intro
Sto vibrando, silenzioso, nel buio della sua tasca destra. So già che non risponderà. Non ora almeno. Per esperienza ci vogliono almeno un paio di chiamate. Se siete fortunati. E non dipende certo dal grado di parentela o dal livello di amicizia del chiamante, né tantomeno dall’importanza della chiamata, presunta o reale che sia. Va proprio così, lui il cellulare non lo sente. Sono sicuro che a volte lo fa apposta. Voglio dire, lo guardo attraverso il vetro del display, solo una sequenza di lettere e numeri ci separa. Lui sbuffa un “che palle” e non risponde. Ma non capita spesso. Vi posso assicurare che la maggior parte delle volte lui proprio non mi sente. Quindi non abbiatecela con lui, o almeno non per questo.
Voi vi starete chiedendo: ma perché non mette la suoneria? No, impossibile, rispondo io. Dice che lo infastidisce, sull’autobus, in mezzo agli altri, da solo. Lo infastidisce. Io certamente non posso sapere se questa chiamata è importante, ma non posso fare altro che vibrare, vorrei aumentare la vibrazione, scuotermi di più, emettere qualche suono, ma non mi è permesso. Non sono uno psicologo, sono solo un telefono cellulare, per carità, di ultima generazione, sono in grado di fare tante cose, per lo più inutili, ma alla fine l’unica cosa per cui sono stato davvero concepito è quella di farvi parlare tra di voi. Cosa che, detto tra noi, nemmeno vi riesce molto bene ultimamente.
Comunque, dicevo, non sono uno psicologo, ma questa paura di riceve telefonate, questo terrore nascosto dietro lo schermo sotto forma di numero telefonico, l’irritazione di essere attraversati dal suono di un cellulare è qualcosa che deve avere radici profonde. Chi ha detto che soltanto il modo in cui vivete le vostre relazioni, di qualunque tipo esse siano, possa essere influenzato da ciò che avete vissuto durante la vostra adolescenza o addirittura durante la vostra infanzia? Anche la relazione che avete con gli oggetti, anche quelli che utilizzate di più, anzi, forse a maggior ragione quelli che utilizzate di più, è il risultato di esperienze lontane.
Chissà, forse è andata davvero così. Basta rispondere alla telefonata sbagliata, basta essere, per puro caso, l’unico presente in casa in un certo momento della giornata, e tutto cambia. Quel suono, nel silenzio di un solitario pomeriggio di luglio, mentre tranquillamente facevate i compiti di inglese (che, badate bene, non era nemmeno necessario fare essendo luglio), vi si incollerà al cervello come il più brutto tormentone estivo. E io di musichette fastidiose me ne intendo. E poi sì, finisci per odiare qualsiasi suoneria, qualsiasi suono che un qualsiasi elettrodomestico decida di emettere per sottolineare la sua presenza. Finisci dunque per ignorare qualsiasi chiamata, solo perché non si sa mai. Perché l’eco di quel giorno può sempre raggiungerti e non smorzarsi mai.
Continua a leggereSogno uno
Ho qualcosa in petto che batte forte e che sembra voglia uscire, e non può essere solo il cuore. Mi sento una felicità addosso che non credo di aver mai provato prima. Il che spiegherebbe questa cosa in petto che non riesco a contenere. Ho come la vista leggermente annebbiata, forse sono le tempie che pulsano e mi strizzano gli occhi contro il naso. Non posso vedermi allo specchio, ma immagino che la vena a sinistra, in alto sulla fronte, sia più evidente del solito.
Non mi pare di sentire alcun suono, non percepisco nemmeno il peso delle chiavi che tengo strette nella mano destra. Tutti i miei sensi sembrano concentrati in un solo punto che faccio decisamente fatica a contenere e gestire. Ho un impellente desiderio di raggiungere casa il più velocemente possibile, non ne conosco il motivo e non capisco nemmeno come sono finito davanti al portone. Non ricordo neppure di essere uscito o cosa stavo facendo un minuto fa. Sto cercando di aprire il portone di casa, ma la fretta non mi sta aiutando, la chiave è minuscola e il portone è gigantesco, di quelli di legno divisi in due metà, altrettanto enormi. Perché i portoni dei palazzi hanno chiavette così piccole, mentre le porte di casa hanno chiavi gigantesche e serrature complicatissime?
Riesco finalmente ad aprire, mi fiondo dentro, corro lungo il corridoio che conduce al cortile interno, ma a metà svolto velocemente a sinistra per cominciare a salire le scale. Lascio l’ingresso spalancato, non ho certo il tempo di chiuderlo con la fretta che ho. Faccio le scale a due a due, con l’ansia che mi rimbalza addosso a ogni gradino e la mente che consuma pensieri come una moneta lanciata in aria, incapace di fermarsi, in una eterna vorticosa sovrapposizione di testa-speranza e croce-definitiva realtà.
Improvvisamente avverto forte, come un pugno allo stomaco, come una sberla di mia madre, la certezza che mia sorella sia finalmente tornata e che una volta aperta la porta del bagno la troverò lì. Perché il bagno poi? Non lo so, ma di solito ci passava tutto il suo tempo libero, questione di abitudine. Sto puntando sulla testa della monetina e quindi sulla speranza.
Accelero, fossi in grado farei gli scalini a tre a tre, ma so che cadrei e non posso perdere tempo. In un amen supero il primo piano, mi lascio alle spalle il secondo e arrivo al terzo. Guardo il cognome sul campanello; lo so, non servirebbe, conosco la porta di casa mia, non è quella di fronte appena finiscono le scale, ma quella subito accanto, prima che la rampa successiva porti più su. Non lo faccio apposta, ma a essere sincero, nonostante la fretta, ho letto tutti i cognomi sopra i campanelli dei due piani precedenti. È più forte di me, lo faccio anche a casa degli altri, sempre che non prenda l’ascensore, è ovvio.
