Una voce malinconica racconta istanti delle vite di Lia, Fulvio, Remo e Irene, giovani tormentati dalla ricerca costante di un’identità e del senso delle cose, desiderosi di esplorare il mondo e fare esperienze, ma allo stesso tempo incapaci di trasformare questo desiderio in azione. Tra allontanamenti e attese, le esistenze dei quattro si incrociano e si sfiorano, guidandoli alla scoperta dell’altro.
In equilibrio fra diario interiore e metafora, dove gesti e dettagli assumono importanza universale, si entra nel flusso delle coscienze di giovani che non vogliono essere definiti secondo le convenzioni e che trovano insieme la forza di essere nel mondo. Un inno a vivere con empatia e forza di sentimenti.
PROLOGO
Ciò che posso fare quando mi prende l’altalena del vuoto è provare a imprimerlo nella lettera.
Un tempo mi rallegravo delle cose diverse. Le cose diverse mi riportavano all’incertezza, e io bramavo l’instabilità del suolo: ma questo non può valere per tutta la giornata. Ora cerco le cose che si rassomigliano: un’identità. Che possa io essere fuori dal tempo, che possa io, allo stesso tempo, essere nel tempo. Avevo brama d’imprimerlo nella lettera, prima che tutto fosse squarciato dal tempo: il giardino, il ragazzo con le felci nelle mani, le felci sul prato, il sentiero scavato. La sottile inclinazione della sua voce, che finiva in un’eco stridula ed era quasi un fischio: mentre parlava così, io non sapevo dove andare. Scrivevo, ma non l’ho mai detto. Lui non conosceva i miei dubbi, continuava a parlare e senza tipi di prevenzioni. Niente tatto. Incontrollata sputacchiera. Mi prendeva il suo canto accumulato. Ma avevo sempre le stesse parole per descriverlo. Parole crudeli per cose innocenti.
Ora, invece, passeggio. Età passeggera e io passeggio. Non posseggo e passeggio. Lui si è ritirato prima che potesse perdere del tutto le sue convinzioni; questo gli ha salvato la vita. Lui che camminava con gambe diverse e correva come su un nastro cinematografico a rallentatore, ora lo vedo e lo vesso, nei ricordi, seminascosta dalla notte che non sa contraddirmi. Gli potrei chiedere cose semplici, chiamandolo al telefono, ma non riesco a ricordarmi le domande. Credo, in fondo, di non aver nulla da chiarire. Senza dubbio, ho disimparato la naturale conversazione. Un tempo anche lui non sapeva parlare. Nostalgia? Ecco: l’agonia di appartenere al fianco del sorriso. La memoria cicatrizzante.
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Ora, fatemi raccontare senza usare il “mi ricordo”. La mia nostalgia parla al presente, non ha mai creduto che le cose fossero passate. Le luci sopra lo specchio mi dicono che sto invecchiando senza conoscere la vita, ma io rispondo che la vita è troppo giovane per conoscermi. Se queste parole, a fatica, vogliono dire qualcosa, vuol dire che la camera, la porta, quella stanza esistevano allora come adesso le vedo. Vuol dire che almeno le cose rimangono. Ma non voglio più vivere nelle cose che sanno di nostalgia. Ora scrivo.
PARTE I
La porta si spalancò. Forse un colpo di vento. Lia si guardava ancora nello specchio, guardava i suoi occhi riflessi, quelli di una giovane donna imprigionata nel compimento d’un gesto. La sua mente era offuscata, come nei fumi dell’oppio.
Si volse verso la porta: quel rettangolo di legno, poco più alto d’un uomo, la divideva dal nuovo, la proteggeva in un nugolo di abitudini ancora fresche di conquista. Riassettò le sue ossa sottili e le palpebre che cercavano di darsi un tono improvviso, di sconfiggere il pallore, quasi s’aspettassero d’ essere guardate. La sua mano pettinava l’ingarbugliata moltitudine di capelli, cercando di sconfiggerla con un monile preso in prestito da mani care, mani altrui. Rimase immobile nel gesto intimo dell’osservazione di sé.
