Secondo un vecchio detto orientale, se hai un segreto inconfessabile vai in montagna e cerca un albero, scava un buco nel tronco e bisbiglia al suo interno i tuoi pensieri. Dopo richiudi il buco con il fango, così il segreto non sarà mai scoperto da nessuno.
Il mio, più che un segreto, è un addio mai realmente dato.
Il posto giusto per custodirlo non è altro che una rientranza in una strada di montagna dalla quale si può ammirare un panorama mozzafiato. Al centro dello slargo vi è un tronco, ultimo della sua famiglia in passato numerosa e ormai sterminata. È rimasto solamente lui, decapitato da un disboscamento che non ha risparmiato quasi nessuno, a prima vista sembra morto e inesorabilmente incapace di riprendersi, ma nonostante tutto è ancora lì. Nella sua esatta metà vi è un incavo naturale, vuoto, come se un tempo avesse ospitato il suo cuore pulsante. Mi aveva colpito tantissimo la prima volta che l’avevo visto ed era diventata un’abitudine tornare a salutare quel temerario superstite.
Tornare indietro a quando tutto ha avuto inizio non è semplice, perché il ricordo delle emozioni provate sovrasta quello degli eventi che mi hanno portato fino a qui.
Il principio di questa storia è da collocare a Capodanno di due anni fa. Tra gli auguri per il nuovo anno e il resoconto di quello appena passato, un’anima romantica come la mia chiede sempre al destino, o a chiunque abbia il potere di ascoltarla nel profondo, di realizzare i suoi desideri. Ne avevo un paio a cui tenevo maggiormente: il primo era potermi mettere in proprio con l’attività di agente immobiliare, perché ero troppo stanco di fare il dipendente, volevo avere un ruolo che mi permettesse di sentirmi finalmente qualcuno. Dover rendere conto e prendere schiaffi in un’attività che nasce come imprenditoriale era diventato svilente; se ti svegli la mattina da operaio e le cose vanno male ti girano le palle ma la faccia non è la tua, io invece nella vita ho sempre dovuto metterci la mia in tutte le cose, non volevo fare il pagliaccio con le sembianze di altri.
Il secondo desiderio era innamorarmi, poter rivivere l’ardore di un tempo, quello che ti toglie il respiro e ti rende vulnerabile. Vivo. Insomma, l’amore che si vede solo nei film. L’ho sempre sognato e negli anni speravo che qualunque donna entrasse nella mia vita, almeno fra le poche che abbiano scalfito la corteccia che via via si andava sempre più indurendo, diventasse quel tipo di emozione, che in alcuni momenti ho pensato davvero di sentire, ma come la felicità è durata pochi istanti. Nonostante questo, però, come un vulcano quiescente, sapevo che nelle mie profondità abitava quel magma in attesa della scossa giusta per venire fuori con tutta la sua forza distruttrice. Sapevo che prima o poi sarebbe arrivata, tuttavia, come per tutte le cose forti che capitano nella vita, non potevo sapere il momento esatto.
Non è un dettaglio di poco conto che io fossi padre e fidanzato.
Non avevo fatto i conti con il destino, perché effettivamente dopo qualche mese quella scossa sarebbe arrivata, la mia vita sarebbe cambiata e all’orizzonte il mio desiderio sarebbe sembrato avverarsi.
Anzi, entrambi i miei desideri!
1. HO BISOGNO DI ABBRACCI
Murakami dice che quando entri nella tempesta non sai come ci sei arrivato e neanche quanto durerà, l’unica cosa che sai è che quando finirà, e prima o poi si concluderà, per quanto possa durare, non sarai più la stessa persona.
Io non vedevo neanche i lampi in lontananza, ma dentro di me sapevo di essere pronto per affrontarla.
Avevo già dato una sterzata potente alla mia vita mettendomi in proprio. In estate, con una sana vena di follia, avevo deciso di lasciare quel ruolo da sottoposto e provarci. Avevo feedback positivi dai clienti che seguivo, ero in grado di gestire ogni tipo di acquirente dal momento in cui decideva che avrebbe voluto comprare una casa fino al giorno in cui ci entrava dentro a vivere. Ne ero sicuro e mi buttai.
Nel giro di un paio di settimane, lasciato il vecchio lavoro senza neanche ponderare troppo, iniziai a guardarmi intorno. Evitai pseudomillantatori di imperdibili opportunità trovando infine un vecchio collega che mi propose un’idea interessante, stimolante e alle fasi iniziali di realizzazione. Un gruppo nuovo di agenzie impegnate ad aprire nuovi punti vendita sul territorio. Forse per la consapevolezza di aver già rifiutato in passato da lui un’offerta economicamente valida o forse per la ferma sensazione che potesse essere la strada giusta con le persone giuste, accettai.
