1. NEL TEMPIO
Semplicemente, un giorno la scoprì: la parete aveva un camino, una larga fessura nella quale si poteva salire a incastro. La vide e, senza pensarci troppo, vi si infilò dentro e salì. La spaccatura si spingeva all’interno della parete e sembrava chiudersi, fino a diventare un curioso foro. Sbucando da questo si ritrovò in una vera e propria grotta, ampia, stranamente confortevole e protesa su una cengia decisamente strapiombante, che formava come una graziosa aerea terrazza.
Lentamente, gli occhi si abituarono a quella penombra e, con suo grande stupore, notò che la grotta era stata abitata e accuratamente modellata: un bel masso squadrato fungeva da tavolo e si poteva riconoscere una sorta di panca scavata nella roccia, dove ci si poteva comodamente sedere con le spalle contro la parete, o anche sdraiarsi, perfino con il lusso di una protuberanza rotondeggiante della pietra dove appoggiare la testa, una specie di cuscino ergonomico naturale.
Scrutò attentamente ogni angolo della grotta: era un vero e proprio rifugio, un angolo tranquillo e riparato nel quale potersi raccogliere indisturbati; la spaccatura, che si dilatava formando la grotta, sembrava poi perdersi, stringendosi e spingendosi sempre più all’interno della parete. C’era perfino una canaletta scavata nella roccia che convogliava un rivolo d’acqua, proveniente da una qualche sorgente interna, in una piccola pozza, per poi farla calare in una canaletta di scolo. Il mormorio leggero dell’acqua creava una sorta di rilassante musica di sottofondo.
Non volle chiedersi da chi o per chi fosse stato fatto il rifugio, volle solo concedersi, quasi voluttuosamente, il piacere di esservi ospitato e il conforto di staccare la spina rispetto alle pressanti incombenze di ogni giorno. Non aveva bisogno di perlustrare ulteriormente il rifugio e nemmeno di una qualche luce, gli occhi si erano abituati a sufficienza a quella mite penombra.
Si sedette sulla cengia, lasciando vagare lo sguardo e depo-nendo ogni sorta di pensiero: ansie, scadenze, progetti, delusioni. Era in alto, poteva guardare lontano, gli si aprivano davanti ampi orizzonti e questo, insieme a un ambiente naturale ancora tutelato, giovava alla sua salute mentale. Fuori dallo smog e dalla frenesia della città, riusciva meglio a concentrarsi e a pensare.
Rientrato nella grotta, si sdraiò sul giaciglio roccioso, curiosamente confortevole, e decise di mantenere gli occhi aperti. In quello stato di rilassamento con gli occhi chiusi si sarebbe potuto anche assopire, mentre invece voleva sfruttare al massimo quello spazio e quel tempo per mantenersi nella più piena consapevolezza.
Quello spazio misteriosamente scoperto era straordinariamente propizio per la meditazione ma anche quel tempo, quel distacco da tutto che si stava concedendo aveva un valore, una densità del tutto particolare, non era un momento qualsiasi.
S’interrogò sul proprio cammino e si chiese: Quello che sto facendo, perché lo sto facendo? Per quale profondo motivo? Cerco un risultato per me e basta o per il bene degli altri, per il bene di tutti? Cosa sto facendo di buono per gli altri? E poi, io chi sono veramente? Chi voglio essere? Dove voglio arrivare? Non sapeva rispondersi, ma non voleva neppure dar nulla per scontato e, almeno, sapeva che già quelle domande potevano avere in se stesse una loro piccola efficacia purificatrice. Comunque, questo misterioso posto lo stimolava a tirar fuori il meglio di sé, a guardarsi con verità, con quella sana umil-tà che ti mette a nudo con te stesso, per quello che sei, senza aggiungere e senza togliere nulla. Affioravano alla sua consapevolezza pregi e limiti, e questo diventava il presupposto indispensabile per pensare nel miglior modo al suo rapporto con gli altri. Procedendo per la via dell’umiltà, si sarebbe potuto avviare all’incrocio fondamentale con la misericordia: come avrebbe potuto lasciarsi ancora scuotere dai limiti altrui mentre ricordava a se stesso i propri limiti?Talvolta, capita di imbattersi in luoghi che sono come impregnati di spiritualità, ed emanano quasi una speciale energia, come se avessero assorbito una particolare positività da speciali eventi o persone legate a quel posto. Questo era proprio ciò che percepiva in quella grotta, in quel rifugio anzi, pensò che avrebbe potuto benissimo essere anche una inespugnabile fortezza: lo stretto accesso alla grotta poteva essere facilmente ostruito con un grosso masso piatto, appoggiato proprio lì vicino; per il resto, a parte la fenditura, la parete era assolutamente compatta, liscia e strapiombante, impossibile da salire.