Tutto al di là del ciglio era ribollente attesa, mentre la pruriginosa voglia di vivere il momento che stava per verificarsi assaliva le mani ansanti, che si muovevano vorticose tra i meandri d’una tracolla. La penosa attesa d’uno squillo, il sussulto che penetrava nello stomaco corroso a ogni suono che somigliasse a una sirena, il piede che sbatteva con violenza e produceva il rumore sordo di scarpe basse sul pavimento erano i protagonisti del momento che sembrava ella vivesse come sospesa, in attesa di un’ascesa o di un rovinoso precipizio. Bevendo in un bicchiere tanto corroso da apparire sporco l’acqua che serviva a placarle una secchezza che non era sete, attendeva di riempire i propri occhi pieni di spazio.
Si allontanava, ed era già successo che si affidasse istintivamente a qualcosa che sembrava portarla via, quasi come se lo spirito doppiasse il corpo nella corsa verso il nuovo e, in anticipo, vi si ponesse al cospetto, studiandolo per primo senza svelare nulla. Rivide se stessa nella porta di vetro che poteva introdurla al di fuori del palazzo e oltre la quale, a macchie incongruenti, si presentava una figura tagliuzzata dalle fronde insidiose degli alberi del parco. Si guardò in faccia come fosse un’altra, come se tutto ciò a cui credeva di assomigliare si fosse dissolto. Ovattata, la sua figura sembrava non appartenerle, muoversi come guidata da una forza ignota, una forza che non riusciva a guidare.
Un vortice, che pareva aver origine nel suo ombelico, sembrava risucchiare, scomponendole, le parti dell’anima e del corpo di cui era costituita: poi lo vide, lo avvertì.
“Non abituarti” fu la prima frase che udì, quindi lo guardò in faccia. Ma Fulvio non parlava affatto, anzi, le sue labbra erano serrate a tal punto da tremare come se dentro la cavità della bocca le parole risiedessero impazienti e nervose. Gli occhi di Lia lo analizzavano almeno fino a tre centimetri sotto la pelle, dove si posa di solito uno sguardo naturalmente attento, curioso ma non tanto da varcare il limite sentendosi degno di conoscere in un momento ogni verità personale. In quel momento si sentiva distante dalla realtà quanto potrebbe definirsi distaccata da un albero una mela: tutto quel che ella conteneva, ogni cosa che costituiva materia deformabile per i suoi sogni, proveniva dalla vita della quale lei stessa era partecipe e al contempo spettatrice. Fulvio la osservava impacciato, quasi impantanato dentro una fanghiglia interiore che gli frenasse la parola. Attorno, gli amici parevano allontanarsi. Eppure erano vicini. Parlavano ad alta voce, ridendo e canzonandosi, ma Lia li sentiva come sussurrare, come fossero piccole fate dei boschi alle orecchie dei bambini. Qualcosa d’inspiegabile la spingeva ad attribuire un senso a quelle parole soltanto immaginate. Ma le labbra di Fulvio continuavano a ticchettare, come se stessero quasi contando il tempo nell’attesa di una risposta a un saluto che non erano riuscite a rivolgere; erano livide, quelle strisce di sorriso, pretenziose, troppo sensibili per resistere dignitosamente all’inverno, troppo evidenti rispetto al viso per rimanere inosservate. Lia sentiva addosso il suo sguardo: alzò il volto. Scivolò come una goccia d’acqua dimentica della gravità lungo il suo ritratto, procedendo verso l’alto lentamente e ricevendo ambigue impressioni da quell’esperienza. Una forza la stava sconfiggendo a poco a poco, una potenza alla quale ella quasi avrebbe potuto abbandonarsi se non l’avessero importunata noiosi strascichi di paure, incomprensioni personali, fili logici riavvolti di riflesso. L’ignoto la inghiottiva e lei, attratta e terrorizzata, gli andava incontro ridendo nervosamente.
