Durante il Natale del 2019, l’Europa è colpita da alcuni blackout che sembrano inspiegabili e si verifica una terribile tragedia nei cieli della Slovenia. Anselmo Scordo, detto Selma, vicequestore napoletano, si ritrova a operare nella base segreta dell’intelligence italiana, nota come la squadra Ombra.
Nel gennaio del 2020, un codice intercettato nel dark web svela un enigma e dà avvio a una missione cruciale: impedire un’apocalisse imminente che potrebbe far precipitare l’Europa in un nuovo Medioevo. Selma, abbandonando il suo ruolo di poliziotto, si immerge in una nuova dimensione: attraverso un continente diviso da conflitti e paure, affronta insieme alla squadra una sfida fatale contro il tempo e un avversario dotato di mezzi illimitati, che cela il suo vero obiettivo dietro un misterioso conto alla rovescia… “159 ore 43 minuti 39 secondi”.
PROLOGO
La difficoltà a mantenere costante il respiro era evidente. Anche i battiti del cuore sembravano andare fuori tempo. Tamponò la ferita sulla spalla con l’unica mano che poteva muovere. Poi si toccò il torace. I proiettili avevano fatto danno. Nonostante il dolore, spostò la mano davanti al viso per riparare dal sole gli occhi lucidi. Era sporca del sangue che stillava sul viso provato. È quasi mezzogiorno. Era arrivato alla fine.
Mesi di ricerca, preparazione, sospetti, azione, rancori e un profondo desiderio di giustizia che non lo aveva abbandonato un attimo. In queste ultime settimane si era addormentato, fra incubi e sudori, con la certezza che si sarebbe risvegliato ancora là. Nessun dubbio. Non sarebbe “fuggito” per nulla al mondo. Almeno finché non avesse avuto la possibilità di chiudere i conti una volta per tutte. Per troppo tempo si era sentito come quella farfalla. Sempre fuori posto in un mondo che poteva essere il suo ma che, allo stesso tempo, percepiva non esserlo.
E così sarebbe successo in futuro… ovunque. Quale futuro? Avrebbe potuto chiudere gli occhi e ritrovarsi nel letto di casa, nella villetta a pochi chilometri dalla questura… e quest’incubo sarebbe finito. Invece, aveva pregato tutte le sere affinché ciò non accadesse. Stavolta era certo di non aver lasciato nulla al caso. Per adesso, nondimeno, era là. Ferito e solo, sull’asfalto bollente. C’era ancora un’ultima domanda a cui rispondere. L’unica che in quel preciso momento lo terrorizzava.
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E se fosse questo il mio posto? Il mio destino? Doveva valutare anche quell’eventualità: la morte. Stava lottando con tutte le sue forze per rimanere lucido. L’emorragia non si arrestava. Si rese conto che non poteva fare più niente per loro e nessuno sembrava potesse più fare nulla per lui. Selma tossì… due volte. Reclinò il capo a sinistra e decise da sé. Avrebbe serrato gli occhi. Rivisse tutto di quei mesi, che defluirono veloci nella sua mente abbagliata dal sole, sin dal nuovo inizio… La sera di Natale.
25 dicembre 2019 Brnik (Slovenia) – Aeroporto Jože Pučnik L’annunciata temuta tempesta, fortunatamente, si era rivelata meno intensa del previsto. Il vento continuava a spirare da nord- est, portando con sé freddo e neve. Ma era Natale, e quelle condizioni atmosferiche erano tutto fuorché anomale. Anche se il buio era già sceso da diverse ore, quella sera non sarebbe stato necessario deviare alcun volo fra gli ultimi in arrivo. Seduto nella sua postazione abituale, con il periodo di servizio arrivato quasi alla fine, Josip Šavli era in contatto con l’aereo in avvicinamento.
Il volo era quello partito dallo scalo londinese di Gat- wick un paio d’ore prima. Doveva dettare gli ultimi accorgimenti per il definitivo cambio di rotta. Bisognava instradare l’Airbus 320 verso l’aeroporto che si trovava a circa venti chilometri dalla capi- tale Lubjana. Il tono della sua voce era sempre il medesimo, dal primo all’ultimo minuto del turno di lavoro.
Era previsto dalle procedure e raccomandazioni standard che presumevano una tecnica microfonica ben codificata. Le parole, per esempio, dovevano essere pronunciate correttamente, con un livello di voce costante, un po’ più alto di una normale conversazione. La bocca doveva essere sempre rivolta verso il microfono, mantenendo una cadenza regolare che non superasse le cento parole al minuto. Era d’obbligo, inoltre, usare solo frasi e parole standard, eliminando ogni difetto nell’intervento. Assolutamente vietato mangiarsi consonanti o esitare nella comunicazione. Ultima raccomandazione era quella di ricordarsi sempre di schiacciare del tutto l’interruttore del microfono prima di iniziare a parlare.
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