Nina fugge. Dalla famiglia, dai ricordi, da Napoli. Da se stessa. Combatte, coraggiosa e maldestra, contro il fascino del passato, che allunga le sue radici verso di lei, la afferra, la convince che il presente e il futuro siano dominati dalla menzogna, dall’inautenticità, dall’interesse. Nina è in un limbo pericoloso, che potrebbe farla prigioniera per sempre. Ma non si arrende: studia all’Accademia di Belle arti, frequenta un corso di teatro e di pittura, raggiunge Venezia e i suoi misteri, scopre il fascino senza tempo di Capri.
Riuscirà a guardare finalmente davanti a sé? A vedere oltre il passato che crede luminoso e il presente che la inganna
			 
					
				L’oracolo di Forcella
Napoli, quartiere Forcella 
In un vecchio soggiorno, la luce soffusa di una lampada a paralume in vetro opaco disegnava ombre morbide sui muri ricoperti di carta da parati giallo ocra. I suoi motivi geometrici si intrecciavano in spirali ipnotiche. Agli angoli, piccoli pezzi si sollevavano qua e là, mostrando il muro scrostato sottostante. Il paralume che pendeva dal soffitto era decorato da minuscoli motivi floreali sbiaditi, ed emanava una luce calda e fioca. 
Al centro della sala, una donna sedeva immobile su un divano di velluto marrone, consumato ai bordi e con l’imbottitura che fuoriusciva leggermente da un lato. Il grosso cappotto lungo che indossava le cadeva morbido intorno al corpo, lasciando intravedere un maglioncino a collo alto che le copriva la gola, riparandola dal freddo della stanza. I capelli ricci, tagliati corti, le sfioravano appena le spalle, incorniciando un volto pallido segnato da un’espressione indefinita tra nervosismo e malinconia. Gli occhi, scuri e inquieti, vagavano per la stanza senza mai soffermarsi troppo a lungo, temendo di incontrare qualcosa di familiare. Tra le dita sottili stringeva una sigaretta accesa, dimenticata a metà. Il fumo si alzava lento e denso, avvolgendola in una bolla trasparente. Ogni tanto portava la sigaretta alle labbra con un gesto automatico, stanco, lasciando che il fumo le riempisse i polmoni prima di espirare lentamente, cercando di calmare il battito irregolare del suo cuore. La cenere si accumulava sull’estremità del filtro, minacciando di cadere sul tappeto consunto ai suoi piedi. 
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Davanti al divano, un tavolino basso di vetro rifletteva la luce fioca della lampada, mettendo in risalto il disordine: un posacenere colmo di mozziconi, alcuni anneriti, e un vaso di plastica con fiori finti, i petali scoloriti e piegati, coperti da un sottile strato di polvere. Dalla finestra appena socchiusa si insinuavano i rumori del quartiere Forcella: alte voci maschili che parlavano in dialetto, il rombo sgraziato dei motorini che sfrecciavano nelle stradine strette, lo squillo intermittente di un cellulare e il fragore metallico di un carretto trascinato su un marciapiede sconnesso. Ogni suono si mescolava al ticchettio monotono dell’orologio a pendolo appeso alla parete, amplificando l’agitazione della donna. Il suo respiro era irregolare. Ogni tanto si portava una mano al collo, sfiorando una catenina nascosta sotto il maglioncino. Quel gesto sembrava offrirle un istante di tregua, ma la sensazione di oppressione non la lasciava andare. 
Un clacson lungo e insistente squarciò l’aria, facendola sobbalzare. I suoi occhi si chiusero per un momento e una goccia di sudore le scivolò lungo la tempia. La gamba destra cominciò a tremare sotto il tavolino, un movimento che cercò invano di controllare premendo la mano sul ginocchio. 
Si domandava perché fosse venuta, e ogni risposta che provava a darsi la lasciava più inquieta. Sapeva di trovarsi nel posto sbagliato. O, peggio ancora, nel posto giusto. Aveva esitato a lungo prima di prendere appuntamento, e ancora di più prima di suonare quel campanello. L’immagine di se stessa sulla soglia, immobile, continuava a perseguitarla. 
Poi, all’improvviso, un rumore la fece sobbalzare. La porta in fondo al soggiorno si aprì lentamente, lasciando intravedere un’ombra oltre la soglia. 
Una voce calma tagliò il suo silenzio. «Trasite.» 
La donna si alzò lentamente. Sentì le ginocchia cedere per un istante, ma si costrinse a proseguire. Non era ancora troppo tardi per andarsene. Avrebbe potuto inventare una scusa, dire che si era sbagliata e fuggire via. Ma le sue gambe sembravano muoversi da sole, spinte da una forza invisibile, portandola verso quella porta aperta, dove l’attendeva una stanza sconosciuta. Una luce fioca sembrava rendere tutto più piccolo, più vicino, quasi soffocante. 
Un tavolino rotondo occupava il centro dello spazio, coperto da una tovaglia colorata, lavata e rilavata così tante volte da aver perso la vivacità originale. Sopra, un piccolo altare improvvisato era composto da una figurina di san Gennaro, circondata da santini consunti, candele quasi completamente consumate e un posacenere traboccante di mozziconi. 
Un odore pungente di fumo, cera bruciata e umidità, riempiva la stanza, come se quel posto non avesse mai conosciuto una finestra aperta. Dall’altra parte del tavolino, una figura curva si muoveva lentamente, aggiustandosi lo scialle fiorato sulle spalle strette. 
L’anziana cartomante era bassina, inghiottita dall’ombra della sua stessa figura, ma gli occhi, furbi e allungati, brillavano con una vitalità inaspettata sotto strati abbondanti di mascara. I capelli, di un castano chiaro con ciocche bianche che sfuggivano qua e là, testimoniavano il fallimento di una recente tintura. Le mani, ossute ma agili, si muovevano con gesti precisi e teatrali, facendo tintinnare i bracciali che le coprivano i polsi in una cascata di metallo e plastica. Le unghie, lunghe e leggermente ingiallite dal fumo, scivolavano su un mazzo di carte dall’aria consumata. 
«Miettete commode» disse la cartomante con voce roca, allungando una mano verso la sedia di fronte a lei. Il suo napoletano era stretto, cantilenante. «E nun te preoccupa’, chest’è ’na stanza sicura. San Gennaro guarda tutte cose.» 
La donna si sedette con lentezza, cercando di non far scricchiolare la sedia. Poi guardò le pareti, coperte di immagini sacre che la fissavano con sguardi severi e penetranti. Alcuni volti di santi erano consumati dal tempo, altri incorniciati con cura, quasi fossero fotografie di famiglia. In un angolo, la statua di una Madonna era appoggiata sopra un mobile, illuminata da una piccola candela gialla che tremolava appena. 
 
			 
					
Marina Iadicicco
Manca ancora poco ❤️ Grazie a tutti per il sostegno!