Ride, ha la bocca felice e aperta nell’entusiasmo dei suoi pochi anni. Il sole lo acceca spuntando a lame tra le fronde degli alberi. Gli altri bambini sono nascosti. Gli alberi si muovono in gesti e infanzie, solo le voci lo guidano. Lui si guarda ancora attorno e muove la testa veloce mentre il corpo va già in altre direzioni. I piedi scivolano sulle foglie consumate, frenando con i talloni a ogni curva. L’aria è fresca e limpida. Il bambino corre e quando inciampa si rialza.
Sofia sentì dei rumori concitati provenire da fuori. La sveglia sul comodino segnava le dieci passate, ma era un giorno di festa e poteva concedersi di stare ancora un po’ a letto. Si girò dall’altra parte e venne accecata dai taglienti raggi del sole che filtravano dalla persiana socchiusa. Strizzò gli occhi sospirando forte. Restò immobile qualche secondo, ma poi altri suoni al di là della sua stanza la convinsero ad alzarsi. Tanto, non sarebbe più riuscita a riaddormentarsi. Si alzò, aprì la porta e si incamminò con andatura incerta lungo il corridoio. Le camere dei suoi fratelli si aprivano vuote davanti al suo sguardo. I capelli spettinati le si gettavano sul volto impedendole un poco la vista. Una brezza fresca le colpì il viso. Da qualche parte, qualcuno aveva lasciato una finestra aperta. Si guardò attorno. Capì che tutta la sua famiglia stava in giardino, poteva sentirne le voci ovattate provenire oltre la portafinestra spalancata, in cucina. Da lì, proveniva il venticello.
Era una bella giornata, i suoi non avevano resistito ed erano scappati tutti fuori. Si avvicinò senza farsi scorgere, si appoggiò allo stipite e restò a guardarli. I suoi occhi ancora non si erano completamente abituati alla luce. Il cappello a falde larghe copriva il volto di sua madre Elisabetta, ma Sofia poteva immaginarne chiaramente gli occhi, appena socchiusi per via della luce, e la bocca atteggiata al suo sorriso abituale. Suo padre, Tommaso, stava montando le gambe del tavolo da giardino e qualcosa aveva fatto ridere suo fratello Riccardo, tanto da farlo allontanare per riprendere fiato. L’altro fratello se ne stava all’ombra, ma anche da quella distanza Sofia poteva scorgerne lo sguardo benevolo e vagamente canzonatorio tipico di chi è molto intelligente, e Matteo lo era. Provò immediatamente un grande senso di protezione, le nasceva da dentro, dalla pancia, e si propagava in tutto il corpo, ma subito dopo anche un grande senso di lontananza. La colazione che i suoi stavano consumando sull’erba era una lucciola destinata a spegnersi presto.
Sofia distolse lo sguardo e decise di partecipare a quell’allegra riunione. Stava cercando qualcosa da mettersi sulle spalle quando nuovi rumori, questa volta provenienti dall’interno della casa, richiamarono la sua attenzione. Diede un’ultima occhiata fuori e non vide sua nonna. Lasciò la finestra, le risate, il sole, l’allegria per tornare da dove era venuta. Arrivata in fondo al corridoio salì l’unico gradino presente nella casa. Quindi si fermò davanti alla porta socchiusa della camera di Irene. Bussò, sfiorando appena la superficie del legno con le nocche. «Nonna, sei sveglia?» Nulla. Avvicinò l’orecchio e ripeté la domanda, in tono più alto. «Nonna? Nonna, sei sveglia?»
Qualcosa di simile a una risposta la convinse a entrare. La porta cigolò per un breve istante. Nella semioscurità, un pro-fumo di sapone misto a medicine le salì alle narici. In punta di piedi Sofia si avvicinò alla finestra e ne allontanò delicatamente le imposte, il necessario affinché un raggio di luce illuminasse il turbinio di particelle di polvere agitate al suo passaggio. Mentre bloccava le persiane perché non si aprissero ulteriormente, il farfugliare di Irene si fece più comprensibile.«Cos’è questa luce? È notte fonda, maledizione!» imprecò l’anziana donna. «Nonna, è quasi ora di pranzo, guarda che bel sole c’è fuori.» «Ma io stavo sognando, è ancora buio. Guarda, ho la camicia da notte.» «Nonna…» «Zitta!» gridò lei di rimando, con rabbia. Il suo sguardo si fermò duro sul volto della nipote che intanto le si era seduta accanto sul bordo del letto. Gli occhi impenetrabili e la bocca piegata in un ghigno disgustato. Le fossette sulle guance dissonavano sul suo volto acido. Passò qualche secondo e piano piano la rigidità cominciò a lasciare posto allo smarrimento. Irene alzò la mano e la posò sul braccio nudo di Sofia, ma solo dopo aver compiuto il gesto si girò a guardare cosa stava toccando. La riconobbe. Almeno questa volta. «Come sei cresciuta, Sofi» disse con voce materna e un po’ roca.
Christian Bux
“Come un segreto” affronta con eleganza e delicatezza il tema della memoria e della perdita della memoria. Sofia e Tommaso lottano con speranza contro una delle malattie più tragiche del nostro tempo: l’Alzheimer. Sebbene non ci sia cura, il romanzo ci insegna ad accettare le cose che non posso cambiare, pur continuando con coraggio a combattere per la serenità e l’amore. La più grande eredità di una famiglia è la memoria, anche se offuscata. Laura Giagnetich ha scritto un romanzo di estrema delicatezza, che merita di essere letto con attenzione. Non bisogna mai perdere la speranza.