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Di quell’amore narcisista

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Il protagonista di questo racconto è un giovane italiano espatriato a Lione: è ben integrato, ha un lavoro stabile e ha una compagna, Viola, con cui progetta di costruirsi un futuro. Ma l’incontro con Lily-Rose, ventitrenne, sensuale e travolgente, segna per sempre il suo destino. I due, infatti, si lasciano andare a una passione inarrestabile che porta il ragazzo a violare tutte le regole della sua morale e della società in cui vive. Il giovane scopre così, tra le periferie dell’incompiuto melting pot lionese, il mondo sfaccettato di Lily-Rose, abitato da Petra, la madre di lei, dalla vulcanica Morgana e da altri numerosi personaggi che caratterizzano una realtà pittoresca e contraddittoria nella quale, però, sembra annidarsi la felicità. Tuttavia, qualcosa di inatteso e oscuro è pronto a sconvolgere quel nuovo e apparente equilibrio.

PROLOGO

Ci siamo conosciuti al corso di ballo, ricordi? Era il mio secondo anno lì. Si ballava a rotazione, un minuto o due e poi dovevamo cambiare partner. Le mie amiche dicevano che ballavo già piuttosto bene ma credo lo dicessero perché erano mie amiche. Quando con lo sguardo incrociavo la mia immagine riflessa sul grande specchio della sala da ballo, vedevo solo un giovane uomo che si impegnava nel compiere movimenti che alla fin fine, suo malgrado, risultavano sgraziati.

C’erano tante belle ragazze quell’anno, ma ti notai subito.


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Quando ballavamo insieme, mi sorridevi, ma sorridevi a tutti. Ti ricordi? Non so se puoi ricordarlo. Ed eri così solare, quanto mi piaceva…

Una volta, al telefono con il mio più caro amico d’infanzia parlai di te. Gli dissi che c’era questa ragazza giovane, più giovane di me, che ballava molto bene, tanto bella quanto sensuale, che mi sorrideva sempre. Lui tagliò corto: «Ma provaci, no?». A quel punto gli ricordai che ero fidanzato.

Cara Lily-Rose, come vorrei, oggi, poter continuare questo racconto, ma a cosa servirebbe? A cosa servirebbe farlo con il presente del passato?

Il passato, paradossalmente, è in continuo movimento, e raccontartelo adesso, rievocarlo adesso non avrebbe alcun senso.

Ecco invece quanto scrissi allora. Leggilo, se puoi, per favore.

 

LILY-ROSE

La prima volta che scambiammo due battute fu al corso di ballo. Avevo male alla spalla quel giorno, come spesso mi accadeva. Mentre ballavo con lei si sentì un crock. Era la mia spalla. Niente di grave, il solito crock che mi regalava quando non voleva funzionare come si deve. Lily-Rose lo sentì e mi disse qualcosa della serie: «Tutto a posto?». Io le risposi qualcosa tipo: «Sì, sì, ho un piccolo dolore alla spalla, niente di che». E lei mi fece, sorridendo: «Questa è l’età! Ma, a proposito, tu quanti anni hai?». E io con imbarazzo le risposi: «Non si chiede l’età a un signore». Una battuta stupida. Uno scambio di battute stupido. Però poi, a fine corso, percorsi la strada di casa raggiante.

Fui io il primo a scriverle. Le chiesi se ci sarebbe stato il corso di ballo durante le vacanze. Lei mi rispose di sì, io le risposi che forse non sarei venuto, lei mi scrisse: Daiiii, vieniiiii. Sentii le pupille dilatarsi. Non me l’aspettavo. Le risposi che se riuscivo, ci sarei andato volentieri.

Poi mostrai la sua foto profilo al mio più caro amico d’infanzia. Lui mi disse: «È proprio bona, ma scopatela, no?». Io gli ricordai che ero fidanzato.

Del primo appuntamento ricordo ancora il suo vestito: verde scuro elasticizzato, aderente su ogni centimetro del corpo, dalle spalle fino a sopra il ginocchio. Lo portava con qualche impaccio, ma senza imbarazzo. Era di una bellezza disarmante. Quella sera ci eravamo incontrati per andare a ballare in un locale. Erano stati i nostri compagni di corso a organizzare quella serata: un evento più unico che raro. Noi due ci eravamo dati appuntamento un po’ prima; così, per parlare un po’.

Appena mi vide mi si fece subito incontro, e quando mi raggiunse la prima cosa che fece fu risistemarsi la gonna, che, a causa di quelle aderenze e del voluminoso sedere, tendeva e risalirle un po’ troppo sopra il ginocchio.

«Ciao, come stai? Ah, non ho più l’abitudine di mettermi dei vestiti così! E poi questo, in particolare, non mi va quasi più. Sono un po’ beauf come vedi!» Rise con un’euforia trascinante. Io non sapevo cosa volesse dire beauf e lì per lì pensai alla carne di manzo, letteral- mente boeuf – perché in francese le due parole si pronunciano allo stesso modo –, senza però avere la più pallida idea di quale potesse essere il legame fra il suo modo di vestire e la carne di manzo. Ma comunque le sorrisi, anche se non capivo. Le sorrisi perché era im- possibile non sorriderle.

Andammo a farci un bicchiere in un pub lì vicino. Le chiesi cosa voleva, mentre per me ordinai una birra. C’erano birre molto buone in quel locale. Lei mi rispose che non beveva mai birra o vino.

«Io bevo solo superalcolici!» mi disse con un sorriso incantevole.

Mi raccontò tante cose personali, senza alcun imbarazzo. Era tanto spontanea quanto spigliata e sorridente, nonostante la durezza dei temi trattati. Sembrava non voler nascondere né filtrare nulla, anzi. E io mi sentii subito come di fronte a una vecchia amica, piuttosto che al primo appuntamento tra due sconosciuti, come eravamo allora. Mi raccontò della sorella tetraplegica, immobilizzata su una sedia a rotelle. E della madre, che aveva dedicato la seconda metà della sua vita a quella povera ragazza, mentre la prima l’aveva spesa occupandosi di sua madre, vedova e malata. Mi parlò anche del padre, musicista jazz con un suo proprio studio di registrazione, in casa della madre di lui.

Non traspariva dolore dalle sue parole. A volte del risentimento, quello sì; contro il destino avverso e contro una società poco generosa con chi, come sua madre, aveva sacrificato il lavoro per assistere giorno e notte una persona non autosufficiente, così mi disse. E anche in quel caso lo fece senza perdere quell’energia positiva che non smetteva un solo istante di emanare.

2023-05-23

Aggiornamento

Obiettivo 200 copie raggiunto❤️ Un grazie di cuore a tutti quelli che in questi 3 mesi hanno partecipato attivamente alla campagna di crowdfunding, a l'editore che l'ha resa possibile, a chi il libro l'ha ordinato, a chi, con il passaparola e le condivisioni, l'ha fatto conoscere, a chi mi ha aiutato sui social. Insomma un grazie a tutti quelli che, in un modo o nell'altro, hanno reso possibile il raggiungimento di questo traguardo ❤️

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Andrea D'Argenio
È nato a Roma nel 1984. Laureatosi in Biologia molecolare presso l’Università di Bologna, ha vissuto e lavorato come ricercatore prima in Svezia, a Lund, poi a Parigi e, negli ultimi sette anni, a Lione. Attualmente vive e lavora a Milano. "Di quell’amore narcisista" è il suo romanzo d’esordio.
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