Ho ancora le chiavi in mano, cerco rapidamente quella giusta, che non è corta come quella del portone, o della cantina, ma è più cicciottella e termina ampia, sembra quasi un pettine. La infilo velocemente, cerco di girarla ma non riesco ad aprire. Provo a fare un po’ di forza, muovo con una certa frenesia la chiave nella toppa, nella speranza che qualunque cosa l’abbia incastrata mi faccia il favore di dissolversi improvvisamente. Niente, non riesco a girare la chiave per aprire la porta. Ora mi ricordo! Qualche giorno fa, mio padre ha cambiato la serratura. Purtroppo l’ha montata al contrario. Per aprire devo chiudere e per chiudere devo aprire. E infatti va così, chiudo, cioè apro. Finalmente sento la serratura scattare e spalanco la porta.
Entro in casa, non perdo tempo a cercare nelle stanze o in sala o in cucina, sono sicuro che a casa non c’è nessuno. Se non lei. Mi giro di novanta gradi sulla mia destra e mi precipito in bagno, la porta è chiusa, ma non a chiave, lei non si chiude mai a chiave. Entro, e lei è lì, in piedi dentro la vasca da bagno, nuda, che si sta lavando.
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Ilaria Bono (proprietario verificato)
Ho adorato questo libro sin dalle prime pagine. Una lettura piacevole e scorrevole che tratta di argomenti emotivamente coinvolgenti, ma senza mai appesantirli. Per chi come me non ha vissuto personalmente la vicenda, scoprire tutta la storia è stata un’avventura in cui ho riso e mi sono commossa. Interessante l’idea di suddividere i capitoli in 3 momenti diversi della vita dell’autore. Un grazie speciale a chi me l’ha consigliato!
alessandro.rocca01 (proprietario verificato)
Chiudere un cerchio non è mai facile per nessuno. Soprattutto quando il fardello che ti porti dietro pesa come un macigno. Emanuele, Manu o Lele per gli amici, con questo racconto ha buttato il cuore oltre l’ostacolo e finalmente è riuscito a ricomporre i pezzi di un puzzle lungo oltre vent’anni. Un libro intenso, scritto con dovizia di particolari. Chi conosce Manu come me, ha come attraversato una barriera temporale, ritrovandosi a momenti di vita vissuta che difficilmente si possono dimenticare. Come l’acqua dal Toret è una di quei libri necessari. Che aiutano a riflettere, sulla vita, sulla morte, sugli affetti e sul come tutto ad un certo punto si risolve. Perchè lo abbiamo voluto noi. Leggetelo. Lo consiglio.
ANDREA PRO (proprietario verificato)
Molto intenso e toccante! Lele (così lo chiamiamo noi) ha veramente stupito!!
simone Taralli (proprietario verificato)
Inimmaginato, inatteso, incredibile.
Per chi conosce i luoghi, le persone, i fatti un’overdose di emozioni lunga 48 ore: tanto il tempo per divorarlo.
Per un lettore estraneo struggente ma rassicurante. Il tempo, la vita, il percorso della mente possono far voltare anche le pagine più buie e riaccendere nuova luce.
Complimenti.
EMANUELE MARCELLO (proprietario verificato)
Non so come vi parlerà questo bellissimo romanzo. A ognuno lo farà in modo diverso, come tutti i libri.
Non so perché mi sia piaciuto così tanto, se sia perché conosco tanti dei protagonisti o perché il racconto di una famiglia è il racconto di tutte le famiglie. Ho riso e mi sono commosso, mi sono fermato e ho pensato. Accompagnato da Manu con un bel ritmo attraverso la sua vita, ho pensato alla mia.
Tommaso Di Pillo
Un racconto bellissimo e coinvolgente che si sviluppa in tre momenti storici narrati contemporanente saltando da uno all’altro. C’è la storia di Manu, che si racconta per come è in modo autentico e limpido ma c’è anche tanta Torino di qualche anno fa che riporta tutti noi indietro ai nostri 20 anni o giù di lì. Grazie Manu
Alberto La Ferrara (proprietario verificato)
Non ho mai fatto una recensione a un libro quindi non so bene cosa debba scrivere. Posso solo dire che l’ho “divorato” in poche ore di lettura. Le tre diverse epoche che si alternano durante il racconto aiutano a rimanere incollati alla storia. Davvero molto bello.
Daniele Casetta (proprietario verificato)
Non si finisce mai di conoscere le persone, neanche quando sono i tuoi migliori amici di sempre. Questo libro per me è stato una fonte inesauribile di ricordi sbloccati e di dettagli che si erano persi nel tempo. Manu ci riporta indietro di 30 anni ad avvenimenti che più o meno direttamente hanno segnato una comunità di persone legate alla sua famiglia, ma in realtà ci permette di rileggere la nostra storia personale e le nostre modalità di far fronte alle difficoltà che la vita ci presenta.
Adoro la scelta della struttura con le tre epoche che si alternano in parallelo e lasciano intravedere pian piano una luce sulla vicenda, pur conoscendo gli avvenimenti (alcuni vissuti direttamente in prima persona). Coraggiosa l’idea di eliminare le virgolette nei dialoghi. Un libro che arriva nel profondo con una modalità ironica e leggera, tratto tipico della personalità dell’autore (per chi lo conosce personalmente), che si riflette nello stile narrativo.