«Cara Giulia, non saprei… ehm… sguardo… Be’, “sguardo” può avere tanti significati. Lo sguardo di un bimbo. Lo sguardo di un mostro. Lo sguardo innocente di un padre arrabbiato col figlio. Lo sguardo di una donna che ama il suo uomo. Sguardo non ha sinonimi. Puoi dire volto, espressione, ma quando parli di sguardi… si parla di anime, di vita, di persone. Si parla di noi.»
«Va bene, prof, grazie.»
Inizio a pensare fra me e me. L’avrò aiutata? Chissà. Torno alla cattedra. In questo momento, sto scrivendo questa trafila di enormi cazzate. Oggi pomeriggio ho due impegni. Tornerò a casa un po’ tardi. Non ho un ombrello. O meglio, ne ho uno. Ma è bucato. Del tipo che se lo apro mi piove in testa. Tanto vale evitare. Anzi, sarà meglio che lo butti. Dove minchia si butta un ombrello? Nella plastica? Nell’indifferenziata? Nel vetro? Cazzo. Ma dove si butta un ombrello, per Dio? Meditiamo. Il manicotto è d’acciaio. Poi le chele (lo so che le chele sono quelle dei granchi, ma realmente, non saprei in che altro modo definirle), ecco, poi le chele sono tipo di plastica avariata. Mentre invece il tessuto è di… è tessuto. È chiaro. Ma di che tessuto si tratta? Lana? Direi di no, di ombrelli di pecora non si è mai sentito parlare. Sarà nylon? Polistirolo? Saranno piume di uccello? Ma che ne so, santo cielo! Facciamo così: lo brucio. No, ma cosa voglio bruciare. Non posso bruciare un ombrello, mi arrestano. Ok, lo butto in un bidone a caso. Uno di quelli asessuati. Ma sì! Uno di quei bidoncelli asessuati e verdognoli che stanno nel centro città. Ci sta, no? Non ci si può mica fare tante paranoie. Tanto il pianeta non lo salva più nessuno. E vaffanculo a Greta Thunberg.
«Prof!»
«Eh!»
Qualcuno interrompe lo scorrere dei miei pensieri. Ma chi è questo pazzo. Ma non lo capisce che sto producendo un’opera d’arte?
«Sì?» rispondo piccato.
«Può venire un attimo?»
«Arrivo.»
«Mi chiedevo… nel tema, potrei citare una band musicale che lei non conosce?»
Scruto il giovane. Lui mi guarda. Io lo riguardo. Lui mi riguarda. Continuiamo a guardarci. Sembra una presa per il culo. Da fuori sento il frastuono di un capannello di operai incazzati che mangiano un panino e bestemmiano a gran voce. I miei occhi e quelli dello studente continuano a incrociarsi.
«Pietro…»
«Sì?»
«Ma che domanda è mai questa? Certo che puoi.»
«Grazie!»
«Figurati!»
’Sto ragazzo è gentile. Davvero.
Mi risiedo. E torno a scrivere questa buffonata.
Osservo una studentessa. La giovane srotola inchiostro su carta a velocità ultrasonica. Ha la mano che le scivola sul foglio. Sembra stia dipingendo. Mi aspetto un elaborato degno di Dante. Cribbio, ma a cosa penseranno ’sti cristiani? Con quelle mani piegate, sghimbesce. Con le teste proiettate all’ingiù. Ma è chiaro, per Giove! Penseranno a scrivere il tema! A cosa vuoi che pensino! Sono io che medito sul come distruggere ombrelli.
Il crocchio di blasfemi operai fugge via.
Rumore bianco.
Tra mezz’ora la festa sarà ben che finita. La collaboratrice scolastica, l’integerrima Nora, alle 14:45 spaccate, entrerà in classe e disinfetterà come un missile ogni anfratto del locus. Dopo la mia ora, infatti, i ragazzi – in occasione di un doposcuola pomeridiano – si cimenteranno in un esotico corso di flamenco.