Intanto la realtà in vari abiti le ricadeva addosso, inviandole la sensazione spiacevole d’esistere ancora nella stessa forma di prima. Eppure notava di non essere restata sempre lì dov’era, d’essere invece recentemente ritornata da un luogo che non aveva ancora ben compreso.
Visse la sera insieme a quelle impressioni e a lui che le rideva accanto.
giuseinsi (proprietario verificato)
Ho appena terminato di leggere “Cronaca di un giorno non esistito”. Devo dire che
non ho avuto problemi a comprendere il contrasto tra la luce e l’ombra che permea
il flusso di tutte quelle parole. Emerge, da parte di questa brillante e giovane autrice,
l’affannoso tentativo di voler ricercare dentro di lei l’identità: ma cos’è l’identità se
non un tentativo di volerci attribuire delle caratteristiche ? L’avvolgente ritmo
narrativo ti lascia senza fiato, ti percuote, cerca di tirarti in quel vortice di apparente
“follia”, ma poi lo stesso lettore può accorgersi di essersi immerso nel fiume verboso
di una coscienza che cerca di trovare una sua collocazione in un mondo sempre più
incerto e poco ospitale, che non lascia scampo, che ti abbatte, che ti rende insicuro.
Ma ecco che a tal punto, affiora la sapiente mano letteraria dell’autrice, che ti porta
a conoscere la difficoltà del vivere quotidiano, il disperato tentativo di riuscire a
fabbricare un scudo protettivo che ti renda immune alla troppa sofferenza che a
tutti noi la vita può, nostro malgrado, riservare. Lasciatevi prendere per mano e
condurre in questo viaggio disperato, il quale non è altro che il percorso che, nel
quotidiano, tutti noi affrontiamo, anche senza la giusta convinzione di farlo.
Valeria (proprietario verificato)
La lettura di Cronaca di un giorno non esistito risulta pervenire come un viaggio interiore nella rivelazione di sensazioni, pensieri, emozioni, percezioni. È una narrazione poetica, un percorso all’interno di un’anima turbolenta, sempre in divenire, ove tutto il sentire è riferito con estrema lucidità, nel bene e nel male, e tutto traspare con colori netti: sgargianti o cupi a seconda del sentire dell’autrice, capace di usare la penna nello scritto e descritto come un abile pittore usa i colori quando dipinge e illustra tutte le sfaccettature del proprio essere. È una lettura carica di significato dove ogni parola porta con sé non solo il puro senso semantico ma una ricerca ed un’analisi introspettiva molto dettagliate. L’autrice è capace di scandagliare ogni angolo di sé e metterlo in relazione con il mondo che vive e che vorrebbe ulteriormente vivere, ma che allo stesso tempo rifugge… È una danza tra il sentire e lo schivare… Tutta la complessità e la vulnerabilità dell’interiorita umana in Cronaca di un giorno non esistito.
