Se c’era riuscito Orfeo che, dopotutto, era solo un mortale, cosa avrebbe impedito a lei, che era la figlia di Ade e Persefone, di riportare in vita Daniel? Sì, alla fine, Euridice non era stata in grado di lasciare gli Inferi, ma solo a causa dell’impazienza del suo sposo che si era voltato a guardarla prima che – come stabilito – fossero entrambi fuori dal Regno dei Morti. Non era certo un problema che l’avrebbe riguardata.
In un batter d’occhio, fu davanti al palazzo di suo padre. Il tempo che separò la sua meta dalla decisione di iniziare quel viaggio fu lo stesso di un respiro. Non aveva bisogno di oltrepassare lo Stige, facendosi traghettare da Caronte, o seminare le tre teste di Cerbero, né di passare per le prigioni di Issione e Tantalo o scendere i mille gradini che conducevano al centro del mondo oscuro; a lei era consentito materializzarsi in qualsiasi punto dell’Ade senza problemi. L’unico a poter fare altrettanto e da cui quel privilegio le discendeva era il suo divino genitore.
Superò i giardini e i boschetti infernali in un turbinio di cipressi e melograni, narcisi ed edera e oltrepassò l’imponente porta argentata della reggia.
Fu subito circondata da una decina di servitori che s’inchinarono per porgerle i loro rispetti, chiedendole come potessero servirla. Li zittì con un gesto imperioso della mano e passò loro in mezzo, camminando a passi veloci verso lo scalone di marmo nero che l’avrebbe condotta alla sala del trono.
Una voce interruppe la sua ascesa. «Bentornata, mia signora».
Si voltò con un sorriso inatteso. L’avrebbe riconosciuta fra milioni di altre al mondo. «Alea!» esclamò, andandole incontro con le braccia tese. La donna le si inchinò davanti, ma Kore l’abbracciò con affetto, dimenticando per un istante tutto il resto.
Era stata la sua nutrice da piccola, ma continuava a essere la sua più cara ancella, il solido punto di riferimento di tutta la sua intera vita. Aveva un’espressione austera, accentuata dal velo scuro che le incorniciava il viso diafano, e una corporatura robusta che non la faceva certo passare inosservata fra tutte quelle anime evanescenti.
«Permettetemi di accompagnarvi nelle vostre stanze» disse con compostezza.
«Non ora, cara Alea, devo vedere mio padre al più presto». Lasciò le sue mani e riprese il cammino impaziente.
La nutrice la seguì in silenzio, con passo altrettanto veloce, su per lo scalone e dentro l’oscura sala. Alea si fermò appena varcata la soglia, in fondo alla stanza, mentre Kore avanzò ancora. Dal lato opposto, seduto su un trono di ebano e circondato da alcuni attendenti che gli prospettavano questioni inerenti il regno, vide suo padre.
«Vi porgo i miei omaggi, Signore degli Inferi» esordì a voce alta, chinando profondamente il capo, le mani incrociate sul ventre.
Nessuno si era accorto del suo ingresso prima di quelle parole. I servitori si bloccarono e le fecero un inchino schierandosi ai lati del trono, mentre il padre si alzò in piedi repentinamente. Fece segno di lasciarli soli e quelli obbedirono. Soltanto la nutrice rimase nella sala, mentre le porte li chiudevano all’interno con un fastidioso stridio.
«Makaria, figlia mia» andò ad abbracciarla. Era sorpreso di vederla lì.
«Padre,» iniziò senza perder tempo e svincolandosi dalla stretta «voglio che Daniel torni in vita».
Sul volto di Ade apparve un’espressione basita. «Non capisco… cosa intendi?» le domandò.
Era sempre così. Essere stato relegato negli Inferi lo escludeva da ciò che accadeva nel Regno dei Vivi. Raramente era messo a conoscenza di ciò che succedeva al di fuori del suo dominio.
«Daniel è morto. È scomparso in mare e credo sia opera di Ares». Non c’era nessuna emozione nella sua voce, non un cenno di lacrime nei suoi occhi.