Era ormai passata una buona mezz’ora: il tempo era volato, come quando si vivono esperienze forti. Era giunto il momento di tornare alle corse della quotidianità. Si infilò nel buco e scese, sempre a incastro, lungo la fenditura, con la cautela necessaria a chi si muove da solo in ambiente, senza alcuna protezione. Quell’istinto un po’ animalesco, che si faceva sentire non di rado dentro di lui, gli trasmetteva il piacere del contatto con l’ambiente, del corpo in movimento nella natura.
Fabio Todesco (proprietario verificato)
Quello che serve, sottovoce.
Il corpo, la natura, lo spirito, il vuoto di Ferdinando Costa (Bookabook 2022, ISBN 978-88-3323-639-1) è una di quelle rare opere uniche nelle quali l’autore, ben arrivato alla maturità personale e professionale, sintetizza in cento pagine le cose utili del proprio percorso. E’ una letteratura che ha precedenti solo lontani nel tempo e nello spazio: le raccolte sapienziali di detti nei quali l’autore più tende a scomparire più ci viene accanto perché a ogni passo si capisce che sta sintetizzando in parole il concentrato di esperienze che la sua vita gli ha permesso. Questo ha conseguenze sul pensiero: invece di passare in rassegna prospettive teoriche si parte da una prospettiva biografica e si fa il bilancio di cosa vaga la pena consigliare ancora. Lo stile non è quello dimostrativo e polemico della difesa di una idea; non ammicca a un “noi che condividiamo questa impostazione” ma si presenta come un continuo “sottovoce” di condivisione fra persone che si sanno ben eterogenee fra loro e nondimeno stanno davanti allo stesso fuoco di problemi, hanno davanti lo stesso buio. Questo libro spinge quindi chi lo legge a mettersi in una analoga posizione: nella ricerca di cosa sia utile veramente e praticamente. Di alcuni risultati diremo più avanti; di seguito invece tentiamo di contestualizzare il suo discorso.
Il libro rientra nel ristretto ambito della letteratura di montagna: “la parete aveva un camino… un foro… una cengia…” (pp.15-16). L’autore ha percorso molte montagne arrivando a vedere il lontanissimo in quelle di casa e il vicinissimo in quelle extraeuropee: e questo risultato appagante potrebbe essere definito il contrario esatto del gusto per l’esotico di moda un tempo. Parafrasando il detto di una nota marca di scarpe da roccia, Nessun luogo è così lontano come ciò che abbiamo dentro.
Il libro rientra nella letteratura interreligiosa: cerca di capire quello che è veramente comune e per far questo cerca di capire quali schemi culturali siano da deporre e quali indicazioni possano aprire a un dialogo vero perché ben consapevole della propria identità, e “a una opzione preferenziale per la semplicità” (p.89).
Rientra anche nella letteratura religiosa e biblica (in particolare Paolo, Vangeli, Atti, Profeti): cerca di praticare quella “felice eresia di mettere in discussione il dogma che lega soldi e felicità” (p.69) e di contrastare le visioni stereotipate delle religioni (p.9). In particolare è un libro sul discernimento: “dobbiamo distinguere proposte che si fingono autentiche da proposte che lo sono veramente, falsi maestri da maestri veri” (p.10).
E’ un libro sulla sostenibilità: “la consapevolezza dell’ambiente naturale come risorsa, casa e tempio a destinazione universale dovrebbe aprire a scelte molto concrete su fronti di intervento enormi” (pp.22-23).
