Siria si era incantata. Guardava, sul bordo del marciapiede, le macchine che passavano. Era rosso per i pedoni, ma un tale con una tuta grigia e un cane al guinzaglio che lo seguiva di malavoglia si era comunque lanciato tra una macchina e un motorino, rischiando di farsi investire. Il suono prolungato di un clacson aveva preceduto solo di un secondo una scarica di parole irripetibili urlate dall’uomo al volante dell’auto, che aveva anche abbassato il finestrino per farsi sentire meglio. L’uomo col cane non ci aveva fatto nemmeno caso e aveva proseguito per la sua strada. Lei intanto restava sul bordo del marciapiede, nonostante avesse fretta di arrivare. La fretta la perseguitava non appena apriva gli occhi la mattina, sempre quindici minuti dopo il suono della sveglia e quindi già in debito su tutto quello che aveva da fare durante la giornata. Si alzava, niente colazione. Quella l‘avrebbe fatta più tardi. Beveva un bicchiere di acqua e limone perché aveva letto da qualche parte che faceva bene farlo a stomaco vuoto. Era più o meno l’unica cosa salutare che faceva. Finalmente scattò il verde. Si svegliò dal suo incanto spinta da tre ragazzini con zaini giganti che la guardarono quasi fosse un ingombro. Attraversò anche lei e varcò la soglia del palazzo dove si trovava il centro di analisi al quale si rivolgeva ormai da anni. Era incinta. Nulla di straordinario a ben pensarci. Ma per lei sì. Questa seconda gravidanza, per certi versi, aveva tutta un’altra valenza rispetto alla prima, era più impegnativa: Siria aveva quasi quarant’anni, una vita ben organizzata e un lavoro stabile. Ma l’aveva voluta davvero tanto e quindi eccola al quarto mese a fare i suoi controlli di routine.
</p>
Matteo non l’aveva ancora chiamata, segno che se l’era legata al dito per la frase che lei gli aveva detto la sera passata nel corso di una stupida discussione, prima di spegnere la luce e addormentarsi. Siria era rimasta lì ancora mezz’ora a rimuginare su quanto era successo, lui aveva spiccato il volo con un sonoro russare circa trenta secondi dopo. Se a vent’anni avesse immaginato quante cose avrebbe rivisto con occhi diversi e reinterpretato vent’anni dopo, non ci avrebbe mai creduto. Una su tutte la sua concezione dell’amore, che con il suo primo fidanzato e grande amore era stato un vivere in un regime totalitario a tutti gli effetti. L’uno il dittatore dell’altra. Senza mezzi termini. La sua giornata allora era sicuramente meno stressante e carica di responsabilità rispetto a oggi. Ma un unico grande pensiero, in quegli anni insieme, l’aveva accompagnata tutti i giorni, dal risveglio fino al momento in cui ritornava a letto la sera: Renato.
Renato era una vecchia amicizia del mare, si conoscevano da quando Siria aveva circa cinque anni e lui sette. Una vita. Compagni di giochi sulla spiaggia per interi pomeriggi fino al tramonto. Ricordava ancora come fosse ieri di quella volta in cui erano insieme un po’ al largo su un piccolissimo canotto giallo che faceva fatica a reggerli entrambi. Fino a quando erano caduti in acqua tra spruzzi e risate. Gli anni passavano e per lei l’interessamento all’altro sesso rappresentò a lungo una cosa marginale. Le scocciava proprio l’idea di avere il fidanzatino e anche alle scuole superiori, dove sicuramente lo sviluppo fisico si accompagnava allo sviluppo della fantasia, non riusciva proprio a capire come le sue compagne di classe potessero vantare fidanzamenti già di anni. Per lei claustrofobia allo stato puro. Poi di colpo… BOOM. Renato. Siria aveva diciannove anni. Si erano rivisti dopo anni e ritrovati grandi, ma sempre intimamente legati da quelle avventure fanciullesche. Di Renato adulto l’aveva affascinata la sua acuta intelligenza. Il suo spirito critico. Era una spanna sopra gli altri quando si parlava di qualunque argomento di interesse generale. Iniziarono a frequentarsi all’università, lui impegnato politicamente, lei affascinata dal suo mondo. Quasi un cliché. Ci vollero ben nove mesi per portarli al primo bacio. Quattordici anni e nove mesi per l’esattezza. Con lui Siria si fidanzò come se non ci fosse un domani. Furono anni magnifici, anni in cui l’amore era talmente palpabile che le faceva male il cuore. Cioè proprio un dolore fisico. Ma un dolore bellissimo… Solo col tempo avrebbe capito che esistono quelle che si definiscono le fasi della vita e che in ogni fase si ama in modo diverso, non cambia l’intensità ma la modalità. Trascorsero nove lunghi anni di complicità, amore, sesso, scenate di gelosia, mangiate insieme, vacanze e mini-vacanze, e poi… tradimento. Ma questa è un’altra storia. Non rinnegava nemmeno un attimo del loro stare insieme. Alla fine di tutto, l’esperienza con Renato le aveva fatto capire in modo tangibile come non avrebbe voluto essere in future relazioni, nella maniera più assoluta. Forse anche per questo Matteo aveva zero punti di contatto con Renato. Nonostante lei fosse sempre la stessa.