Maurizio (proprietario verificato)
Ho letto tanti libri mi piace leggere e consiglierei sempre di leggere soprattutto ai giovani;leggere è fonte di arricchimento culturale.Ma scrivere è un’altra cosa!Io ci ho provato …niente di che, ma se non altro comprendo l’impegno che bisogna profondere per giungere alla stesura della bozza definitiva quella da pubblicare.Quindi come prima cosa apprezzo tantissimo il lavoro compiuto. L’idea che mi sono fatto, per quello che può valere, è che sai scrivere molto bene con una grande proprietà e padronanza della lingua italiana attingendo da un ampio vocabolario di cui poche persone possono disporre. Di primo acchito il libro mi colpisce per la sua impostazione estremamente originale mai rinvenuta in alcuno dei tanti libri letti. Ciò depone a tuo grande merito per aver lavorato in assoluta autonomia di pensiero. Sicuramente nel testo si percepisce una propria intimità rivelando una profonda sensibilità d’animo e la strenua volontà di opporsi alle convenzioni, ai riti preordinati, alla necessità vincolante di raggiungere un obiettivo. In generale il libro richiede una lettura attenta ed impegnata. Leggendo le ultime righe del testo, prima dell’epilogo, mi sono emozionato; emozione che non collego assolutamente al fatto che ero intento nella lettura di un’opera di mia figlia. Si è trattata di un’emozione generata dai contenuti del testo che ha provocato una naturale lacrima di pianto;sei riuscita a far vivere nel lettore la condizione e stato d’animo propri dei protagonisti.UN LIBRO È BELLO QUANDO GENERA EMOZIONI.
Emanuele Axl Aucone (proprietario verificato)
Un commento breve in attesa di addentrarmi meglio in questo mondo. Credo sia un libro decisamente personale e per questo ancora più intrigante; la scrittrice descrive con una naturalezza disarmante quelli che sono i sentimenti e le impressioni della giovane donna, che possono benissimo plasmarsi a quelli del lettore, repentinamente trascinato e coinvolto in quel turbinio di emozioni. Sono rimasto davvero folgorato da una frase in particolare: “La memoria, in quel momento, si cosparge di essenze indecifrabili che hanno quasi il sapore e la violenza di un risveglio ancora incosciente e non totale e, dopo un torpore di fisiologica reazione, solo in alcuni casi si congiunge al presente, a ciò che in quel frangente usiamo definir vero”.
smnavella (proprietario verificato)
“Tra le tue mani c’è uno spirito irrequieto che vuole uscire e quel formicolio che senti tra le dita è la vita che
ti dice <<esisti, ora più che mai>>.” Tra le prime pagine di questo racconto la protagonista arriva a
possedere questa epifania: esiste. È questa consapevolezza della propria esistenza che io individuo come il
perno del racconto e che, forse, la spinge ad osservare con occhio indagatore le altre esistenze per poi,
inevitabilmente, paragonarle alla sua. Ma osservando “quel “fuori””, per usare i termini dell’autrice, rimane
affascinata quanto sconcertata. Le esistenze opache che incontra nel suo cammino le danno degli impulsi,
nuove rivelazioni, che le fanno riscoprire la sua interiorità e spalancano i suoi occhi a quella altrui,
scatenando riflessioni sulla vita che potrebbero vivere o non vivere, ma anche sulla vita che lei ha e che
potrebbe volere. È un racconto di epifanie. La mente instancabile della protagonista ti trascina per mano (le
mani rappresentano la pura essenza di tutte le esistenze del racconto) insieme a lei in un vortice di
riflessioni, che non vogliono banalmente ricercare una verità, ma riflettere sulla propria verità,
perfettamente consci del fatto che essa non esiste. So che io esisto, ma come appaio agli altri? E come loro
appaiono a me? Ma soprattutto, mi vedono? La protagonista quasi trascende il corpo e diventa essa stessa
l’estraneo che finora aveva osservato. Una trascendenza di eco fitzgeraldiano. La protagonista, quasi come
una moderna Nick Carraway, scruta quasi fin sotto l’epidermide delle evanescenti figure che incontra e,
dalla sua personale visione, emergono molteplici varietà di umanità. Ritrova un po’ di sé stessa in tutti e
