Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors

D’ombre e luci

Svuota
Quantità
Consegna prevista

Trent’anni di vite che scorrono quasi parallele. Un romanzo in cui fin dall’inizio si intuiscono legami tra i personaggi, senza mai cogliere pienamente la loro profonda essenza.
Enzo, Isabella, Elisa, Sandro, Ottavia. Tra loro vibra una corrente sottile, percepita e subito persa, all’inseguimento della riga successiva, tra rapporti con la criminalità organizzata e un dolore mai svelato fino alla fine del libro, guardando la vita con occhi a tratti adulti, a tratti fanciulleschi, sognatori o crudeli, in un rincorrersi di spazio, tempo e persone che non lascia scampo alla curiosità.

Perché ho scritto questo libro?

Questo libro per me è sempre stato la cura di una ferita. Un regalo a me stessa e a chi vorrà leggerlo con l’intenzione di trovare colore anche nelle giornate più tetre, una coperta calda che arriva esattamente quando ne abbiamo bisogno.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Racconti

Ascoltare Ottavia raccontare era un’esperienza sempre diversa e travolgente.

Le storie erano linfa che la manteneva in vita, rinfocolavano il rancore e la costringevano a non dimenticare. Con le storie raggiungeva le più alte vette per poi ridiscendere, planando lentamente, trasportata dalle correnti del passato.

Grazie ai suoi racconti tra lei e la nipote si era instaurato un rapporto esclusivo: il vassoio con il pasto rimaneva a raffreddarsi sul comò, mentre loro due entravano e uscivano dagli intrecci narrativi che la vecchia tesseva, miscelando rabbia e amore.

Quando la nonna raccontava, le pareti della stanza si aprivano, il soffitto si sollevava e aveva inizio l’incanto. Venivano trasportate in un altro tempo, estraneo alla bambina, nel quale lei si immergeva, senza respiro, con avida curiosità.

Continua a leggere

Continua a leggere

Così, non per volontà né per scelta, era entrata in una storia familiare tutt’altro che facile, tempestata di episodi ed eventi che avevano cambiato ineluttabilmente il corso della vita di molte persone.

Anche della sua.

Ogni volta il racconto si arricchiva di particolari, grazie alle domande insistenti della bimba, che costringevano Ottavia a scavare nella memoria per accontentarla.

E il finale, sempre il medesimo, riempiva l’aria di attese:

“Credimi, noi lo rivedremo”.

Poi, finalmente, la nonna mangiava.

1978 Ginevra_Svizzera Enzo e Bonetti, un’ imprevedibile amicizia 

Il lago pareva incorniciato in una fotografia: al tramonto il Jet d’eau diventava iridescente nella luce del sole. L’altissima colonna d’acqua, visibile anche da grande distanza e persino dall’alto di un aereo, originava dal lago Lemano e in esso ricadeva, dopo aver spiccato un volo che superava i cento metri di altezza.

Costruita sul finire dell’800, dava al lago e alla città l’aspetto di una gigantesca pentola a pressione fornita di sfiatatoio, questo pensava Enzo fin dal primo istante in cui aveva visto in funzione quella straordinaria fontana.

Seduto in terrazza, sul divano di midollino chiaro, con un ballon di cognac tra le dita, ne assaporava l’aroma morbido accarezzandosi distrattamente il sopracciglio sinistro.

Aveva pregustato il momento per tutta la giornata: arrivato a casa e allentata la cravatta, si era tolto le scarpe lasciandole ben ordinate sulla griglia all’ingresso, aveva appeso la giacca al pomolo dell’attaccapanni e si era diretto al mobile bar, versandosi una generosa dose di ambrato tepore.

La telefonata di quella mattina era arrivata in tempi inaspettatamente rapidi. Aveva temuto di dover attendere molto più a lungo, pur consapevole delle acute capacità investigative del suo uomo, invece: “Sono rimasti tutti in zona, capo, mi è stato facile rintracciarli. Passo subito da lei con le schedature?”.

“No Bonetti, ogni cosa a suo tempo. Per ora torna alle tue abituali mansioni”.

Non era avvezzo ai ringraziamenti, Enzo. Per natura ed estrazione sociale, sapeva che se paghi per i servizi richiesti è preferibile non perder tempo in moine, che mostrano agli altri il tuo aspetto più intimo e fragile. Meglio, molto meglio, il riserbo. Anche quando viene scambiato per durezza.

Inoltre, Bonetti lo capiva più di chiunque altro: lavorava per lui da tre anni, entrambi italiani emigrati in Svizzera, si erano incontrati e andati a genio sin da subito, pur essendo estremamente diversi per modi, aspettative, pensieri. Il suo fac-totum, una volta stabilitosi a Ginevra, aveva scelto di francesizzare il proprio cognome in Bonet, un vezzo su cui Enzo si interrogava, lui che mai e poi mai avrebbe fatto una scelta simile.

