Benvenuti ad Hermagold, una piccola località che profuma di vento. Leggere questo libro è come tornare ad ascoltare i racconti di una nonna, accogliere le confidenze di un’amica, rivivere i ricordi di un padre, leggere i pensieri di un gatto e della casa dell’infanzia, fermarsi e prestare attenzione agli aneddoti di un signore anziano che incontriamo sempre su quella panchina e che per fretta o distrazione magari ignoriamo. Questo libro invita alla calma e alla scoperta attenta di dettagli poetici che ci circondano ogni giorno. Forse in uno di questi racconti o in una di queste poesie potreste anche ritrovare voi stessi, o quella parte bambina di voi che avete nascosto. Si parla di viaggi, di paure, di emozioni, di amore e di crescita. Si parla di quanto universo (poetico) può contenere una comunità.
Perché ho scritto questo libro?
Questo libro è nato lentamente. Nel tempo ho scritto vari racconti ispirandomi a persone incontrate o immaginate. Ogni persona che incontriamo ci lascia un pezzetto di sé ed io ho provato a tessere un tappeto di storie con i pezzetti di stoffa che le persone mi hanno lasciato. E’ un modo per celebrare la vita e le piccole storie quotidiane. Anche le poesie sono nate in vari momenti della mia vita, soprattutto in viaggio. Sono istantanee per non dimenticare, per capire e colorare la realtà.
ANTEPRIMA NON EDITATA
Cronache di Hermagold
Sotto la collina, accarezzato dal vento del lago che profuma di ulivi, troverete la gioiosa comunità di Hermagold. È una piccola località e, ad un occhio superficiale, potrebbe sembrare un normalissimo paese. Ma ogni paese nasconde un universo, come ogni casa e ogni cuore. Se potessimo fermarci a parlare con ogni singolo abitante di una comunità, avremmo storie della buonanotte in abbondanza. Non sono storie di grandi imprese o avventure, sono semplici racconti di vita: come quelli che di solito raccontano i nonni ai nipoti o quelli che ci si racconta tra amici al tavolino di un bar o in passeggiata o semplicemente quelli che si possono immaginare osservando le persone che ci circondano e che incontriamo al panificio o mentre attraversiamo la piazza. Venite con me, sediamoci su questa panchina, chi passerà oggi? Impariamo ad ascoltare.
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L’UOMO GABBIANO
Era ormai da qualche anno che non vedeva più il suo mare. Una volta l’estate per lui significava raccogliere le sue poche cose, salire in auto e partire con la moglie verso la casa delle vacanze. La vita iniziava lì, con gli amici per giocare a bocce, il sole rovente sulla pelle, le onde a cullarlo sul suo materassino, le cene a base di pesce e un buon libro da leggere sotto l’ombrellone.
Poi, d’un tratto e prepotentemente, sopraggiunse la vecchiaia e con essa gli acciacchi, la difficoltà a guidare e la moglie sempre più restìa a viaggiare. Cosa significava estate ora? Restare sul balcone a leggere il giornale senza nessuno a cullarlo e il silenzio torrido nel paese. Nessun volto amico a far schioccare le bocce, nessuna barca da seguire con lo sguardo, nessun grido di gabbiano a svegliarlo dai suoi sonnellini e a cena al massimo un po’ di pesce surgelato.
I compaesani spesso lo vedevano sconsolato passeggiare per le strade: canottiera, pantaloncini e bandana, sembrava proprio un villeggiante. Sceglieva sempre le ore più calde per uscire, il sole non lo aveva mai spaventato, gli piaceva sentirlo bruciare sulla sua pelle che era ormai diventata una dura corazza.
Ogni tanto andava in biblioteca, si sedeva su una poltrona e prendeva il giornale. Scorreva velocissimo le notizie e poi si soffermava sulla pagina del meteo: con lo sguardo cercava i nomi di tutte le città di mare per vedere com’era il tempo laggiù e se c’era sole era contento, piegava il giornale soddisfatto e se ne tornava a casa.
Altre volte si fermava al bar a bere acqua frizzante con una fetta di limone e chiedeva sempre alla cameriera dove sarebbe andata in vacanza quell’estate o dove era stata. Voleva sapere tutti i dettagli di com’erano state le giornate, se si mangiava bene, se la spiaggia era di sabbia o di sassi e se aveva trovato meduse.
Qualcuno l’ha visto l’altra sera, seduto su una panchina davanti al laghetto artificiale vicino casa sua: il suo sguardo era assorto e la schiena era ben diritta sullo schienale in legno. Se qualcuno si fosse avvicinato avrebbe di certo notato che teneva in mano una conchiglia e a volte la avvicinava all’orecchio, come se fosse un telefono.
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