non si identifica con nessuno se non con lei, consapevole della propria unicità e della potenza del suo
occhio indagatore. L’impresa che la ragazza del racconto vuole compiere non sembra differente da ciò che
hanno già fatto alcuni importanti protagonisti del flusso di coscienza novecentesco, basti pensare a
Vitangelo Moscarda, protagonista del pirandelliano Uno, nessuno e centomila, che attraverso l’osservazione
di sé allo specchio (scena iniziale di questo racconto tra l’altro) arriva a chiedersi come lo vedano gli altri
fino a sfociare nella pazzia. Eppure c’è un elemento innovativo in questo racconto, che delinea a mio
parere, il discostamento, se non una sorta di superamento, netto da questi modelli ormai diventati
emblemi della tradizione: l’autoconsapevolezza. La protagonista non potrebbe mai essere definita pazza né
diventarlo, perché nella sua aria trasognata, nella sua trascendenza, nel suo scomporsi e frammentarsi per
poi tornare in sé riusciamo a percepire sempre, per tutta la durata del racconto, una lucida quanto forte
consapevolezza di sé stessa. Sa di non possedere alcuna certezza, ma se ne trascina dietro continuamente e
inconsciamente una: la propria individualità, la propria personale realtà che non si può mettere in
discussione, il proprio esistere. Ed ecco che il suo flusso di coscienza, diventa il flusso di coscienza del
lettore, perché la protagonista racchiusa nelle pagine e la persona pensante che possiede il libro tra le mani
e lo sfoglia incuriosito, sebbene non abbiano in comune le stesse idee, hanno già in comune il fondamento
della storia: non sanno forse entrambi di esistere?
domenico.dellapietra1 (proprietario verificato)
Pensieri e parole!
Premessa: Essere orgogliosi e fieri della propria unicità è molto gratificante; pensare che gli uomini sono tante Unicità inconciliabili tra loro è, obiettivamente drammatico.
Considerazioni-
Alla prima lettura nasce, intrisa di curiosità e incontestabile meraviglia, la chiara intenzione di “ridefinire” il limite degli stimoli sub-liminari che governano il vissuto. Coinvolge il lettore trascinandolo in un labirinto, senza via d’ uscita, abitato da sentimenti ed emozioni, da tutti vissuti e mai decodificati. È la continua ricerca, nella logica della incoerenza umana, di trovare la risposta esaustiva al bisogno di definire le coordinate della dimensione “vita”. Infatti, l’angosciante quesito: potrebbe essere amore la gioia del dissolversi e la leggerezza finale del non esistere?, sono l’humus e la struttura portante dei vari accadimenti. L’attesa e la ricerca spasmodica della felicità, pregnano il prima e il dopo, non facendo cogliere ai nostri “con coscienza l’attimo”.
Nelle pieghe emotive dei nostri si percepisce, anche, un messaggio sconvolgente: le relazioni umane interpersonali sono solo convenzioni, strutturate per soddisfare i bisogni-necessità-curiosità dell’umano quotidiano.
Nel fisiologico divenire irrompe l’imprevedibile, l’inatteso, l’amore. Amore sublime e tanto dolce da sfuggire ad ogni codificazione e collocazione. È un continuo divenire del non-senso che, una volta superata la pubertà della vita, si apre ad emozioni, ignote agli eletti ma nutrimento per il “popolo”.
Raffaella Laterza (proprietario verificato)
Ho appena finito di leggere “Cronaca di un giorno non esistito” attraverso le bozze integrali che mi sono state rilasciate in seguito al pre -ordine. Le caratteristiche del racconto che più mi hanno coinvolto nella lettura sono l’incedere delle parole e il ritmo della narrazione, che assume una conformazione quasi musicale. Le parole sono concatenate e hanno un senso che non è solo di significato ma anche di suono, si legano le une alle altre in concordanze di etimologia e di contenuto che vanno al di là della mera descrizione. A tal proposito mi ha stupito la capacità di indagine dell’autrice, che si insinua a fondo nella natura dei personaggi. E’ di certo una scrittura “deviante” dalla norma: si arrampica e si attorciglia in una narrazione che non è costituita da una vera e propria trama, ma vuole esprimere sensazioni, pensieri, introspezioni. Ne consiglio vivamente la lettura, oltre che per il contenuto, anche per il modo di scrivere!