E’ un libro sul Tai-chi: l’autore è praticante, insegnante e arbitro di Taiji-quan e utilizza nozioni tratte dal Qi-Gong, il Tuishou, il Sanda-Sanshou, il Wushu. “Una parte grande e strategica del combattimento parte dal rapporto dell’atleta con se stesso”: “questa dimensione ci accompagna in tutte le situazioni nelle quali ci possiamo trovare” (p.96).
Il libro rientra nella letteratura sulla educazione e la scuola fino a toccare l’esperienza del Covid: “avrei potuto rimanere indifferente a quanto la realtà ci stava consegnando ma il confronto con gli alunni mi ha aiutato a capire che non potevo riprodurre lo stesso tipo di didattica…” (p.66).
E’ un libro forse, pur senza nominarli, sui padri: cioè sul paziente lavoro di discernimento dei figli per capire cosa, di quanto abbiamo ereditato, va tenuto avendo la forza di riconoscere che “abbiamo ereditato concezioni spesso distorte e fuorvianti” (p.28).
E’ un libro sulla ricerca di libertà anche là dove non sembra essercene lo spazio, come quella di trovarsi un albero appena fuori città per passarci una notte e insegnare ai propri figli a fare altrettanto; o di pregare incastrati in un albero (p.39).
E’ un libro sulla pulizia interiore, sull’esplorazione rispettosa dei propri limiti, su “un coraggioso lavoro mentale”, sull’ imparare, dal proprio rapporto con i colleghi (p.94), dalla propria fatica, a saper leggere la bellezza (p.71-2). “Più umano e quindi più spirituale” (p. 91). “Un buon strumento di verifica del nostro lavoro interiore rimane sempre la realtà, che è più importante dell’idea” (p.101).
A volte sembra che i fiori che si sono raccolti belli un tempo diventino brutti strada facendo: si è quindi stupiti della quantità di cose belle che hanno trovato posto in questa vita, nonostante, o proprio a causa, del “fermarsi una mezzoretta al giorno” (p.85). Ma non è un privilegio eccezionale: il libro è sorretto dalla persuasione, umile, che il suo lettore potrà riconoscere nella propria vita e in quelle degli altri più cose belle di quante ne vedeva prima per cogliere un po’ di verità nel detto “non dovremmo considerare una cosa strana se qualcuno è santo, ma se qualcuno non lo è” (p.98). Pur non facendo mistero delle difficoltà, è un libro ottimista: “il contagio del bene è assolutamente popssibile e nessuno ci può impedire di compiere la nostra parte” (p.102).
stevemazzoli
Pagine che racchiudono in grande densità il taccuino di un viaggio interiore teso verso un’unità esistenziale tra corpo, mente e spirito, ed una scoperta di conquiste e ricchezze acquisite dal pensiero di culture diverse.
Pagine che suggeriscono sentieri per rendere più autentica e compiuta l’esistenza.
Luigi Arnaboldi (proprietario verificato)
Ringrazio Ferdinando per aver condiviso il suo cammino umano e spirituale con questo prezioso libro. Emerge con chiarezza l’esperienza vissuta con cui è imbevuto, la sottile e precisa competenza intellettuale che l’accompagna, ma soprattutto il coraggio di avventurarsi per i sentieri del dialogo interculturale e interreligioso oggi più che mai urgente. In queste pagine si assaporano i gusti e i profumi dell’Oriente con modalità che li avvicinano al nostro tessuto umano quotidiano. Un libro che è d’attualità perché risponde alla ricerca di serie profondità e sana spiritualità che tutti noi andiam cercando. Grazie a questo libro possiamo esser aiutati a scoprire quel Mistero che ci abita e pervade l’universo intero, se abbiamo il coraggio, dopo averlo letto, di tacerci, entrare nel vuoto e…lasciarci essere.
don Luigi Arnaboldi
Giovanna Delcorno (proprietario verificato)
Per chi vuole riflettere, con uno sguardo davvero ampio. Per scoprire quanto dagli elementi più semplici che ci circondano, alle tradizioni più lontane da noi nel tempo e nello spazio, tutto possa contribuire a costruire meglio noi stessi. Un libro pieno di spunti a vari livelli, da leggere e rileggere.