Ma dico io… ma come è possibile che questo luogo fra mezz’ora possa trasformarsi in una sala da ballo? E come è possibile che fra trenta esatti minuti questi stessi figuri che ho qui di fronte possano scatenarsi in mirabolanti danze ritmate da un qualche paio di nacchere? Ho paura solo al pensiero.
Nel frattempo, mi arrivano i primi elaborati finiti. C’è qualche razzo che ha ultimato e già consegna la prova. Do un’occhiata veloce. Alcuni sembrano interessanti. Leggere un bel compito è come bere un buon Lagavulin invecchiato, è come fumare un croccante De Amicis. Un’esperienza fulgente, divina.
«Ragazzi, venti minuti. Sbrigatevi!»
«Eh, no, prof, belin, non ce la facciamo, belin, ma come si fa, sono indietro, devo copiare la brutta, oh, belin!»
Un classico. Anche se avessi detto che mancavano due mesi la reazione sarebbe stata questa. Mancano dieci minuti, la concentrazione in questo momento è massima. I figlioli stanno rileggendo. Mi sembra che ci tengano. O forse no. O forse sì. Bah… mi sa che ne hanno per il belino. Poco fa, le mie bioniche orecchie hanno udito un “che palle, non ne ho voglia… ”. Alla fine, può anche starci.
Sette minuti. I più celeri hanno già terminato, e, giustamente, se la dormono. Probabilmente ripassano i passi del flamenco. Ma i maschi quando ballano il flamenco si tengono la rosa in bocca? No, forse no. Forse quella è la polka.
Ma no! La polka è russa! La polka la ballano le matrioske. Nel flamenco ci sono le maracas, o sbaglio? Non lo so.
Cinque minuti. Delirio. Clangore di penne che calcano la cellulosa del foglio. Dalle grandi finestre pare esplodere un raggio di sole. Le nuvole pattinano in cielo.
Lancio un urlo: «Tre minuti, forza!».
Li osservo: sono davvero bellissimi. E che bella la loro età. Al loro posto, io, ci stavo dieci anni fa.
«Due minuti!»
Hanno tutti la mascherina. Ma chi ho qui davanti? Degli scheletri. Ricoperti di carne. Con gli sguardi un po’ persi. Tappezzati da un anello di stoffa. E connotati da desideri infiniti.
«Un minuto!»
Quasi tutti hanno concluso. Tra poco, dovrò fare ritorno a Sestri Levante. Ho un lavoro abbastanza lungo da fare, roba off-school, spero di finire presto. L’ultima persona mi fa dono del suo elaborato.
Sto per spegnere il pc. In questo momento sono tutti seduti. Anche io ho redatto il mio tema. Li guardo per un’ultima volta. Sono stanchi, distrutti. Ora che ci penso, di nessuno di loro ho mai visto i tratti del viso. Solo e soltanto le fessure dolciastre degli occhi, degli sguardi sognanti, smarriti.
Infilo la giacca. Il mio ombrello scassato fra non molto prenderà strade nuove. La professoressa di flamenco è all’ingresso dell’aula.
Nell’aria, si sente il profumo dell’arcobaleno.
E fuori, il mondo aspetta di essere abitato.
Valerio Vagge (proprietario verificato)
Alla fine della lettura di “arcobaleno” avevo già un bel sorrisone stampato in bocca, a “grammatica 5.0”, letta a mia insaputa del contenuto mentre bevevo una borraccia d’acqua, ho letteralmente annaffiato la scrivania non riuscendo a trattenere le risate!
Fantastico!
Lorenzo Montanari
Carissima Valeria, io ti ringrazio di tutto cuore!
Un abbraccio, Lorenzo
Valeria Maria Antonietta De Micheli (proprietario verificato)
Ordinata una copia. Mi è piaciuto il linguaggio giovane e fresco e l’ambientazione dei racconti nella vita reale quotidiana.