Flavia
Flavia restava in ufficio fino a tardi sempre più spesso. Forse perché, si diceva, non c’era nessuno ad aspettarla a casa. Ma anche se ci fosse stato qualcuno, sarebbe stato uguale. Quel qualcuno a dir la verità esisteva in carne e ossa e aveva un nome e un cognome: Giuseppe Buono. Quando Flavia lo aveva conosciuto tre anni prima aveva capito subito che il cognome si addiceva senza dubbio alla persona. Giuseppe trasudava bontà e serenità, il classico pacione. Mai irritato, mai contrariato, mai turbato. Avevano molte cose in comune. L’amore per l’arte e per le mostre di arte moderna in particolare. Le lunghe passeggiate invernali sulla spiaggia. Tutto l’anno, almeno due o tre volte al mese, si ritagliavano del tempo per sedersi in riva al mare e respirare lo iodio. Lui la viveva come terapia per la sua sinusite cronica, lei come riconciliazione con l’anima e il cosmo tutto. Amavano mangiare giapponese e andare al cinema. Poi di colpo, circa otto mesi prima, la loro vita aveva subito una brusca frenata. Giuseppe aveva improvvisamente perso il padre e da allora quella bontà si era trasformata in una pesante tristezza che come un macigno schiacciava lui e chi gli stava intorno. Flavia aveva provato tutto, comprensione e scuotimento. Ma lui pareva non vederla. Le ripeteva che non era vero niente, che era lei ad avere comportamenti strani e distaccati. Flavia nell’ultimo mese era arrivata addirittura a pensare che avesse un’altra. E non aveva ancora la piena certezza che così non fosse. Semplicemente non le andava di indagare. Trovava più comodo trattenersi in ufficio e limitare al minimo il tempo di permanenza in casa.
Aprì il primo cassetto della sua scrivania e sotto al block notes trovò il segnalibro che le aveva regalato Siria lo scorso Natale. Solo quello. Senza un libro. Diceva che quello doveva sceglierlo lei. Che si muovesse ad andare in una libreria e a uscire da quel torpore. Siria, che proprio in quell’occasione le aveva raccontato che pensava di essere incinta. Questa volta, a differenza della prima gravidanza, aveva paura. Ma aveva già negli occhi quella luce benedetta che l’avrebbe accompagnata nei mesi a venire. Erano passati quattro mesi da quell’incontro e si erano anche in quell’occasione ripromesse che di lì a cinque anni si sarebbero ritrovate in aeroporto, con un trolley come bagaglio a mano, in partenza per Fuerteventura. La scoperta della gravidanza non aveva fatto venir meno la promessa. E insieme a loro non sarebbe mai potuta mancare Bea, la sola a poter sopportare due perfette squilibrate.
Fuerteventura era rimasta nei loro sogni da quando avevano trascorso lì una vacanza speciale tredici anni prima, di quelle del tipo che parti così per cambiare aria, e ti ritrovi in un posto dove è l’aria a cambiare te. Siria si era infatuata di un surfista diciottenne bello come il sole. Canadese, si capivano a gesti e risate. Flavia si era fatta guidare alla conquista dell’isola da un attempato cinquantenne di Madrid che parlava perfettamente l’italiano e che l’aveva deliziata con narrazioni sull’arte spagnola del Novecento promettendo un tour altrettanto interessante se lei fosse volata da lui per le successive vacanze di Natale. Lei non ci pensava nemmeno, ma si era goduta comunque la brillante compagnia. Quel viaggio le aveva rigenerate e si erano promesse in aereo di tornare in età adulta. Praticamente quella che stavano vivendo adesso.
Squillò il telefono.
«Che ci fai ancora lì, Flavia?»
«Lavoro. Che domande…»
«Sei diventata amministratore delegato e non mi hanno detto niente?»
«La tua pungente ironia riesce a scuotermi nel profondo, Bea» replicò piccata Flavia.
Subito dopo scoppiarono a ridere insieme.
