I Barbari sono alle porte. Dopo una rovinosa battaglia in cui le terre di Anthares perdono la capitale, il giovane Beregor eredita suo malgrado il titolo di conte e con esso il fardello del potere e della crisi. I nemici lo assediano dall’esterno, ma Beregor dovrà guardarsi anche dai traditori che serpeggiano alla sua corte, e presto sarà chiamato a fare una scelta: mantenere il potere a qualunque costo o rischiare ogni cosa per un futuro di pace?
PROLOGO
Mentre saliva i gradini che lo avrebbero condotto sui bastioni, il vento, carico di salsedine, gli frustava il viso, quasi volesse strappargli la carne di dosso. L’odore fresco del mare riempiva le narici. Le onde si infrangevano contro gli scogli circostanti con violenza inaudita. Sembrava quasi che, presto, persino le mura ne sarebbero state abbattute. Il rombo dei marosi sovrastava qualunque altro rumore, amplificato dall’eco prodotto attraverso lo stretto passaggio della scalinata. Gli schizzi sollevati dall’infrangersi della mareggiata contro i bastioni scavalcavano le mura con impeccabile maestria. I gradini perciò erano fradici e ricoperti di un sottile strato di alghe, che minacciava di far scivolare a ogni passo. Così, quando Beregor fu arrivato finalmente sulla cima di quelle formidabili fortificazioni, tirò quasi un sospiro di sollievo per essere riuscito a mantenersi saldo, senza cadere.
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La vista, da lassù, era impagabile. Da un lato si vedeva il mare, agitato da enormi onde, simili a cavalli imbizzarriti; dall’altro, invece, c’erano le minuscole casette degli abitanti di quell’isola fortificata.
Le abitazioni erano affastellate, l’una accanto all’altra, senza un apparente schema logico. Somigliavano a decine di insetti che si arrampicavano, solerti, sul corpo del castello, la cui granitica imponenza sovrastava ogni altra cosa entro le mura.
Beregor non era solo. Si sforzava di tenere dietro a suo padre fin dalla biblioteca, da dove era stato prelevato con i soliti modi bruschi, mentre il genitore se ne stava muto e a testa bassa a camminare a grandi passi chissà verso quale destinazione. Beregor avrebbe preferito di gran lunga rimanere tra le muffe e la polvere della biblioteca a leggere, piuttosto che lasciarsi condurre fin lassù da suo padre. Fu per questo che, quando il capofamiglia si attestò d’improvviso al centro degli spalti, l’apprensione del ragazzo crebbe vertiginosamente. D’altra parte succedeva sempre così quando Brahir, conte di Anthares, mostrava interesse per lui. Il più delle volte per quell’uomo suo figlio era più insignificante e fastidioso di un moscerino ronzante. Potevano passare mesi interi senza che facesse il minimo tentativo di cercarlo e, del resto, le dimensioni del castello aiutavano a nascondersi alla perfezione. Anche perché, tutte le volte che il conte pretendeva l’attenzione del primogenito, il povero Beregor non ne ricavava mai nulla di buono, anzi, ne usciva quasi sempre spezzato, nel corpo e nell’animo.
Proprio in quell’istante, Brahir fece un ampio gesto con le mani. Era il suo modo per indicare l’intenzione di esordire e perciò Beregor si guardò bene dal continuare con le sue elucubrazioni. Non aveva alcuna intenzione di incappare ancora nella sua ira, che l’ultima volta gli aveva procurato due costole incrinate.
«Osserva, figlio. Tutto ciò che vedi un giorno ti apparterrà.» Accompagnò l’affermazione con una smorfia quasi disgustata, prima di proseguire: «Ci troviamo su uno scoglio dimenticato dagli Dei e dagli uomini, in mezzo al mare, sottomessi ai capricci delle maree e delle onde, sferzati da un vento ingrato che secca ogni tipo di coltivazione. Ti sei mai domandato allora come possiamo provvedere alla nostra sussistenza?». A quel punto l’uomo fissò il suo sguardo duro sul figlio, che abbassò il proprio a terra, incapace di sostenerlo.
Cecilia Casavola (proprietario verificato)
Storia avvincente, piena di colpi di scena! Pagina dopo pagina, la lettura di questo libro ti conduce per mano in un’epoca lontana, le cui dinamiche non sono troppo diverse da quelle odierne. Consiglio a tutti di leggerlo!