Bonetti era un ex agente di polizia, ritiratosi dal corpo dopo la morte del suo compagno, convinto di esserne stato il responsabile e rifiutando categoricamente di accettare la piena assoluzione ottenuta al processo.

Si era lasciato sprofondare nell’autocommiserazione, malcelata da innumerevoli bottiglie di acquavite dozzinale. Aveva bruciato ogni ricordo nell’alcool e buttato alle ortiche una famiglia che non lo compiangeva abbastanza: in otto mesi la moglie e i figli se ne erano andati, lui li aveva cancellati insieme con tutto il resto e si era svegliato un mattino, masticando l’amaro di lacrime che non si decidevano a scendere e pensando di andare a cercare i propri resti altrove.

Tanti italiani emigravano verso la Svizzera, grazie alla nuova convenzione sulla sicurezza sociale, siglata tra i due stati per tutelare i reciproci interessi: agli italiani mancava il lavoro, agli svizzeri la manodopera. Quella convenzione andava incontro alle esigenze di tutti e garantiva un decoroso tenore sociale. Bonetti aveva sempre sognato la Svizzera delle cartoline, quella con gli alpeggi e il cielo più vicino, così si lasciò attrarre da quelle fantasie bucoliche, sempre e solo immaginate e partì incontro alla sua nuova esistenza.

Il lavoro come fattorino presso uno studio grafico di grande importanza a livello europeo, si rivelò quanto di meglio avrebbe potuto desiderare.

Bonet, taciturno e riservato, grande osservatore di esseri umani, svolgeva il suo dovere cercando di mimetizzarsi con la tappezzeria: in pochi, tra i colleghi, lo riconoscevano, e ancora meno scambiavano due parole con lui o lo invitavano ad unirsi a loro per la pausa pranzo. Gli andava bene così, non nutriva grandi pretese nei confronti dell’umanità. Nel frattempo aveva smesso di bere, limitandosi a qualche bicchiere di buon vino ogni tanto, e si manteneva in forma facendo jogging ogni sera; proprio durante una di quelle sue corsette nel parco conobbe Enzo.

Se ne stava seduto a guardare il cielo, o così pareva, quando due ladruncoli lo aggredirono, ordinandogli di consegnare la valigetta appoggiata ai suoi piedi. Quel pazzo, invece di obbedire, raccolse con calma la ventiquattr’ore e colpì in piena faccia uno dei due, scagliandosi con tutto il corpo addosso all’altro, deciso a buttarlo a terra. Bonetti avrebbe volentieri proseguito ma spuntò un coltello e lui capì, con occhio esperto, che la situazione sarebbe degenerata. Intervenne. Immobilizzò uno dei due,  e abbaiò ordini, in italiano (ché così gli veniva quando agiva d’impulso), al tipo strano con la valigetta: “Molla quella cazzo di borsa e cerca aiuto. Ci sono le guardie ai cancelli del parco. Muoviti!”. Con suo grande stupore, l’uomo si mise a correre come una lepre verso un’uscita, tenendo ben salda la valigetta nella mano sinistra. Lo stupore aumentò considerevolmente quando lo vide tornare, accompagnato da un poliziotto.

Smaltite formalità e adrenalina, Bonetti riconobbe in Enzo il titolare della EGD, nonché suo datore di lavoro. Si presentò, sforzandosi di non pensare a come lo aveva trattato poco prima ma l’altro, non appena compresa la situazione, scoppiò in una risata roca e profonda, senza riuscire a trattenersi: gli piaceva quell’ italiano.

Durante il loro primo incontro, Enzo si chiese più e più volte cosa gli rendesse tanto interessante l’omone che aveva di fronte. Lo incuriosiva il suo modo di inclinare la testa come a saggiare ogni parola, sua e dell’interlocutore; lo aveva meravigliato la foga con cui, risoluto, rifiutò di entrare a far parte della sorveglianza aziendale ed era certo, di una certezza inspiegabile, che non avrebbe rinunciato a lui.

Lo aveva persuaso ad accettare l’incarico di uomo di fiducia, inchiodandolo con i suoi occhi da lupo e la promessa che si sarebbe sempre astenuto da qualunque imposizione, a partire dal farlo girare armato: niente armi nella vita di Bonet!

Ora, immerso nella luce calda ed avvolgente del tramonto, Enzo rifletteva: “Uomo di fiducia    la descrizione perfetta   Bonetti è l’onestà fatta persona    senza contare che è l’unico che sento vicino    quasi un amico”.

