Anche la security non manca. Gli stessi ragazzi di sempre con spalle larghe, capelli sparati e microfoni dappertutto. Le procedure sono più efficienti, la carta è sparita, non ci sono mani che aprono borse o frugano nelle tasche per afferrare biglietti. Ti controllano la temperatura a distanza e ti chiedono di mostrare la app con i tuoi dati clinici. Meno si toccano cose e persone e meglio è. La paura è sempre la stessa. Anzi, è aumentata. Tutto si smaterializza, ma la paura no, è una delle poche certezze dell’oggi. Più passano gli anni e più prende peso, si veste di giacche nere, armi nelle fondine, occhiali scuri. Si incarna in occhi che non guardano altri occhi, in posture che evitano il contatto, in sorrisi veloci da portare via. «Winston, cosa ne sai tu della paura? Tu la scansioni e la analizzi, ma noi no, non ce la possiamo fare. Noi ci nasciamo dentro.»
Negli anni ’80 era un’altra cosa, non c’erano Internet né cellulari. Le paure che avevamo si contavano sulla punta delle dita. Le paure in dotazione universale, come quella della morte e quelle che ci trasmettevano i padri e le madri per esorcizzare le loro e proteggerci dai pericoli che ancora non conoscevamo. La droga, l’alcol, le persone malvagie. Nulla di più. Qualche tempo dopo irruppero i cellulari, all’inizio semplici telefoni da passeggio che, con la comparsa della rete, divennero smartphone. Con loro tutti diventammo collegati. Li accendevi e ciò che succedeva in qualsiasi angolo remoto del pianeta, ti raggiungeva. Così capimmo in modo apparentemente indolore che la morte era onnipresente. E io lo capii, Winston, proprio nel momento in cui avrei dovuto essere più ottimista, quando mi sposai, quando nacquero i miei figli. Proprio quando pensavo, grazie a loro, di diventare eterno, il cellulare mi inondava le giornate di notizie funebri. Ogni secondo sulla terra qualcuno aveva un incidente, moriva per una nuova o rara malattia, veniva ucciso o si suicidava. Ciò che da sempre succede, diventa realtà solo se ne veniamo a conoscenza. Che qualcuno te lo dica a voce o che tu lo sappia perché tanto si sa, non è sufficiente. Affinché qualcosa diventi realtà c’è bisogno di una certificazione, di un’aura di ufficialità. C’è bisogno di qualcuno che sia autorizzato a dare le notizie, a diffonderle. Con i cellulari, Winston, ciò fu alla portata di tutti e la morte si moltiplicò; annunciarla non fu più il privilegio esclusivo dei telegiornali o delle cronache dei quotidiani, come ai tempi della tv. In salotto mentre giocavo con i miei figli o nel bel mezzo di una festa, persino al cinema, bastava aprire Facebook, anche solo per un attimo, ed eccola lì che colpiva e marchiava di nero la mia giornata. Così come l’essere umano è ipnotizzato da un corpo nudo, lo stesso avviene per la morte. Ne siamo attratti, dobbiamo guardare e comprendere. Poi, però, vogliamo dimenticare e, per farlo, dobbiamo raccontare in modo da alleggerire il peso.
Ogni vol-ta che leggevo un fatto truce, arrivavo a casa e lo riferivo a mia moglie. Lei si tappava le orecchie, ma dopo che aveva sentito, perché pure lei era mezza curiosa, mezza terrorizzata. Mi rimproverava: «Perché mi racconti queste cose? Lo sai che non dormo!». Le chiedevo scusa ogni volta, ma intanto continuavo a tenere gli occhi e le orecchie aperti di fronte a quel mare di male che tracimava dappertutto, e lo raccontavo per non soccombere e affogare. «Qui, in compenso, c’è la security, Winston, e io ho buttato il mio smartphone. In più, sono con te e con il tuo programma La fine di una vita.» Sono in una botte di ferro. Non temo la morte, anzi, la cerco. La paura è svanita da un bel pezzo, e la vita pure. Che dire, guardo le braccia muscolose di Ben, l’agente israeliano che passa il metal detector sotto le ruote della mia sedia, e capisco che la lotta, ora, tocca ad altri. Nel momento in cui ci lascia andare oltre, con un gesto semplice, spoglio e senza sorriso, capisco che ora sono ufficialmente e definitivamente dentro la nave. Un piccolo brivido scorre sulla carne glabra della mia schiena, mi solletica e mi dice che da qui non si torna indietro. Dopo la security c’è subito l’animazione che ci accoglie, Sara da un lato e Pedro dall’altro, per la foto di rito. Welcome on board, c’è scritto sul salvagente colorato che mi mettono in grembo. Abbozzo un sorriso sghembo e malandrino, quasi di sfida. Vediamo se riusciranno a fare divertire chi è al capolinea, chi userà la loro fottuta nave come trampolino per il nulla.
Stefania Pistocchi
Un romanzo diverso da tutti gli altri, originale nei contenuti e nella struttura. La cornice è una nave da crociera, simbolo della vita moderna, ma i richiami ad un passato non troppo lontano, sono molti. L’autore tocca con maestria temi profondi che, come tali riescono persino ad umanizzare un androide! E in un crescendo di emozioni coinvolge il lettore per condurlo in un finale inaspettato.
FRANCESCA PANDOLFINO (proprietario verificato)
Ho letto con piacere il romanzo di Filippo Chiello. Tantissimi sono i temi tocccati con delicatezza dall’autore. La memoria del passato; la perdita di memoria ed i tentativi di ricostruirla. La resa di chi, ormai, ha perso ogni speranza ma che, con i suoi progetti di suicidio, vuole affermare la sua volontà. L’incontro imprevisto ed imprevedibile; il riconoscimento casuale (ma esiste la casualità?). L’ambientazione futuristica, in un mondo estremamente tecnologizzato, in cui la robotica ha una parte rilevante (possiamo parlare di tecnologizzazione dell’uomo e di umanizzazione della tecnologia?). L’epilogo avvincente e imprevedibile. Complimenti!
Aidi Tamburrino (proprietario verificato)
Testo denso, piacevole nella lettura, forte nei contenuti. Il respiro talvolta si sospende perché, seppur proiettati in un immaginario ipotetico, non può non colpire il riferimento all’attuale e all’analisi che ne consegue. Ritrovo, con questo testo, ciò che più mi piace della lettura: la possibilità di evadere senza evadere. Libro notevole.
Adriano Netherlands
Una storia affascinante, proiettata nel futuro prossimo venturo, una lettura tersa e veloce,, un Winston invecchiato (forse un richiamo o un omaggio al Winston di “1984′) si fa un viaggio, una crociera nel 2055 a bordo di una nave asettica, da crociera, sul mare, un libro personale e tuttavia con lucide analisi della realta’. Un libro che si legge con piacere.
Sergio Brunetti (proprietario verificato)
Romanzo bellissimo! Quanti temi affrontati in 115 pagine. Leggendolo si viene proiettati in un’altra dimensione … colpa solo di Winston? Inoltre il riferimento ai Quindici è una chicca: è un cameo che potrebbe passare inosservato ma che invece proietta il lettore in un tempo passato vissuto da tutti noi. Emozioni forti!