Prima che il padre potesse dire qualsiasi cosa, la porta laterale ai troni si aprì e, ancora vestita di un candido abito estivo, entrò Persefone.
«Madre! Cosa ci fate qui?» domandò stupita.
«Sono venuta appena ho saputo… mi dispiace, Kore» disse stringendola fra le sue braccia.
In quell’abbraccio, per la prima volta in vita sua, si rese conto di come la madre l’avesse sempre trattata come una fanciulla. Anche l’ostinazione a chiamarla con quel vezzeggiativo lo dimostrava. Improvvisamente si sentì soffocare e l’allontanò da sé con decisione.
«Non c’è motivo di dispiacersi: voi riportere in vita Daniel e io sistemerò le cose con Ares una volta per tutte».
I genitori la guardarono attoniti, si scambiarono un’occhiata preoccupata e tornarono a lei. Non sembrava stesse soffrendo come si sarebbero aspettati da un evento simile, il suo sguardo era impassibile e dell’umanità che aveva sempre illuminato i suoi occhi non c’era traccia.
«Lo sai che non possiamo più disporre delle anime dei morti a nostro piacimento» obiettò la madre che, nel frattempo, aveva mutato i suoi abiti in quelli adatti alla regina dell’Oltretomba.
«Suvvia! Cosa potrebbe mai succedere?» li investì con una risata amara «E poi si tratterebbe solo di rimettere a posto le cose: non era ancora giunta la sua ora! L’ho visto nel filo delle Moire!». Ricordò quando, qualche mese prima, si era recata dalle tre sorelle che tessevano i fili delle vite umane per conoscere quale sarebbe stato il destino di Daniel e, in quell’occasione, era venuta a sapere che il ragazzo avrebbe avuto una lunga e serena vita, morendo in età avanzata, circondato dalle persone amate.
«Makaria,» la bloccò il padre «lui non è qui».
Le mancò il fiato per un secondo. «Cosa vuol dire che non è qua?» sibilò.
«L’anima di Daniel non è negli Inferi. Lo avrei saputo altrimenti». Ade veniva messo al corrente di tutti quelli che raggiungevano il suo regno e, inoltre, aveva fatto stilare un preciso elenco delle anime che lo interessavano maggiormente, per evitare che potessero sfuggire alla sua conoscenza una volta raggiunto il Regno dei Morti. Visto l’interesse di sua figlia per quell’essere umano, Daniel era stato recentemente inserito in quella lista particolare, ma nessun avviso che facesse pensare che l’anima del giovane avesse superato lo Stige gli era stato recapitato.
Kore sbiancò e le iniziarono a tremare le mani. Aveva dato tutto così per scontato che non aveva preso neanche in considerazione una possibilità diversa dai suoi desideri.
«Com’è possibile?» bisbigliò, avvertendo il tremore diffondersi in tutto il corpo. I suoi occhi s’incendiarono di rabbia e i genitori capirono cosa l’avesse sostenuta fino a quel momento. La madre le posò una mano sul braccio e lei trasalì.
«Hai detto che è morto in mare. Sai che chi non ha ricevuto una sepoltura non può raggiungere il Regno dei Morti. Mi dispiace, figlia, ma non sarà possibile riportarlo in vita» concluse Ade con la voce incrinata dall’amarezza.
«No! Deve esserci un modo!» gridò Kore «Non mi arrenderò tanto facilmente!» si voltò dando loro le spalle e lasciò la stanza in fretta.
Persefone tentò di trattenerla e di seguirla, ma Ade la fermò. Era meglio lasciarla sola. Kore avrebbe dovuto superare quella perdita in una maniera o nell’altra. Poteva capire l’apprensione della moglie poiché anche il suo cuore era spezzato nel vedere la loro unica figlia soffrire, ancor di più perché impossibilitati ad aiutarla, ma non c’era nulla che potessero fare in quel momento.
Ade decise che avrebbe commissionato un’indagine su tutte le anime accolte negli Inferi nell’ultimo periodo, per essere sicuro che quella di Daniel non fosse passata inosservata, e disse alla moglie di tornare dalla madre sulla Terra. L’estate non poteva finire tanto presto.
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