Aveva ripensato mille volte alla telefonata del mattino e mille volte vi aveva costruito un seguito, sfruttando scenari sempre diversi.

Non era uomo da mentire a se stesso, se non altro perché rammentava fin troppo bene come quella vecchia abitudine lo avesse condotto tanto vicino alla morte.

Ciononostante, non riusciva a chiarirsi quale molla lo avesse spinto ad intraprendere le ricerche appena concluse da Bonetti.

Erano passati quattordici anni! Cosa lo aveva mosso? Non riusciva o non voleva spiegarselo?

Decise di dedicarsi una doccia bollente, scrollandosi di dosso tutti i dubbi: ormai era fatta, sapeva bene che non sarebbe rimasto fermo a guardare le schedature del suo uomo, senza far nulla: semplicemente, l’inattività non era proprio nelle sue corde.

Mentre si spogliava nel suo bagno, fornito di ogni comfort, gli rimbalzò in testa un’immagine di tanti anni prima, secoli si sarebbe detto: il pavimento di marmittoni, lo specchio mitragliato di vecchiaia con la crepa trasversale che ti spaccava in due il volto, regalandoti un’aria terribile e maligna, una latrina in cui aleggiava imperturbabile il ricordo della candeggina settimanale e, al centro di tutto, il bacile. Immenso ai suoi occhi: lui e Isabella ci stavano dentro entrambi e rimaneva ancora un po’ di spazio.

Eccolo lì, sincero come la sua gastrite, il motivo di quelle ricerche: Isabella.

I suoi occhi adoranti, la fiducia che riponeva in lui, la gioia pura dell’innocenza, la certezza inattaccabile di un futuro sempre insieme, complici. Poi lo strazio: lo sguardo lacerato e quell’urlo di animale ferito che non lo avrebbe più abbandonato per tutta la vita. Bella che scappava nei campi, che non si lasciava salutare, Bella che smetteva di credere. Sapeva di averla uccisa: quella vera, che soltanto lui aveva avuto la fortuna di conoscere e amare, ricambiato, se ne era andata per sempre quattordici anni prima.

Enzo ora anelava solo a rivederla. Non aveva intenzione di parlarle, di rovinarle di nuovo la vita, quale che fosse. Aveva solo bisogno di sapere che c’era e che qualcosa di lei era sopravvissuto.

Da almeno mezz’ora calpestava il marmo grigio dell’attico, giocherellando con l’elastico che teneva chiusa la cartelletta, senza decidersi ad aprirla.

Cosa avrebbe trovato?

Bruciava di curiosità e al tempo stesso si sentiva gelare le ossa a tal punto da non riuscire a muovere agevolmente le dita, intirizzite malgrado i venti gradi dell’appartamento. Masticava rimpianti e rimorsi in ugual misura.

Uscì sul terrazzo in cerca del grande Mont Blanc e del lago che gli aveva sempre donato la pace di cui aveva bisogno.

Una delle cose che era riuscito a capire nella vita era il suo bisogno ancestrale di vivere sulle rive di un lago, non importava l’abitazione, di lusso, semplice, singola o in condominio, quanto la nostalgia quieta che sembrava uscire dalle acque per accogliere e coccolare chi abitava lì intorno. Si appoggiò alla balaustra respirando profondamente, lasciandosi placare dalla serenità dello specchio scuro che si stendeva davanti ai suoi occhi, punteggiato dalle luci di stelle e lampioni.

Immaginò le coppiette a scambiarsi effusioni protette dai viottoli fioriti di azalee, ricordò le occasioni in cui lui stesso aveva approfittato di una serata tiepida e di una dolce compagnia per assaporare l’atmosfera del lungolago, rimpianse di non avere figli e di non poterseli permettere, perché Ginevra sarebbe stata un luogo incantato in cui crescere.

Finalmente si sentì pronto ad affrontare ciò che avrebbe letto e visto, rimase all’aperto, col fascio delle carte poggiato sulle ginocchia, scostò documenti e foto delle persone di cui aveva già discusso con Bonetti, finché non gli restarono che Isabella e la sua famiglia.

Mise da parte lo scritto per dedicare tutta la sua attenzione alle fotografie.

Nella prima scovò un uomo che ricordava, ben piazzato, lo sguardo franco di chi non ha niente da nascondere: “Beato lui” pensò “Probabile che sia davvero solido come mi era parso allora”.

Gli dedicò un’altra spicciolata di secondi per decidere che gli piaceva e cercare di indovinare la sua vita attuale, prima di leggerla nelle parole di Bonetti.