Bea era di quelle amiche che se non ci fossero bisognerebbe inventarle. Gracilina, bionda come Candy Candy, con un senso dello humour capace di metterti in imbarazzo nelle migliori situazioni. Era, come piaceva definirla sia a Flavia sia a Siria, risolutiva, perché in ogni situazione sapeva districarsi in modo facile e veloce. Era pratica, non si perdeva dietro a chiacchiere e sentimentalismi ed era proprio il loro opposto. Per questo con lei si sentivano complete. Flavia più di Siria.
«Guarda che io alle 20:15 passo a prendere Siria. Lo sai che dice che ha fame e che poi se mangia tardi le viene l’acidità e tutte quelle menate… Ci vediamo direttamente fuori dalla pizzeria, ok?»
«Ok» rispose laconica Flavia.
«Mamma mia. Che entusiasmo!»
«A dopo» riagganciò.
Bea
Bea era appena rientrata a casa. Si sentiva sfatta, quel giorno non era riuscita a concentrarsi nemmeno un minuto sulle cose importanti da fare. Il cellulare fece uno starnuto, la suoneria per i suoi messaggi speciali. Non aveva voglia di leggere. Non in quel momento, perlomeno. Squillò il telefono di casa e dopo essersi sfilata velocemente le scarpe impugnò il cordless: «Pronto, Bea! Finalmente… Ma dov’eri?».
Le telefonate con sua madre iniziavano da anni tutte allo stesso modo, il suo tono di voce era quello di chi ti sta cercando da giorni senza risultati, mentre in realtà era la prima volta che chiamava da una settimana a questa parte.
«Mamma, sono appena rientrata. Ho fatto un po’ di commissioni e ora devo mettere a posto la spesa. Ti chiamo dopo?»
Non aveva voglia di sentire nemmeno lei.
«Ok, ok. Chiama però, volevo solo dirti che settimana prossima ho intenzione di venire da te per qualche giorno. Così ci organizziamo.»
«Ti chiamo dopo cena. Promesso.»
Riagganciò con la consapevolezza che non aveva voglia né di richiamarla, né di farla stare lì da lei. La verità era che le parole di Flavia e Siria della sera precedente le pesavano dentro come un macigno. Sapeva che avevano ragione, sapeva che era almeno un anno che continuava a ripetere che avrebbe troncato la storia con Samuele. Sapeva soprattutto che Samuele non avrebbe mai lasciato sua moglie. Lei, tra un sorso di birra e una bruschetta, aveva esordito dicendo che era decisa, che l’indomani avrebbe chiamato Samuele, l’avrebbe incontrato e gli avrebbe detto che era finita. Siria e Flavia avevano appoggiato la forchetta nel piatto e si erano guardate. Poi avevano guardato lei ed era bastata una sola frase di Siria per farla sprofondare e far crollare la sua determinazione.
«Sono mesi che lo dici. Poi lo chiami, lo incontri e ci vai a letto.»
Arriva un momento in cui all’amicizia perdoni tutto, tranne il fatto di volerne sapere più di te. Perché in certi casi sai che ha troppa ragione e proprio non ce la fai ad ammetterlo. Ci sono dei momenti in cui non vorresti assolutamente sentirti dire quelle cose che puntualmente solo un vero amico ti dice, senza badare a forme, puntando unicamente ai contenuti. Nonostante questo, nessuna delle tre avrebbe più potuto fare a meno delle altre.
Quell’amicizia era una benedizione, fosse anche solo per l’amore investito in anni e anni trascorsi insieme.
Bea quella sera non chiamò Samuele e non rispose al suo messaggio di poche parole: Sono libero. Vengo da te?
Non chiamò sua madre. Spense il telefono. Si fece un toast, si mise comoda sul divano e attaccò la terza stagione di Breaking Bad.
Si sentiva già meglio.
Daniela Carta (proprietario verificato)
Le vere amiche a volte ti salvano una giornata, a volte la vita, spesso diventano la
Tua vera famiglia , ecco il libro è un inno all’amicizia quella vera . Quella che ti salva Spesso anche dall’amore ! Consiglio la lettura perché Avvincente , scorrevole e piacevole.
Simona De Liso (proprietario verificato)
L’amicizia vera è cosa rara..L’amore chi lo sa cosa sia.. Nel libro di Serenella Zaccone ci si può avvicinare ai due sentimenti più importanti nella vita di ognuno di noi..si può riconoscerlo per chi lo vive o lo ha vissuto e farlo conoscere a chi ancora non l’ha incontrato e provato!
Leggerlo è un piacere!
piccolavozzy (proprietario verificato)
L’ho letto tutto di un fiato, le protagoniste dalle prime pagine diventano immediatamente tue amiche. In ognuna di loro ci trovi qualcosa di te, il carattere dei personaggi è descritto in modo netto attraverso le parole e i comportamenti. Da leggere!