Un percorso interiore che svela, attraverso lo smarrimento, il legame indissolubile fra un nipote ormai indurito, che mai ha smesso di essere un bambino, con la sua adorata nonna.
Un racconto generoso e genuino che affronta il rapporto fra umano e tempo, uomo e dolore; un viaggio attraverso il disagio di chi ha sempre cercato nell’ascolto il sentimento radicato ed artefice di tutti i cambiamenti: la reciprocità.
Il rifiuto verso una realtà che improvvisamente si chiude a riccio, per un uomo che però non ha mai smesso di pensare e di mettersi in discussione.
Onesta autocritica, amaro realismo, forte tensione verso il prossimo, nonostante tutto.
Sulla scia degli insegnamenti della nonna, una vita vissuta fino all’estremo limite del ritrovare sé stesso e l’altro; un cerchio che si chiude nell’esatto punto in cui si era interrotto, ridando sano colore ad un’esistenza che ora può dirsi nuovamente pregna di tutto ciò che pareva essere mancato, dal momento della perdita.
Perché ho scritto questo libro?
Nel 2019 ho vissuto un momento di grande smarrimento. La scrittura mi ha sempre aiutato a fare chiarezza come nel più auspicabile viaggio catartico che un individuo possa intraprendere e così, da questo viaggio dentro me stesso, è nato un libro, un racconto introspettivo, una storia d’amore.
Credo nella sincerità delle parole in esso contenute e spero che la vita di Paride raggiunga la vita di molti altri lettori che potranno riconoscersi in lui.
ANTEPRIMA NON EDITATA
La prima volta che conosci qualcuno – qualcuno che è destinato a diventare una parte importante della tua vita – non la dimentichi più. Tutto quello che accade può anche sbiadirsi e sgretolarsi, ma quell’incontro, quella prima volta, rimane impresso nella tua memoria per sempre. Come scolpito nella pietra. Ogni dettaglio, ogni sensazione, ogni momento riaffiora continuamente e nutre una nostalgica sensazione di malessere e benessere.
Ora ripenso alla mia vita fino a qui. Faccio un bilancio. Rivedo lucidamente tutta la fatica, tutte le salite, tutti gli ostacoli e mi rendo conto che è stata, malgrado tutto, un’avventura fantastica. Come se fossi stato, per tanto tempo, come una di quelle piccole tartarughe depositate dalla madre in una buca profonda nella sabbia e poi lasciate al proprio destino. Anch’io, come loro, ho dovuto affrontare un lungo tratto di spiaggia per raggiungere il mare.
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Anch’io, come loro, ho rischiato di essere mangiato da qualche affamato predatore, di cadere in qualche trappola, di non avere la forza necessaria per raggiungere la destinazione.
Ho trasformato quel sentimento di rabbia che mi teneva prigioniero, che m’impediva di esprimere tutta la mia naturale bellezza, in un sentimento di gratitudine che mi consente di ritrovare il bandolo della matassa. Perché ho capito che avrei dovuto ringraziare la vita di avermi concesso il privilegio di conoscerti ed averti così tanto mia, anziché odiarla per il fatto di avermi messo davanti alla tua perdita.
Adesso so con certezza che le cose belle non le perdiamo mai veramente.
Che la luce che per tanto tempo ha illuminato il nostro cammino, rivive attraverso le nostre azioni e rivivendo attraverso le nostre azioni, riaccende una speranza. Perché noi siamo il seme ma anche il terreno dove far nascere nuovi germogli ed abbiamo tutti gli strumenti per donare a qualcuno quello sguardo pieno d’amore che ci è stato donato.
Quando permettiamo alla rabbia di prevalere, interrompiamo questa trasmissione. Questa ciclicità.
Interrompiamo un processo di fermentazione che renderà il nostro vino più buono. Più pronto. E questa brusca interruzione, ci rende avulsi dalla verità.
Allora mi sono interrogato su quello che invece perdiamo ed alla fine sono giunto alla conclusione che quello che perdiamo delle persone che abbiamo amato è solamente la loro parte fisica, quella relativa al loro corpo, alle loro braccia, alle loro gambe, alla loro voce.
Tutto quello che di visibile possiamo avere, toccare, ascoltare.
Che è difficile discernere le due cose, il tangibile dall’etereo, quando il dolore di una perdita ti strappa il cuore dal petto e te lo frantuma in mille pezzi.
Eppure l’invisibile è più visibile del visibile.
Non è forse questo che hai cercato d’insegnarmi tu?
Ad essere preparato ad accoglierle il dolore ed a trasformarlo in un fuoco d’amore per gli altri?
Perdonami se ci sono arrivato tardi. Se per un milione di anni, ho lasciato il mio terreno incolto. Se nel mio terreno sono cresciuti rovi, se lungo le pareti della mia casa sono apparse delle crepe e da quelle crepe è cresciuta a dismisura l’edera.
Non avevo intuito che prima ancora di perdonare coloro che non hanno saputo, o voluto accogliermi nella loro vita, dovevo perdonare me stesso. Non c’è niente di sensato in questa esistenza terrena, in questo via vai di gente distratta, in questo flusso di parole riciclate fino a quando non s’incontra il perdono.
Chi sa perdonare sa accogliere il cambiamento. Chi non sa perdonare non sa accogliere. Si limita ad allontanare. A respingere.
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