L’edificio, costituito intorno al XIV secolo, aveva ospitato i reali di Francia e il governo della Prima Repubblica, muto testimone di epocali cambiamenti. In perenne evoluzione, era stato ampliato a tal punto da riunirsi al palazzo del Louvre. Durante la repressione della comune, la colossale opera era finita, letteralmente, in cenere, quando gli estremisti vi avevano appiccato il fuoco, piazzando cariche di polvere da sparo per rendere la deflagrazione ancor più devastante.
Solo il giorno successivo i vigili del fuoco erano riusciti a sedare le lingue incandescenti, mettendo a nudo i resti della devastazione. Le macerie, fra proposte di ricostruzione mai andate in porto, erano state rimosse anni dopo.
Sebbene non avesse fatto in tempo a vederle, Tucci conosceva quella storia a menadito. Aveva una passione sfrenata per gli eventi del passato, che amava collegare a quelli del presente. D’altro canto, ricordare nomi, luoghi ed eventi era un aspetto fondamentale del suo lavoro di investigatore privato, consulente della gendarmerie di Parigi.
Abbandonate le velleità storiche, si diresse verso l’ingresso dell’elegante edificio in stile barocco che aveva di fronte. Era composto da tre piani, la facciata era affrescata con i toni del blu e adornata con stucchi dorati, che raffiguravano il giglio di Francia. Al piano terra, le finestre erano disposte quasi ad altezza d’uomo, per cui un passante di buona statura avrebbe ben potuto sbirciare cosa accadeva negli appartamenti. I piani superiori, invece, godevano di balconature non eccessivamente ampie, ma sufficienti a ospitare un tavolino con due sedie, che permetteva ai fortunati di godere di una magnifica vista sul cuore pulsante della Ville Lumière. Tucci superò i due pesanti battenti in legno, che segnavano l’accesso all’abitato, salutando il portiere con un cenno del capo, prima di svoltare a destra, salendo la scalinata di marmo bianco.
Giunto al secondo piano, imboccò l’uscio di fronte a sé, svicolandosi da un gran viavai di persone indaffarate. Si toccò il cappello per salutarne alcune, poi si accostò a un uomo in uniforme, con le mani dietro la schiena.
Blaise Richard, commissario di Paris Centre, aveva le mani conserte e un’espressione stampata in faccia che non lasciava presagire nulla di buono. Si ravvivò i radi capelli bianchi, prima di rivolgere i suoi occhi grigi verso il nuovo arrivato: «Bianca Montreuil,» disse, accennando al corpo riverso al suolo «coniugata Liseux, trentaquattro anni. Pare sia morta per dissanguamento. L’ha trovata il marito, quest’oggi intorno alle ore quattordici. Il medico legale, che ha già compiuto gli accertamenti del caso, sostiene che sia trapassata intono alle undici, circa sei ore fa. Infatti, come vedi, già iniziano a intravedersi i primi segni di rigidità degli arti. Una brutta storia» concluse. «Davvero una brutta storia.» Tacque, asciugandosi il sudore che gli scendeva copioso sulla fronte.
Tucci non disse nulla, limitandosi ad annuire. Come era solito fare, distolse la propria attenzione dal corpo senza vita, avrebbe avuto tutto il tempo per studiarlo successivamente. Iniziò a guardarsi intorno gironzolando, apparentemente senza meta, per l’ampio salone. Si rese conto di essere in una delle dimore più maestose che avesse mai visto. I soffitti erano alti almeno tre metri, ornati con una splendida lavorazione a cassettoni. L’arredamento era molto curato, con mobilio di pregio e tappeti che Tucci giudicò sommariamente di gran valore. La sua attenzione fu catturata da un orologio posto in fondo alla stanza, su una lastra di marmo rosa che sormontava il camino.
L’oggetto era molto antico. Di bronzo dorato, era adornato da due figure a cavallo che correvano l’una contro l’altra o, più probabilmente, l’una verso l’altra, trattandosi di un uomo e di una donna. Il quadrante di madreperla, protetto da un vetro trasparente, presentava lancette in corno d’elefante, ferme alle ore dieci.
Tucci tornò sui suoi passi, in direzione del cadavere, sfiorando con lo sguardo un tavolino su cui erano disposti una tazza, un bricco e un piatto con dei biscotti. Osservando quella composizione, l’investigatore notò l’alone di un cerchio perfetto, lasciato sul legno da un recipiente poggiatovi non molto prima. Passò oltre, non potendo fare a meno di notare come in quell’ambiente ovattato tutto fosse in perfetta armonia.
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