Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors

Città di Nanza (la scuola media non esiste)

Foto Copertina 1 jpg
100%
200 copie
completato
0%
50 copie
al prossimo obiettivo
Svuota
Quantità
Consegna prevista Luglio 2025
Bozze disponibili

Approdata nel mondo della scuola, Andrea si appassiona al proprio lavoro grazie a una ragazzina considerata da tutti eccentrica perché non conosceva la fine delle fiabe. Per Andrea i suoi alunni (che chiama al-unni per evidenziare la loro natura vivace), rappresentano una distrazione da una vita serena ma monotona. Il rapporto con i colleghi è per lo più formale, tranne con Marco e Chiara che frequenta anche fuori dalle mura scolastiche. Attorno a questi personaggi orbitano altre figure, dai “bidè” al responsabile “d’amplesso”, ribattezzati così dagli al-unni più intraprendenti. L’arrivo a scuola di una supplente, Milena, porterà nella vita della protagonista una ventata di aria fresca e la condurrà a rivedere il concetto di amicizia. Andrea rifugge le storie d’amore, fino a quando conosce Roberto, con cui inizia una storia non-storia, fatta di appuntamenti mancati. Tra uno strafalcione e una gaffe da parte dei suoi al-unni, l’anno scolastico si concluderà portando grandi cambiamenti.

Perché ho scritto questo libro?

Città di Nanza è venuto alla luce da solo: mi è bastato dare forma a una storia che, pur non essendo del tutto autobiografica, ho sempre voluto scrivere. Da insegnante quale sono, ho sentito l’esigenza, quasi fosse un dovere, di descrivere, in chiave ironica, la quotidianità di una piccola comunità scolastica, raccontando aneddoti a volte divertenti, altre volte commoventi, in cui molte persone potranno rivedersi.

 

Immagine di banner di Daniela Pennino

ANTEPRIMA NON EDITATA

 

Sono trascorse diverse settimane dal suono della campana del primo giorno di scuola, e il peso di giornate sempre uguali comincia a pesare sulle mie articolazioni. Le vacanze di Natale sono ancora lontane, e non mi resta che puntare ad obiettivi più vicini, tipo il fine settimana. Stringo i denti, raccolgo le forze e mi faccio coraggio, pensando che tra due giorni è sabato e potrò permettermi il lusso di dormire fino alle otto.

Arrivata in classe, non ho neanche il tempo di riporre la borsa sulla cattedra, che uno degli al-unni si mette a inveire contro un compagno che – dice – gli fa le “strurusarie”, vale a dire i dispetti. Nello specifico sono i soliti noti, Ansaldi e Romeo, che litigano selvaggiamente per accaparrarsi il posto vicino alla finestra. Li raggiungo prima che si accapiglino e gli ordino di tornare ognuno ai propri posti, tuttavia Ansaldi insiste, provando a convincermi utilizzando la scusa dell’allergia.
Continua a leggere

Continua a leggere

– Professorè, ho bisogno di aria – Biascica con un filo di voce, recitando la parte della malata immaginaria, visto che della sua presunta allergia non abbiamo mai avuto le prove. Nel frattempo, D’Antoni mi fa notare che Manetti, approfittando del momento di confusione, è andato in bagno senza chiedere il permesso. – Sei spione e sbirro – strepita Marchetti rivolgendosi a D’Antoni, ma io non ho il tempo tantomeno la voglia di sciogliere quest’altra diatriba. Raggiungo Manetti in bagno, sperando che nel tragitto non abbia combinato qualche disastro. Tornata in classe con a seguito il fuggitivo, riesco finalmente ad occupare il mio posto vicino la cattedra, ma so già che tra qualche secondo dovrò riprendere la mia corsa per sedare qualche altra disputa.

Il mio lavoro è più dinamico di quanto si possa pensare. Oltre a inseguire convulsamente i prigionieri evasi, trascorro la maggior parte del tempo a vagabondare come un’anima senza corpo all’interno della classe, dividendomi tra Romeo e Manetti per convincerli a studiare, aiutando la piccola Martina a svolgere i compiti, e per sedare le tensioni, frequentissime, che si vengono a creare per un non nulla tra Ansaldi e Viola, tra Marchetti e Consuelo e così via. È sufficiente un commento sbagliato da parte di uno nei confronti di un altro, o la penna di Mario che, “casualmente”, viene ritrovata nel portacolori di Giulio, che si scatena l’inferno. – Professorè, non è vero che l’ha presa “casualmente”, me l’ha rubata! – Estemporaneamente l’ora di lezione viene fagocitata dal set della serie tv “Avvocati a Los Angeles”, che è un po’ datata, ma rende l’idea: i difensori da una parte, quelli dell’accusa dall’altra e io al centro, che non riesco neanche a rivestire il ruolo del giudice, al massimo quello di usciere. Secondo Sarah senza l’acca ha ragione Diego: Kevin è un ladro, e non è la prima volta che lo fa.

– La scorsa settimana sono sparite due gomme e il libro di scienze di Teresa e solo dopo che è venuta la preside le abbiamo trovate! -. Annuncia perentoria con aria soddisfatta.

