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Conosco anche l’estate

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In pochi giorni, le vite così diverse di quattro personaggi si incrociano in modo indissolubile. Arturo è un medico geniale, trasferitosi a Cagliari per seguire un progetto di ricerca top secret. Luigi abita a Boston, è un rinomato professore di Harvard che rifiuta di curarsi per una malattia che da poco ha scoperto di avere. Lisa, spietata manager di un’azienda farmaceutica, sembra essere disposta a tutto per poter raggiungere i propri obiettivi. Marco è un famoso compositore alla ricerca di un’ispirazione che possa tirarlo fuori dal blocco creativo, in cui è ricaduto da mesi. Ignari di ciò che sta per succedere, le loro esistenze si intrecciano, portando disgrazie e al contempo preziose scoperte, altrimenti celate se il destino non li avesse fatti incontrare, nel bene e nel male.

Questo è un romanzo di fantasia.

Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi, organizzazioni ed episodi narrati derivano tutti dall’immaginazione dell’autore e non sono pertanto da considerarsi reali.

Qualsivoglia somiglianza a fatti o persone, viventi o defunte, reali o immaginarie è del tutto casuale.

Il contesto storico e la disamina delle condizioni cliniche e psicologiche dei personaggi fittizi è veritiera.

Capitolo 1

Luigi

Cambridge, Boston. 22 ottobre 2019, ore 23:30

Da mesi non riuscivo più ad addormentarmi. Ogni notte misuravo coi miei passi il sentiero pedonale lungo il fiume Charles sino a tarda ora. Ero felice di stancarmi. Annusavo l’aria pungente dell’autunno e mi distraevo ammirando le luci dello skyline di Boston al di là del fiume. La città sembrava vestita di paillette come fosse un’attrice, vanitosa per la sua bellezza, quasi volesse diventare, a ogni imbrunire, la protagonista della première di un proprio film. Era orgogliosa di essere considerata la culla della storia americana. Mi avvicinavo a lei percorrendo il ponte che collega la cittadina di Cambridge al centro città, sulla riva meridionale del fiume. Il serpente d’acqua mi era sempre sembrato così vasto quando lo osservavo in prospettiva alle piccole abitazioni rosse in lontananza, che non si facevano schiacciare dai grattacieli del quartiere finanziario e di Copley Square. Non era così nelle altre metropoli americane che avevo visitato. Qui, l’antico e il moderno facevano l’amore dolcemente e mi riappacificavano quel poco che mi bastava a tirare avanti.

Uscivo dal mio minuscolo appartamento per dimenticare di avere paura, per non sentirmi il solo sulla Terra perennemente schiacciato dall’angoscia di vivere; o forse perché mi stavo convincendo che ogni uomo nasconde il timore per qualcosa e ha paura di essere sminuito per il semplice fatto che possa in qualche modo trapelare il suo sentire, essere considerato strano, vedersi isolato dagli altri come se la depressione fosse un morbo contagioso. La percepivo bruciare come il marchio di ignominia sulla pelle delle streghe.

Ogni stramaledetta notte camminavo percorrendo gli stessi passi della sera precedente e di quella prima, così all’indietro sino a una prima volta, la cui collocazione temporale era ormai nell’oblio di ricordi ai quali non volevo più pensare. Volevo essere certo di stare al sicuro anche fuori dal mio rifugio, con la tranquillità di poter chiudere la porta alle mie spalle a un’ora prestabilita, mai troppo lontana da quella che era diventata la mia zona di comfort. Paradossalmente, era come se fossi un vecchio cellulare con la batteria completamente carica che si esauriva senza che lo si usasse e precipitava sino a spegnersi in brevissimo tempo. Il mio appartamento era il caricabatterie. Vecchio come il suo device abbinato, non più in commercio da secoli.

Abitavo in un monolocale al primo piano di un’antica casa vittoriana, come se ne vedono tante nei sobborghi signorili della capitale del Massachusetts. L’unico pregio del mio nido era la bow window che affacciava sulla via principale, una strada poco frequentata ornata da spettacolari piante di magnolia. Potrei dire che avessi destinato un quarto della superficie calpestabile a vantaggio di quella finestra. Vi avevo posizionato un piccolo scrittoio levando il tipico divanetto angolare che faceva dare le spalle ai vetri. Quella finestra era il mio personale Monet e la vista mozzafiato che mi ero ritagliato, quando a marzo il rosa sfumato dei fiori diventava protagonista, riusciva a ridipingere con colori pastello qualsiasi cupo acquerello della mia mente.

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Il letto a scomparsa era un finto armadio che arredava il salottino. Era un’ottima soluzione per guadagnare spazio, ma lo ritenevo un escamotage ancor più straordinario perché mi garantiva di non avere sotto gli occhi tutto il giorno il mio letto, il peggior strumento di tortura. Ogni sera aprivo le ante finte e lo trascinavo a terra con una catena nell’insulso rito di prepararmi a dormire, ma non vedevo l’ora arrivassero le prime luci dell’alba per richiuderlo insieme a ciò che rappresentava. Su un letto ci fai l’amore, ci leggi, ci dormi, ci chiacchieri, ti perdi nella musica. Sul mio, nella migliore delle ipotesi, potevo guardarci un bel film.

Il cucinotto era a vista e tenerlo perfettamente in ordine mi occupava almeno un’ora di ogni giornata. Amavo l’atto di prepararmi la cena ascoltando audioguide di cucina a tutto volume. Piccole soddisfazioni e un briciolo di felicità che disperatamente cercavo, protetto fra quelle mura. Dopo cena riassettavo casa e preparavo il letto, stiravo tutte le pieghe delle lenzuola, sbattevo i cuscini per renderli più vaporosi e accoglienti possibile. Subito dopo indossavo le scarpe come fossero una dose di oppiaceo. Il rito dell’uscita notturna era diventato una necessità. Diversamente, se avessi voluto preservare per un po’ più di tempo la batteria esausta che mi alimentava, avrei dovuto premere il tasto “off”. Spegnermi. Tanto valeva tentare di rigenerarmi alla luce della luna, disabitare i miei pensieri da loop malati per lasciarli vagare posseduti dall’immaginazione. Uscire a quell’ora, tranquillo di ritrovare al ritorno la mia casetta perfettamente ordinata, era di certo ristoratore.

Le prime ore della notte sembravano abitate prevalentemente da miei simili. Tante minuscole blatte delle quali si ignora l’esistenza quando splende alto il sole. Sgattaiolavo fuori dal mio nascondiglio alla ricerca di aria pura, della penombra che nasconde ogni difetto, in particolare quelli più noti a noi stessi e, se si è come me, profondamente destabilizzanti.

Un giovane padre spingeva il passeggino per far addormentare suo figlio. Lo incrociavo ogni sera e avevo imparato a riconoscerlo. Il debito di sonno e riposo non poteva non notarsi. Sicuramente aveva due, o forse tre lavori che gli servivano a malapena a pagare le spese per quella famiglia che non si sarebbe immaginato di creare, se non fosse comparso quel dono inatteso. Di certo, ciò che gravava sulle sue spalle sino a renderle curve e gli assorbiva lo spazio per ogni altro buon pensiero, era la paura di non riuscire ad arrivare a fine mese. I debiti, l’affitto, i costosi pannolini anallergici per il figlio, le visite mediche per la mastite della compagna che aveva smesso troppo presto di allattare contro il suo parere, le bollette sempre più care e le rate dell’auto usata che aveva dovuto acquistare per lavorare alimentavano nella sua testa l’incubo del precipizio. Lo vedevo così e forse, un giorno, mi avrebbe raccontato la sua vita proprio come la stavo immaginando. Ovviamente avrei prima dovuto prendere coraggio e salutarlo. Un cenno con il capo per qualche sera, poi un sorriso, poi attraversare la strada e rompere il ghiaccio parlando del clima impazzito o dei nuovi acquisti dei Red Sox, e forse dopo un po’ avrei anche potuto spingere il passeggino di suo figlio e chiacchierare con lui come vecchi amici.

A quell’ora, sempre puntuale, una signora sulla settantina spazzolava il marciapiede davanti al suo negozio. Non avevo mai notato nessuno, oltre a lei, che le desse una mano. Non un marito, un figlio o una nipote. Eppure portava la fede al collo, appesa a una collana démodé. Per la foga che ci metteva, immaginavo fosse alla ricerca di qualche cliente in più, attratto perlomeno dall’impeccabile pulizia di quel francobollo di strada davanti alla vetrina anni Trenta a cui tanto teneva. Le passavo accanto e la sentivo borbottare. Forse si lamentava con se stessa per non aver ascoltato il marito, che prima di morire le aveva consigliato di vendere quell’attività. Ora non avrebbe più avuto senso farlo. Quel negozio di bigiotteria d’epoca, che tanto l’aveva resa orgogliosa in passato, ormai le toglieva le energie residue, senza darle quel poco di denaro in più per vivere una vecchiaia, anche se di poco, migliore. Aver battuto un solo scontrino nell’arco di una giornata per un paio di orecchini vintage da poche decine di dollari era una disgrazia ancor più grande del mal di schiena contro cui lottava da anni. Eppure, non poteva non sfogare tutta la sua rabbia sbattendo e strusciando la scopa sulle piastrelle del marciapiede pubblico. Era di gran lunga più terribile la paura che di lì a pochi anni non avrebbe più potuto farcela, piuttosto che sopportare la sciatalgia ogni maledetto mattino.

13 February 2024

Video promo

08 February 2024

Intervista

19 January 2024

Evento 19 gennaio

2024-01-09

Aggiornamento

Buongiorno a tutti, ringrazio di cuore chi ha già aderito alla campagna. Ne approfitto per raccontarvi un po’ del mio romanzo. È un giallo di 500 pagine che inizia immergendo il lettore fra le atmosfere romantiche delle strade di Boston, la Parigi americana. Luigi, professore universitario di lettere all’università di Harvard, viene aggredito senza alcun apparente motivo da uno sconosciuto che lo colpisce alla testa con una mazza e lo lancia svenuto nel fiume. Nello stesso istante, in italia, inizia la fuga di Arturo, giovane ricercatore di una potentissima azienda farmaceutica: ha commesso un furto di svariati milioni di euro e fugge da una squadra di mercenari assoldata dalla spietata manager che dirige il progetto segreto a cui stava lavorando. Le vite di Luigi, Arturo, Lisa si legheranno a doppio filo e Marco, un musicista e compositore di successo si troverà invischiato senza che lo volesse in una storia di spionaggio industriale internazionale, per amore. L’amore salverà ciascuno di loro? Di certo salverà l’intera umanità per loro merito poiché anche una solo goccia d’amore è sufficiente per salvare il mondo. Un’inezia nell’immensità di sentimenti che ciascuno di noi può scegliere di provare, consapevolmente o meno, ma così dirompente da sovrastare anche la morte.

Commenti

  1. Elena Atzei

    (proprietario verificato)

    Il libro di Mario Leoni è stata una piacevole scoperta, l’autore rivela e dona al suo pubblico di lettori un talento nel raccontare e raccontarsi attraverso il suo primo scritto. E’ una storia interessante, ricca di colpi di scena e di intrecci tra i pochi, giusti personaggi che si raccontano nel corso della vicenda e che interagiscono tra loro in legami lavorativi, di amicizia, di amore e di sentimenti a metà tra tutto questo. Ogni capitolo è dedicato in modo alternato ad uno dei protagonisti che parla in prima persona raccontando quanto accade attraverso i suoi occhi e le sue emozioni e per circa la metà del libro non si percepiscono i reali collegamenti tra tutti gli attori coinvolti.
    Lo stile di scrittura di Mario Leoni è di facile lettura nonostante il linguaggio non risulti mai banale ma ricco di descrizioni permeate di parallelismi, metafore e il sentire profondo di chi sta raccontando in quel frangente e proprio questo consentire al lettore di entrare nella mente e soprattutto nel cuore dei personaggi invoglia alla prosecuzione della lettura. La sua capacità descrittiva consente inoltre di figurarsi le scene quasi come se fossero proiettate e di uscire quindi dallo spazio tempo reale per entrare in quello narrativo.
    Il romanzo garantisce “un’abbuffata di emozioni” (citazione presa dal libro stesso) dove il lettore si immerge in quello che viene raccontato e diventa esso stesso protagonista insieme all’autore e ai vari protagonisti per tutta la back line emotiva e sentimentale che consente una forte empatia con i personaggi e il modo di descrivere una gamma infinita e sfumata di sentimenti ed emozioni le rende palpabili ed estremamente vere.
    Le quasi 500 pagine della storia raccontano una vicenda che si svolge fondamentalmente in soli 4 giorni con qualche flashback sul passato per chiarire la vicenda ma il racconto non risulta in nessuna fase stucchevole, prolisso, noioso o lento ma al contrario avvincente e ben strutturato e nonostante l’alternarsi di narratori della vicenda e l’espressione di ognuno con il proprio pensiero, linguaggio e caratteristiche tipiche arriva lineare al lettore che ha la possibilità di vivere la stessa storia da più angolazioni tenendo sempre ben presente lo svolgersi degli avvenimenti.
    E’ un libro che, pur non essendo autobiografico, ci racconta anche qualcosa dell’autore e soprattutto delle sue conoscenze e competenze in ogni ambito di quelli trattati dalla medicina alla musica, al suo essere parte di tutti i personaggi della vicenda con il suo modo di essere, di vivere e di interpretare la vita, con i suoi valori e le sue idee e nonostante la trama sia frutto della sua fantasia si tratta di fatti verosimili.

  2. L’ amore è salvezza, sacrificio, perdizione: un’ estate conosciuta e sondata, vagliata ed esplorata; un vento gelido di disperazione e dolore, un cuore abitato come casa che lentamente sfuma in tracce vivibili ed irrevocabili – carezze d’addio, rimpianti e imperituro amore. Amare due persone contemporaneamente per ciò che unisce, che al contempo divide abbracciandone l’ ignoto, il mistero, l’ entusiasmo del tempo che separa e avvolge. Un’ amore che lentamente si inebria in vortici di appartenenza fra morte e non-vita, un tramonto in una realtà che – lentamente – si avvicina, perdendosi oltre un confine che divide la terra e il cielo.
    Questa è la storia di Luigi, Arturo, Lisa e Marco: quattro vite che si amalgamano – fondendosi – in pochi, indissolubili giorni. Quattro anime in frammenti di esistenza dalla linearità contraddittoria, parossistica, semplicemente catartica.
    Luigi che desidera la fuga da Boston – la Parigi americana – luogo di torture e dolore per – fondamentalmente – dormire in eterno. Una cura con farmaci antiretrovirali, una salita vorticosa con un panorama – purtroppo – tutt’altro che mozzafiato. Un uomo che si nutre dell’ immenso, percependo solamente la finitezza del proprio stesso essere, un colpo alla nuca ricevuto con un oggetto pesante da parte di uno sconosciuto durante una camminata per una Boston colma d’evocazione in un lento precipitare nel fiume Charles – un abbraccio da cui lasciarsi avviluppare, in cui autenticamente perdersi. Luigi che è segretamente innamorato – pur tacendo e rinnegando – di Arturo, conosciuto in un orfanotrofio in Messico, ad Ojinaga; Arturo ivi abbandonato all’eta di due anni fra ribrezzo, odio e non perdono per genitori biologici in un patto di sangue con Luigi: addii e nuovi rinnovati incontri di condivisione e affinità, superamento di litigi, conciliazione di disuguaglianze. L’ oblio di uno sguardo sulla cenere dell’addio, una fuga quella di Arturo – dopo aver rubati dati sensibili – da una squadra di mercenari assoldata dalla manager Lisa, direttrice di un progetto segreto sul vaccino contro il virus dell’Hiv. Lisa controversa e bellissima travolta dall’ abominio della vita, una vita da isolata per la propria intelligenza in una risoluzione metodica di problemi e congetture da vagliare ed esplorare. Una quasi quarantenne avvolta nel mistero fra ricordi offuscati e vacui di un passato che lacera e sconvolge. Tentativi di elaborazione mai veramente sepolti, una risata viziosa in un suono velenoso – disagio già vissuto per una vita malvagia che segna e insegna. Infine Marco, una verità in cui assorbire emozioni per tradurle in musica con l’abitudine di guardare l’insieme senza prestare attenzione ai particolari. Vincitore del premio come compositore della miglior colonna sonora al festival del cinema di Venezia con una difficoltà a gestire la propria realtà, un successo effimero destinato a tramutarsi in declino rovinoso e manifesto. Un pessimismo cosmico leopardiano che contorce le viscere, un’ intuizione da ricercare grazie al maestro d’armonia Enrico. Un uomo senza misteri, libero, genuino destinato ad incontrare – in un improvviso colpo di fulmine – Arturo.
    Quattro giorni – per Luigi, Arturo, Lisa e Marco – per conoscersi e lambirsi seguendo un corso degli eventi infausto e traboccante di mestizia, un susseguirsi di sensazioni che collidono e si intrecciano in uno spaccato fra caducità e fuggevolezza, fugacità e strenua transitorietà.
    “Conosco anche l’estate” di Mario Leoni: un climax ascendente di tensione e colpi di scena, suspense e mistero, fughe e ineffabili cadute. Con una prosa estremamente fluida e poetica, un’ avventura in un viaggio sofferto e doloroso, uno splendido giallo di spionaggio industriale internazionale in cui l’ amore potrebbe e dovrebbe salvare ciascuno di loro – ruolo salvifico in viaggi onirici e metafisici fra doppiezza e controversa disgrazia.

  3. (proprietario verificato)

    Si rimane coinvolti inesorabilmente nella lettura, la necessità di arrivare in fondo alle pagine e al cuore dei personaggi, il giallo come pretesto per trattare i sentimenti, la fame insaziabile di vita che nasce dall’abbandono, la presenza costante della morte che invita a spingere più forte sull’acceleratore dell’ amore. Anche il cuore più duro si scioglie in pianto nel finale.

  4. (proprietario verificato)

    Non c’è futuro in questo libro. Il titolo stesso stronca ogni desiderio: “Conosco anche l’estate”. La si conosce già, non è non una novità. Il cammino intrapreso per la conoscenza è fermo ad uno stop. Così i quattro personaggi, le cui vite sono intrecciate attraverso un legame strettissimo, non hanno margini di manovra, non hanno la possibilità di riscatto, sono ingessati nel loro presente e sono cristallizzati nel tempo. Come l’Erostrato di sartriana memoria non va oltre le sue intenzioni: chiuso nel bagno, vive la sua rimanente esistenza di condannato a morte e si consegna alla polizia.

    Luigi apre e chiude il romanzo. In mezzo 23 capitoli, scritti in prima persona da ciascuno dei quattro personaggi. E non è una sequenza lineare: si parte da un punto e si torna indietro, si mette un altro punto e di nuovo ancora uno sforzo di memoria per riallacciare i nodi della trama che altrimenti sarebbe monca e senza una logica. Non un passo in avanti, sempre indietro, un guardare al passato, un disperato tentativo per giustificare il presente senza però avere un appiglio.

    Il romanzo è denso della parola “desideravo”:

    Desideravo l’annientamento per liberarmi da ciò che non volevo, in primo luogo da me stesso, da quell’uomo che vedevo sbagliato, ingratificabile, incrostato dall’eterna e umana abitudine di amare alla follia ciò che non si possiede e scansare come superfluo quanto di bello ci circonda e possiamo toccare con le nostre nude mani.
    C’è un determinismo storico, non un pessimismo, quella consapevolezza che il mondo è così, si è prossimi alla morte. D’altronde, sarà anche meravigliosa la sequenza di dna, ma determina, appunto, chi siamo. Non c’è libertà, non c’è la possibilità di riscatto. C’è quella certezza del presente e solo quella si ha. I personaggi non sono amalgamati, sono grumosi, vorrebbero risolvere i problemi irrisolti, in-soluti, non sciolti nel flusso della loro esistenza. C’è il delitto immotivato come ci racconta Gide nelle sue opere.

    Un’infinita tristezza permea tutte le pagine del romanzo e non lascia respiro, perché ti trascina, ti porta al centro del vortice per essere risucchiati in questa melassa densa dello stream of consciousness di ciascun personaggio. Non c’è la speranza cristiana dostoevskiana, il cammino di risalita verso il perdono e la pace interiore. C’è solo il baratro, le acque gelide del fiume Charles, il marmo e i cristalli dei palazzi in cui vivono queste persone.

    C’è una tensione primordiale che non permette di fuggire: Boston contro la Lousiana, Milano contro la Sardegna. Due pesi contrapposti, una forza centripeta che potrebbe allontanare chiunque ma che rimangono fissi in questo gioco forzato.

    Per fortuna che ci sono tanti personaggi minori, quelli che pur accennati e poco caratterizzati hanno un ruolo determinante, hanno un animo positivo, sono brillanti e questi sì, che vedono il futuro. Fanno da contraltare a Luigi, ad Arturo, a Marco e a Luisa. Sono i contrafforti delle cinte murarie della città: Angela, Enrico, Matteo e Gus. Consapevoli di portare avanti una storia, di aiutare il proprio personaggio che sta per annegare. Li ho amati molto di più degli altri, perché speravo che in qualche modo li salvassero. Ma…

    Lo si legge tutto d’un fiato, il libro. Ti prende e non riesci a smettere. Fai fatica a respirare e le lacrime scendono copiose perché il destino si deve compiere e lo sai che andrà a finire così. Fai a fatica a chiudere l’ultima pagina, ripercorri i passi indietro sperando di trovare una scappatoia, una chiave che ti permetta di uscire da questa inesorabile escape room. Ma non c’è, no…

  5. (proprietario verificato)

    Sono stata la prima lettrice del romanzo di Mario Leoni, e l’ho trovato molto piacevole.
    La descrizione degli ambienti e’ impeccabile, tanto accurata , che sembra di vederli.
    La cosa che mi ha colpita di più è la descrizione così intima e analitica dei quattro personaggi, perché essa scava nell’animo umano, tornando al loro passato , per esplicitare al meglio il profilo psicologico di ciascuno.
    Siamo tutti consapevoli, che noi siamo il frutto di tutte le esperienze vissute, soprattutto di quelle dell’età infantile, che scavano un solco profondo, proprio come accade ai quattro personaggi.
    Le metafore utilizzate dall’Autore le ho trovate pertinenti ed estremamente poetiche.
    Le tematiche trattate sono le più varie: dall’abbandono, all’omosessualità, alla malattia, ai vaccini, fino ad arrivare alle lobby delle case farmaceutiche.
    L’intreccio della storia è intrigante, all’inizio un po’ lenta, ma poi pian piano prende forma e ciò rende la lettura sempre più stimolante, fino ad arrivare ad un finale ricco di pathos…
    Il titolo è la sintesi di tutta la storia, perché ognuno di noi, come i quattro protagonisti vive un ‘ “estate” della vita e di essa dobbiamo averne memoria, perché potrà’ essere il “ faro ,che ci illumina anche quando arriva il buio… e il freddo inverno…
    Il romanzo è vivamente consigliato!

  6. Mario Giovanni Leoni

    Grazie infinite Gianni, è un onore avere un tuo giudizio

  7. (proprietario verificato)

    Un libro affascinante. La storia è avvincente e ti cattura subito in un crescendo che ti induce a non voler interrompere la lettura. Ho amato ogni pagina e ogni personaggio anche quelli secondari e le semplici figure descritte come parte dell’ambiente circostante.
    Sono certo che è un libro che vi lascerà un segno

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Mario Giovanni Leoni
Nasce a Cremona nel 1976. Medico chirurgo specializzato in anestesia, rianimazione, terapia intensiva e terapia del dolore, è anche docente universitario. Dopo aver vissuto a Boston, città in cui ha affinato le sue competenze mediche e arricchito la sua visione del mondo, si è stabilito sulle rive del lago di Como, dove ha trovato l’ispirazione per la sua prima opera letteraria. “Conosco anche l’estate” è il suo debutto, in cui esplora le profondità dell’animo umano.
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