì un paio di manovre in volo e gli planò davanti, precipitandogli tra i capelli.
Diego ne percepì la pressione sulla cute del capo, ma non fece nulla per allontanarla.
Piuttosto, allungò il braccio sinistro verso il comodino, aprì il cassetto, cercò a tentoni all’interno e si rasserenò scoprendo che il suo assistente aveva rispettato i patti.
Signor Dante, dovessero soccorrermi com’è successo l’ultima volta, mi faccia per favore avere il quaderno, aveva prescritto in un biglietto allegato alla busta della paga mensile dopo l’ultimo ricovero.
Non si chiamava davvero Dante quell’uomo.
Diego non aveva mai memorizzato il nome di battesimo e nemmeno ve n’era stata la necessità; l’uomo stesso aveva suggerito di chiamarlo così: Dante.
Era una persona affidabile, Dante. Quello sì.
D’altra parte, il contatto gliel’aveva fornito Umberto, e mai Umberto avrebbe garantito per qualcuno che non lo meritasse.
Perciò, il quaderno blu era nel cassetto.
Mesi prima, ovvero da quando non era stato più in grado di provvedere a se stesso, Diego aveva dovuto accettare la presenza in casa di qualcuno che si occupasse di lui.
Non era stato facile convincerlo.
Umberto aveva dovuto più di una volta ricordargli la possibilità di un ricovero coatto, minacciare di ricorrere all’extrema ratio del TSO; e Diego, che riusciva ancora in qualcuna delle attività quotidiane essenziali alla sua sopravvivenza, ma era altresì consapevole della progressione della malattia, si era dovuto arrendere.
Aveva ugualmente ottenuto un enorme risultato: aveva almeno concordato che rimanesse solo per la notte, a prescindere dal rischio.
Umberto non si era ulteriormente opposto; le trattative con Diego lo avevano sfinito da un pezzo.
Udite delle voci avvicinarsi dal corridoio, Diego ripoggiò il quaderno nel cassetto e lo richiuse. Ritirò poi il braccio sul letto e si congelò nella posa.
«Stasera invertiamo i portieri! Domenico va con loro, o siamo squilibrati.»
Due uomini e due divise, quella di un infermiere e il camice di un medico, apparvero sulla soglia della camera.
Il medico domandò: «Chi è arrivato nella 207?».
L’infermiere rispose: «Arresto cardiorespiratorio. Ricordi il professore? Quella paralisi stranissima?».
«Ancora lui?»
«L’hanno rianimato ieri in ambulanza. La mattina il badante l’ha trovato che sembrava già morto e ha chiamato. Dice che quando sono arrivati era in arresto, ma l’hanno ripreso. Dopo il PS, appena appena stabile, hanno chiesto se c’era posto qui da noi e ce lo siamo ripreso.»
«E chi l’ha autorizzato, scusa?»
«Tu non c’eri. Michele la cartella l’ha fatta fare a Zitelli. Che lo conosce pure, questo, a quanto pare.»
Il medico sbuffò. L’infermiere cercò di ridimensionare.
«Questo agita pure me. Però è messo male, molto male. Non credo rimarrà molto.»
«Peggio ancora» scandì il medico.
L’infermiere pensò di dover dire qualcosa di utile, ma il medico non glielo permise, alzando appena il braccio destro con innecessaria solennità.
Il professor Diego Bracelli, perfettamente immobile nel letto, aveva intanto ascoltato ogni loro parola.
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Maggio 1990
«A cosa stai pensando?»
«A nulla.»
«È un non pensiero, o un pensiero sul nulla?»
«Niente complicazioni, per favore, adesso proprio non ce la farei a seguirti. Poi ho troppa sete.»
Clara scattò dal letto e saltellò verso la cucina.
Nuda sembrava ancora più alta. La vita sottile, le spalle bene aperte. Forse solo le gambe, molto lunghe, rompevano di poco la proporzione, ma Diego la trovava comunque di una bellezza senza rivali.
«Praticavi sport da bambina?» le domandò sprofondando nel letto.
«Come?»
Per fortuna, dalla cucina Clara non poteva sentirlo.
«Niente. Robe mie» rispose Diego, ora alzando poco la voce.
«Torno e mi dici. Ma non fissarmi come fai di solito.»
«Che?»
«Hai capito! Non farlo, che lo fai sempre.»
«Ma tu meriti di essere ammirata così, tesoro.»
Clara si affacciò alla porta della camera con un bicchiere d’acqua nella mano e scrutò Diego inclinando appena il capo in una posa ammiccante, ma allo stesso tempo buffa.
«Vieni qui!» la implorò lui.
«Arrivo, ma non mettermi in imbarazzo.»
«Va bene, basta che vieni qui.»
Raggiunto il letto, Clara poggiò il bicchiere sul comodino accanto alla testiera, raccolse dal pavimento la maglia di Diego e la indossò frettolosamente.
«Dicevi?» domandò lanciandosi sul materasso
«Piano! Nulla, non dicevo nulla di sensato.»
«Dai!»
«Nulla! Ammiravo solo il tuo bel sedere!»
«E che borbottavi?»
«Nulla, davvero. Soltanto pensavo che hai un culo da dipinto!»
«Un Botticelli?»
«Più un Botero, tesoro!»
«Sei un cretino!» Le si aprì un sorriso ampio.
Si sedette poi accanto a Diego incrociando le gambe, in una tipica posa da meditazione.
Sollevò un lembo della maglia, lo portò al viso scoprendo la pancia e inspirò forzatamente.
«Adoro il tuo profumo addosso. Dovresti regalarmi una tua maglietta.»
«L’armadio è davanti a te. Prendi quella che vuoi.»
«No, devi averla indossata prima; deve sapere di te. Come questa.»
«Allora facciamo che appena è estate, te ne tengo da parte una tutta sudata.»
«Che cretino!»
«E due!»
Alessio Costantini (proprietario verificato)
Libro piacevole con una storia interessante e curiosa. Belli i richiami agli anni 90 . Un libro da cui non si riesce a staccarsi per la voglia di scoprire e capire cosa succede e come…
Bravo Luca Attrattivo… aspettiamo il prossimo libro.