– Ma non lo puoi dimostrare! Erano dentro al cassetto, chi ti dice che è stato Kevin? -. Contestano i difensori. Il resto della classe, dall’angolo dell’aula, forma la temibile giuria che, però, non ha diritto di voto, la loro funzione è quella di “buttare” voci. Il guaio è che nessuno si auto proclama giudice, e l’arringa diventa un’aringa, salata, che ingurgiterei sana pur di non stare lì a sbraitare. Riesco a ripristinare la calma, ma è solo apparente perché a breve si scatenerà un altro tsunami.

Sono continuamente in giro, soprattutto nei corridoi perché, nonostante sia tornato il sereno, c’è sempre qualcuno che porta gli strascichi di una causa conclusa a suo sfavore. L’ora di storia è finita, e adesso mi tocca supplire la collega di lettere che oggi è assente. Mi viene da piangere. Archiviata la questione dell’allergia di Ansaldi, se ne presenta un’altra, che ha come protagonista Consuelo, appena sgattaiolata dalla classe per andare a trovare la compagna di II A che – sostiene – si è fatta le mèche rosa e deve chiederle immediatamente, non può aspettare un secondo di più, il nome del parrucchiere che gliele ha fatte. Mi fumano le orecchie, e i compagni provano a convincermi che sono stata io stessa a dare il permesso a Consuelo di uscire. Subdoli e infidi; non è vero, hanno detto una bugia, almeno mi pare, sempre che non stia perdendo il senso della realtà. A volte sono così convincenti che mettono in crisi le mie certezze. A sciogliere il nodo sulla mia sanità mentale ci penserò dopo e, disperata, chiedo aiuto al bidè. – Per favore, mi guarda i ragazzi? – Corro a prendere Consuelo, sperando di trovarla in II A e non imboscata con Saverio, l’ex di III M con cui, pare, abbia ripreso i contatti da poco, almeno questo è ciò che i compagni sostengono dopo aver visto un loro video su Tik-tok. Rincorro Consuelo: non sono più neanche una professorè, sono un’atleta ai blocchi di partenza che gareggia, non per vincere, ma per sopravvivere. In effetti la fuggitiva è in II A, sulla soglia della porta insieme alla compagna con le mèche rosa che le sta mostrando i capelli con fierezza e vigore. Consuelo le fa i complimenti, tuttavia nelle sue parole colgo un pizzico di invidia, perché è consapevole che sua madre non le darà mai il permesso per agghindarsi in quel modo. Ammonisco la fuggitiva, che di tornare in classe non vuole sapere; dice che “a quella” (intendendo la prof. di lettere) non la sopporta e preferisce restare in II A dove c’è un prof. più simpatico. – Non si può fare, e poi la prof. non c’è, la sostituisco io. – Rispondo stremata -. Consuelo cede, saluta la compagna e, insieme, facciamo strada per tornare nella nostra aula. Taglio il nastro da vincitrice, con la furfante ritrovata e dieci anni in meno. Riesco a concludere la lezione iniziata il giorno prima dalla mia collega di lettere sul periodo ipotetico, ma a quanto pare Gabriela “se sarebbe stata ricca” a scuola un ci vinissi e Antonio “se avrebbe avuto la grana si fosse comparato la squadra del Palermo”. Mi arrendo, almeno per oggi e, invece dei periodi, l’unica cosa che mi viene di ipotizzare è il mio suicidio.

Sono sempre in giro, talvolta anche dentro i bagni, per controllare che non stiano litigando anche lì. E non importa che dietro la porta ci sia affissa la targhetta dei maschi, io, se è il caso, entro senza pudore. – Professorè, che ci fa dentro il bagno dei masculi? Che fa, cià il pisellino? “No, il pisello no, ma ho due coglioni così”. Ecco, almeno una volta mi piacerebbe rispondere così.

Anni di studi consumati sui libri, tra i guaiti del cane di Pavlov e gli stadi mentali di Piaget, per ridurmi a tata Lucia, o giù di lì. Non che trovi deprecabile il mestiere di bambinaia, ma io sono un’insegnante ed è quello che vorrei fare.

I bellissimi ideali con cui viene nutrita durante la formazione e i corsi di aggiornamento la classe insegnante, vengono inesorabilmente schiacciati da queste quotidianità. Ideali come l’istruzione, l’educazione, la trasmissione di un pensiero critico, ma c’è una cosa, sopra di tutte, che vorremmo veramente: la pipì.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

Commenti

Ancora non ci sono recensioni.

Recensisci per primo “Città di Nanza (la scuola media non esiste)”

Condividi
Tweet
WhatsApp
Simona Zarcone
Nasce a Palermo il 22 marzo del 1975. È insegnante di sostegno e istruttrice di fitness presso un centro sportivo. Ha scritto testi teatrali e brevi racconti. Attualmente fa parte di una compagnia teatrale con la quale ha messo in scena diverse rappresentazioni.
Simona Zarcone on FacebookSimona Zarcone on Instagram
Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors