Gli unici ricordi che ho sui miei primissimi passi sono molto vaghi e per lo più riguardano delle emozioni.
La scena è completamente buia.
Il mio lento battito scandisce ogni attimo.
Sento in lontananza un pianto lancinante. È veramente un grido acuto e continuo.
Mentre, piano piano, la luce divampa dinanzi a me, il lamento si dirada.
Intravedo contorni, ombre.
Alla fine, la vista è limpida e percepisco tranquillità.
Non sento più piangere.
Quello che posso effettivamente considerare come il mio primo vero ricordo credo risalga a tempo dopo la nascita…
Ogni sensazione di quel giorno è chiara nella mente.
Tutto iniziò con la solita mano calda e soffice che mi teneva stretto a sé giorno dopo giorno ormai da chissà quanto.
Dal nulla, mi appoggiò con delicatezza su qualche superficie ignota, abbandonandomi per sempre. Per la prima volta mi sentii spaesato e fuori luogo.
Cosa mi sta capitando? Perché vengo abbandonato dalla mano che mi ha generato?
L’ansia prese il sopravvento. Ma, a mano a mano che i minuti scorrevano, il cuore si allietava. D’altronde piombai di colpo in un posto caldo e accogliente quasi come la vecchia amica mano. Quasi da subito ebbi il sospetto che avrei passato diverso tempo in quel luogo misterioso.
Come prima cosa tentai di carpire qualche informazione sulla mia nuova casa. Usai l’unico strumento a mia disposizione in quel momento: l’udito. I suoni che provenivano dall’esterno erano ovattati ma distinguibili: passi svelti e schiamazzi di bambini, ruggiti penetranti di macchine in movimento, dolci canti di uccelli danzanti.
Ma dove mi trovo?
È difficile comprendere quando i sensi a disposizione sono limitati. Però di una cosa ero certo… allo stesso tempo mi sentivo immerso nel tutto e stranamente lontano. Ciò che accadeva al di fuori era fottutamente vivido e chiaro ma io non c’ero, non ero dentro il mondo. Un po’ come se fossi dinanzi a una porta chiusa che dà alla vita. Posso solo ascoltare.
Ho il ricordo limpido delle voci che, di tanto in tanto, si facevano più nitide e un lento cigolio annunciava l’apertura della piccola porta dietro la quale ero rinchiuso. Una volta udii una voce giovanile dire: «Mamma, possiamo guardare lì? Magari c’è qualcosa che mi piace».
La mamma, con fare dolce, rispose: «Certo, amore, guarda pure, se trovi qualcosa che ti convince mi prometti che lo leggi questa volta?».
Il bimbo era entusiasta, aprì la porta e iniziò a rovistare. Fece un grosso trambusto, mi sentii sballottolare a destra e a sinistra. Caddi più volte rovinosamente contro gli angoli mentre i lamenti dei miei compagni per quel maldestro trattamento si facevano acuti. Poi tutto tacque. Il bambino non aveva trovato nulla, lasciò una gran confusione dentro.
Riconobbi il brusio di alcuni superstiti pervasi di dolore.
Ne potrei raccontare a centinaia di episodi simili ma non mi sembra opportuno dilungarmi, del resto rimasi talmente tanto tempo chiuso lì dentro che per la maggior parte i ricordi sono annebbiati e mischiati ad altri.
Be’, sicuramente ce n’è un ultimo che vale la pena condi- videre, vale a dire il motivo stesso che giustifica questo mio monologo.
Una sera avvenne l’inaspettato.
Ormai ero convinto di passare la vita in quell’angolo di mon- do dimenticato, quando, un’arietta pungente e il solito cigolio annunciarono l’arrivo di un nuovo visitatore. Già da qualche minuto avevo avvertito giovani voci proprio dinanzi alla mia posizione ma non mi sarei mai aspettato che qualcuno si sa- rebbe potuto interessare a noi, soprattutto di sera. La porta aperta lasciò entrare uno sciame di voci eccitate e tante mani presero a toccarci e spulciarci indisturbate. Ricordo che pas- sai di mano in mano. Dopo tanto tempo, riebbi la possibilità di vedere! La notte e il lungo periodo completamente al buio non mi aiutarono ad allietare questo atteso sogno, infatti, riuscii a intravedere solo sfocate ombre. Ma mi bastarono per sentirmi sereno. Qualcuno si era accorto di me. Il tocco dolce delle dita mi solleticava, sentivo i polpastrelli che sfogliavano delicatamente le pagine mentre il palmo accarezzava il dorso. Sprofondai nell’illusione di giungere a una, cosiddetta, nuova vita. Ero pervaso di eccitazione.
Ricaddi nell’oscurità.
Di colpo venni rigettato nella confusione e la finestra fu chiusa bruscamente. Non ne fui felice, anzi sprofondai in un immediato sentimento di sconforto. Divenne tutto più freddo e mi sentii ancora più solo.
Mentre ero in preda alla tristezza, una vocina proveniente dall’esterno solleticò le mie orecchie. Era una voce femminile…
«Hai detto che c’è un libro con la copertina vuota? Senza autore? Wow! Che figata. Lo voglio vedere.»
I passi della combriccola si fecero forti e, di nuovo, la porta si aprì.
«Io non vedo nessun libro verde» disse la giovane, rovistando con frenesia. «Sei certo di averlo sfogliato? Non è che te lo sei sognato?»
Impiegò diversi minuti nella ricerca finché, d’un tratto, mi sentii sollevare per aria. Dopo tempo immemore qualcuno mi portò fuori dalla mia prigione. Fu una liberazione totale. Ogni mio foglio si sentiva leggero, ero colmo di gioia. Provavo tutta quest’intensità di emozioni mentre la mia nuova amica era intenta a sfogliarmi come gli altri prima di lei. Sentii commentare: «Avevi ragione. Che fatto curioso… un libro senza autore… un libro anonimo. Non c’è neanche una firma a mano, niente di niente».
Percepivo tutta la curiosità divampare dai suoi occhi, era veramente interessata! Di colpo mi richiuse e mi gettò nell’oscurità. Nel primo istante provai terrore, poi mi accorsi di essere in movimento. Ero finito nella sua accogliente borsetta.
Un nuovo viaggio era cominciato. Una vita completamente inaspettata mi attendeva.
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