Così mi ritrovai nel giro di pochi mesi a essere un “opzionante”, in parole povere un disoccupato che si impegnava a costruirsi nel giro di sei mesi un portafoglio immobili dal niente, uno staff che lavorasse con lui e per lui e un budget, senza avere nessun tipo di fondo o paracadute che mi permettesse di aprirmi il mio ufficio! Detta così sembrava un azzardo, invece io ci credevo con tutto me stesso e stavo proprio cercando questo tipo di sfida, così la colsi al volo.
Iniziai a lavorare con la fame che avevo maturato in cinque anni a zappare la terra e l’esperienza precedente nel settore immobiliare. Dopo poco presi con me Diego, un capitale umano troppo prezioso per farselo sfuggire. Un ragazzo di sani principi e di buona famiglia, con la testa sulle spalle e con quella luce negli occhi che diceva: “Cerco qualcuno che creda in me! Non voglio certezze, desidero solo questo”; e io lo convinsi che stare insieme in questo progetto poteva essere l’inizio di qualcosa di bello per entrambi.
Ma lo staff non era completo, necessitavo di una terza figura indispensabile per il mio lavoro: il coordinatore. Per chi come me ha imparato questo mestiere in un grande franchising, questo tipo di ruolo rappresentava la chiusura del primo cerchio: affiliato che gestisce la trattativa – collaboratore che trova il cliente e le case – coordinatore che unisce tutte le attività e che materialmente fissa gli appuntamenti alleggerendo il carico delle mille cose da fare.
Non mi vergogno nel dire che avevo un po’ paura di essere il capo di questa figura lavorativa, perché in genere viene rappresentata da una donna e avevo il timore di non riuscire a gestirla. Fare il titolare non è una cosa semplice, perché bisogna essere bravi a rendersi autorevoli ma anche apprezzati e stimati.
Con Diego, scherzando, dicevo sempre che era meglio non prendere ragazze che poi correvo il rischio di innamorarmi e, vista la mia situazione di padre e compagno, era meglio evitare. Certo, a lui non raccontavo dei miei problemi in famiglia, primo, perché, anche se non si direbbe vista la mia espansività, sono un tipo riservato; secondo, perché il capo agli occhi degli altri quasi non deve avere una vita privata, per me è colui che è sempre impeccabile, risolve ogni tipo di problema e difficoltà e non lascia mai interferire la sfera personale con quella lavorativa. Però ho sempre creduto che Arlecchino si confessò burlando.
Insieme al titolare dell’agenzia a cui mi ero appoggiato studiammo un piano d’attacco per trovare entrambi questa figura professionale. Annunci di lavoro, sponsorizzazioni su Facebook, passaparola e chi più ne ha più ne metta, per trovare nel giro di poco tempo un paio di ragazze su cui investire i nostri soldi (che in realtà io non avevo) e il nostro tempo. Lui un paio di mesi prima ci aveva già provato, ma con scarsi risultati. Adesso ci riprovava e io mi sentivo pronto.
Selezionammo due ragazze dopo tanti e tanti colloqui, ma onestamente, a pelle, non ero convinto di quella che era in prova per me. Mi sembrava ingestibile dal punto di vista sia professionale sia umano, non mi dava la sensazione di essere la persona che cercavo. Però mi dissi che volevo rischiare, affidarsi sempre all’istinto poteva essere limitante per uno che nella vita vuole fare l’imprenditore e se mi fosse andata male avrei potuto imparare da quell’esperienza a contare effettivamente sempre su quello che sentivo quando conoscevo qualcuno.
Così per tre giorni feci venire questa ragazza in ufficio spiegandole step by step dove si trovasse, quale fosse il progetto e le mansioni che avrebbe dovuto svolgere durante la giornata. Le dedicavo solo qualche ora al giorno perché pensavo, di comune accordo con gli altri colleghi, che i giorni di prova dovessero servire ad ambientarsi, una full immersion sarebbe potuta essere controproducente e snervante per qualcuno che neanche sapeva se poi avrebbe realmente fatto questo lavoro.
Il venerdì sera di quella settimana mi trovavo in ufficio, verso le sei, tutto solo e nella pace dei sensi. Penso non capiti quasi mai di trovarsi in solitudine in un posto che brulica di ragazzi che incendiano i telefoni pur di raggiungere i propri obiettivi.
