Il Passo della Colla è l’apice di una salita che spezza in due la famosa 100 km del Passatore. E’ un punto cruciale della corsa, vera metafora della vita, dove il sollievo per la fine della parte più dura del percorso non concede sconti allo sforzo da profondere nella parte rimanente: un dislivello più comodo, da affrontare però con sulle spalle tutta la fatica fatta per arrivarci. Così vivo anche l’orizzonte dei miei cinquant’anni, ossia di quel momento perfetto, forse l’ultimo, in cui bilanci e progetti possono ancora coesistere serenamente.
Conosco l’obiezione: perché mai dovrebbe interessare la mia vita ai lettori che non mi conoscono?
Forse perché siamo eclissati dai supereroi moderni che straripano da tutti i social: leggere di una vita comune, che può essere così eccezionale nella sua faticosa semplicità, può aiutarci a dare il giusto peso anche alle vite di quei personaggi che ci sembrano così speciali solo perché molto visibili. E soprattutto, rendere giustizia alle nostre.
Perché ho scritto questo libro?
Cosa può fare chi ha dovuto sacrificare una passione sull’altare di una vita piena di impegni mantenuti, solo perché era l’unica cosa che poteva rimandare? O solamente perché l’ha riconosciuta quando ormai le pedine della propria vita erano sparpagliate, come su una scacchiera a metà partita?
All’alba dei cinquant’anni, ho provato a mettere a tacere i fantasmi dei rimpianti mettendo un punto scritto ad una vita fatta di tapis roulant e di spigoli, per arrivare alla conclusione più scontata.
ANTEPRIMA NON EDITATA
PREMESSA
“Scrivi bene”.
Questa, in estrema sintesi, l’unica motivazione che mi ha spinto a rischiare l’ultimo brandello di dignità ancora intatto. Poi immagino che, scrivendo questo non so cosa, di motivazioni vere ne usciranno molte altre, che se non giustificano il mio insano gesto, quantomeno assolvono voi per aver speso dei soldi a causa mia.
Se mi guardo indietro, trovo in ogni passaggio importante della mia crescita la voglia di esprimermi, soprattutto in forma scritta. C’è stato un momento in cui avrei voluto fare l’oratore, perché ammiro in modo smisurato tutti quelli che riescono a spiegare un concetto, sviluppare un ragionamento e stimolare in chi lo ascolta riflessioni accessibili.
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Sì, accessibili, perché dei concetti complessi che restano in testa solo a pochi eletti io faccio volentieri a meno, come immagino la maggior parte delle persone comuni. Però è proprio una dote che mi manca, quella di farmi capire parlando. Con la scrittura riesco a colmare questa lacuna, perché ho il tempo di riflettere, sbagliare e correggere le cose che l’istinto di solito riesce solo a confondere.
Ho sempre cercato di raccontare le mie storie nelle forme che mi si sono presentate davanti, ma non avevo mai pensato di cristallizzarle sulla carta stampata. Un giorno, di ritorno dai festeggiamenti del compleanno di un amico, ho immaginato che cosa avrei desiderato spegnendo le mie cinquanta candeline e, poiché tutti i progetti faraonici, isole caraibiche, viaggi interstellari stridono un pochino di fronte alla realtà fatta di problemi, bollette, pandemie, guerre, figlie in crescita e nonni in discesa, allora ho pensato di dare forma ad un’idea che fino a qualche anno fa non mi sfiorava neppure, mentre adesso sembra la cosa più sensata che abbia mai fatto: mettere un punto scritto alla mia vita.
Una sola considerazione mi scoraggiava: come può scrivere un libro uno che sostanzialmente non ne legge? Questo dubbio bastava a farmi desistere dal pensiero.
Poi mi sono iscritto ad un corso di scrittura a Lucignana, un paesetto adorabile in Garfagnana con una incantevole libreria che lo ha reso oltremodo attrattivo ed interessante e lì ho capito che la mia lacuna più grande poteva essere l’unica moneta da spendere per salire sul treno dell’originalità.
E così è iniziato questo mio viaggio al contrario, pieno di cose belle e meno belle, ma soprattutto di attesa di cose belle. Un’attesa spesso pronta a tradire la percezione del presente. Un viaggio attraverso una vita fatta di tapis roulant e di spigoli, partendo dal peggiore di tutti.
1. IL GIORNO PIU’ BUIO
Sembra incredibile, come a volte l’universo predisponga la sceneggiatura perfetta anche nelle possibili tragedie, come per dare un tocco di teatralità agli eventi.
Era un giorno qualunque ad un’ora qualunque. Come le quattro del pigro martedì pomeriggio evocato in “Accetta il consiglio” di Linus. Quei momenti anonimi in cui si nascondono i veri problemi della vita.
Avevo appena accompagnato Ester, mia figlia allora quattordicenne, all’allenamento di tennis, e quel giorno, al contrario del suo solito umor nero tipico da adolescente, era serena e sorridente. La lasciai promettendo di darle una lezione quanto prima, con la mia racchetta vintage. Tornai al lavoro che ancora non pioveva, ma il cielo aveva più a che fare con la notte che con il giorno.
Rientrato nel mio ufficio in carrozzeria, tutto ha inizio.
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