Proprio per godermi quel momento e staccare un attimo dal mio lavoro presi il telefono e chiamai mia madre. Ho un rapporto speciale con lei e a volte ci capita di scherzare e punzecchiarci reciprocamente con la scusa di sentire come è andata la giornata.
Mentre le parlavo, non ricordo bene di cosa, vidi in lontananza due persone entrare nell’ufficio.
Il negozio di Big T., il titolare che mi prestava le postazioni, è stretto e lungo quasi come se fosse un corridoio molto largo con scrivanie a destra e sinistra. All’ingresso è collocato il front office, dove dovrebbero stare le coordinatrici, e via via tutte le altre postazioni per i collaboratori. A me e Diego erano state assegnate le due in fondo, in una zona rialzata, quasi fosse un palchetto del teatro. Dalla mia postazione non misi subito a fuoco il motivo per cui le due ragazze fossero lì. La mia mente di solito è veloce nel capire le situazioni, ma mi sembravano troppo giovani per cercare una casa in affitto, tantomeno da comprare. Rimaneva l’ipotesi che volessero lasciare un curriculum, e mentre mi incamminavo verso di loro mi convinsi che era quella la motivazione della loro improvvisa visita.
Mi affrettai a chiudere velocemente la telefonata, lasciando credere alle due ragazze che si trattasse di un cliente. Quando capii che erano lì perché cercavano lavoro, probabilmente mi uscì fuori un sorriso sornione, dovuto al fatto che una delle due mi aveva colpito già nel momento in cui mi ero alzato dalla sedia.
Non ricordo con precisione cosa indossasse, ma pensai che aveva sicuramente gusto nel vestire, capello lungo sciolto sulle spalle, pelle chiara e lineamenti fini e raffinati, un paio di occhi color nocciola che avrebbero colpito anche un cieco, labbra carnose ma non volgari e un sorrido timido che nascondeva malizia e tutta la vitalità dei suoi diciannove anni.
Sofia, il suo nome.
Pensai che anche il nome fosse perfetto. Ricordo nitidamente quando, a dodici anni, guardai insieme a mio padre Vanilla Sky, il remake americano di un film spagnolo, con Tom Cruise e Penelope Cruz. Racconta una storia d’amore bellissima, breve nel tempo ma eterna nel sentimento: la mia idea dell’amore è racchiusa in quella pellicola. Negli anni l’ho riguardato tante volte, soprattutto perché si tratta di un film speciale visto con una persona speciale, e ogni volta che lo vedo mi sobbalza il cuore nonostante lo sappia a memoria. La protagonista si chiama Sofia e per me era ed è l’incarnazione della donna ideale.
Pensai subito che non fosse un caso la sua apparizione improvvisa, ero imbarazzato, mi capita se ho davanti una ragazza che non conosco e che mi piace. Cercavo di mantenere un atteggiamento professionale ma non antipatico. Mi accertai del motivo per cui fossero entrate così improvvisamente nel mio mondo.
L’amica disse: «Volevamo lasciare un curriculum» e dopo un attimo di pausa: «Il suo, in realtà», così Sofia tirò fuori il foglio che mi firmò davanti. Ero contento che fosse lei a lasciarlo e non l’altra ragazza. Volevo che fosse lei.
Le uniche parole che mi uscirono, sapendo che non avrei potuto trattenerla in eterno lì con me anche se era la cosa che avrei voluto, furono: «Sei nel posto giusto, ti chiameremo sicuramente!». Forse un po’ troppo entusiasta, ma ripensandoci nel tempo non avrei potuto dire frase più azzeccata.
Uscirono dall’ufficio e credo di aver mantenuto sul mio viso un sorriso alla Joker per almeno cinque minuti, ero solo e potevo essere me stesso e sentirmi leggero come su una nuvola.
Chi è convinto che solo le donne credano nell’amore commette un errore, anche noi maschietti lo sogniamo, solo che il 98% di noi si vergogna ad ammetterlo! Io, per quanto sia burbero e arrogante, non ho mai avuto problemi a esprimere questo concetto apertamente.
Erri, il mio grande amico d’infanzia, mi dice sempre “Tu sei innamorato dell’amore!” e credo proprio abbia ragione. Spesso mi domando se mi sono mai innamorato davvero di una persona o solamente di quello che mi ha fatto provare. Non so darmi risposta, so solo che sicuramente riesco a farmi amare e a ricambiare con tutto me stesso.
È così bello provare qualcosa, perché mai negarlo? E io, nel momento in cui quella ragazza era entrata nell’ufficio, avevo sentito davvero qualcosa. L’avevo appena vista e subito mi aveva colpito, volevo conoscerla e chissà, magari entrare nella sua vita.
Ah sì, cercava lavoro. Già fantasticavo all’idea di sapere tutto di lei, farmi raccontare la sua infanzia, che cosa le piacesse e cosa la facesse arrabbiare, cosa preferiva mangiare e come trascorreva il suo tempo.
Era questo il mio pensiero in quel momento. Poi razionalizzai e mi dissi che avevo un modo per poterlo mettere in pratica: un colloquio di lavoro. Era questa la prima cosa da fare.
Nel frattempo era rientrato in ufficio Big T. e io ero sceso dalla nuvola, almeno a prima vista, ma mi era rimasto stampato in viso il sorrisone. Gli raccontai che era appena entrata una ragazza che cercava lavoro e che per me era molto interessante, professionalmente, si intende! Lui mi ascoltò e mi spiazzò: «Chiamala e fissa il colloquio per domattina!». Rimasi un attimo interdetto, poi presi il telefono e chiamai. Non rispose. Mi resi conto che era appena uscita dall’ufficio, era più che normale che non rispondesse, ma dopo due minuti mi richiamò.
«Ne ho parlato con il mio socio, che ne dici se domattina alle undici ci vediamo per un colloquio?»
Lei non rispose subito, probabilmente era frastornata da tale velocità, ma dopo qualche secondo disse: «Perfetto, per me va bene. Allora a domani!». Attaccai. Presi fiato dalle narici per paura di fare troppo rumore, andai da Big T. e gli dissi, sfacciato, che il giorno dopo ci sarebbe stato il colloquio con questa nuova ragazza e che anche se entrambi stavamo cercando tale figura volevo farlo io quell’incontro. Fu un azzardo, ma non dovetti neanche dilungarmi molto, era d’accordo.
Andai su Facebook per vedere chi diavolo fosse colei che, senza chiedere il permesso, era entrata così prepotentemente nel mio mondo e nel mio lavoro. Qualche foto di volontariato, altre con un ragazzo, probabilmente il suo. Notai che non erano foto recenti, lei sembrava diversa dalla persona che avevo appena incontrato, ma mi piacevano tutte, a ogni immagine mi sembrava di conoscerla sempre meglio.
In quel momento rientrò Diego da un’acquisizione e lo aggiornai sulla novità. Frenai l’entusiasmo con lui, non volevo mi credesse così affascinato dalle donne. Non gli dissi che la ragazza aveva un bell’aspetto ma che avevo la curiosità di vedere come sarebbe andato il colloquio. Lui, nonostante fosse piuttosto apatico e, come si dice a Napoli, “non si mangiasse un’emozione”, era, nella sua maniera contenuta e distaccata, contento. Non era convinto di quella che avevamo in prova. Diego è come me, non è uno che si accontenta, quindi avere una nuova candidata per lui era positivo.
Dopo un’oretta conclusi la mia giornata di lavoro e mentre rientravo a casa mi chiamò Irene. Era la ragazza che prima lavorava nello studio di Big T. come coordinatrice: si era rivelata una scelta sbagliata, ma per evitare di mandarla via era stata spostata in un altro ufficio sempre del gruppo. Eravamo diventati buoni amici.
«Sei contento che ti ho mandato una mia amica che cerca lavoro?»
«Sofia? Non sapevo che fosse tua amica!»
«Non dirle che te l’ho detto, Tiziano, non mi va che pensi di avere favoritismi. E poi non voglio consigliare qualcuno. Sapevo che cercava e le ho detto di venire lì da voi.»
«Bene, ti ringrazio allora, speriamo vada bene il colloquio. Ti devo un caffè.»
Samanta Capuzzo (proprietario verificato)
Ho avuto il privilegio di essere tra le prime a leggere queste pagine: un libro che parla al cuore con semplicità e umiltà, raccontando la vita di un uomo… fatta di scelte, conquiste, errori,… è facile affezionarsi a Tiziano e ai suoi sogni, tifare per lui e la sua felicità, credere che, nonostante tutto, sia la vita stessa a farci scoprire ciò che è davvero importante…
Auguro a Remo e a Tiziano di riuscire a realizzare i propri sogni… perché se lo meritano!
giusanto.rainone (proprietario verificato)
È un bel romanzo che si legge molto bene..è scorrevole e ti incuriosisce man mano che passano le pagine..lascia spazio alla fantasia di ognuno di noi e fa ovviamente anche riflettere per le tematiche affrontate..
Consigliatissimo