Isabella, con una bambina paffuta che camminava al suo fianco. Enzo respirò a stento nel trovare conferma ai suoi peggiori sospetti.

Era diventata la bellezza che prometteva di essere: alta e slanciata, magra e prosperosa, ma i suoi occhi        I suoi occhi erano lo specchio del dolore, anche nell’immagine sorridente che lui stringeva convulso tra le dita, gli zigomi troppo sporgenti sulle guance scarne e l’aspetto febbricitante, fissava un punto lontano con un sorriso meccanico stampato sulle labbra. La bambina stava di profilo, a guardarla sognante, in attesa di un gesto che non arrivava.

Ebbe bisogno di una tregua, prima di passare allo scatto successivo, sempre Isabella: teneva fra le braccia un frugolo che, forse, non camminava ancora, a spasso per le vie del paese, fiera e orgogliosa e triste. Forse arrabbiata. Poi un’immagine al ristorante di tutta la famigliola. In questa si vedeva bene la bimba, grassoccia e insolita, l’espressione concentrata, quasi adulta, sottolineata da un paio d’occhi che non lasciavano scampo: trasparenti e intensi come quelli del padre, pur di colore diverso, luminosi e tanto grandi da apparire sempre stupiti.

Enzo trovava difficile reggerne la profondità anche solo in fotografia. Ne fu inaspettatamente turbato, tanto da decidere di cambiare attività e leggere il resoconto di Bonetti.

Scoprì così che Isabella lavorava come cameriera in uno dei ristoranti più rinomati di Lazise, il marito Luigi aveva una piccola e fiorente gelateria sulla passeggiata del paese ed il loro matrimonio risaliva al ’67.  Elisa, la bimba, era nata l’anno successivo.

.Soddisfatte le sue brame più pressanti, rientrò nell’appartamento, chiuse porte e finestre, inserì gli allarmi e controllò in ogni stanza prima di stendersi sul letto. La sua routine serale, che gli concedeva una relativa tranquillità. Sarebbe andato tutto bene: era morto e risorto, aveva fatto fortuna e ora, grazie a Bonetti e per suo tramite, aveva tutte le informazioni utili per rimediare almeno in parte agli errori commessi.

Il sonno giunse benefico.

Un urlo   come di bestia ferita   vibrava nell’aria   Sentiva il fuoco lambirgli la spalla   odore di polvere da sparo squarciargli le narici come ammoniaca    Una stanza verde    Luci fredde ferivano gli occhi     tradivano le sue membra stanche     Senza tregua     “Mi deve ascoltare”     “I ratti prima o poi vengono stanati signor Beltrami”     “Mi deve ascoltare”     Fuoco  lame acuminate  artigli dilaniano la pelle         Quiete        “Basta lottare   Posso morire e sconfiggere la paura   Ciao Bella”

2023-08-25

Evento

Circolo culturale ricreativo "Le ciminiere" Venerdì 25 agosto abbiamo organizzato un evento imperdibile: per il luogo suggestivo, per l'intervistatrice a cui va tutta la mia riconoscenza, per l'ottimo aperitivo che sempre preparano i cuochi del circolo e, ultimo ma non ultimo, per il romanzo che continua a stupire tutti quelli che lo leggono! Vi aspettiamo.
2023-08-03

Evento

Facebook https://www.facebook.com/liana.predieri.5/videos/696412379168665/?idorvanity=1025086231978624 È il Link alla mia diretta fb di ieri pomeriggio. La segnalo per i curiosi, per i sostenitori presenti e futuri e per il piacere che mi ha dato realizzarla. Auguro a tutti un perfetto week end.
2023-07-21

Telereggio

Ma che bello! Mi ha contattato Telereggio per parlare del mio romanzo alla trasmissione del mattino "Buongiorno Reggio" e io voglio subito condividerlo con tutti coloro che in questi giorni mi stanno sostenendo. Gioia pura!
2023-07-11

Evento

Radio Musichiere Scandiano Radio Musichiere è la nostra radio locale che, in modo totalmente sorprendente, ha deciso di farmi un'intervista telefonica durante la trasmissione del mattino. Sono grata di questo interessamento e felice di essermi buttata in questa avventura! Per tutti i curiosi, le frequenze di RMS sono 95.95FM
2023-07-12

Evento

Caffetteria del Duca Scandiano RE Il 12 luglio vi aspetto nel giardino della caffetteria del Duca a Scandiano, dalle 18 in poi. Per conoscerci e presentarvi alcuni personaggi speciali che passeggiano tra le pagine del mio romanzo.
2023-06-24

Aggiornamento

San Giovanni: la rugiada che purifica, l'iperico raccolto per preparare l'olio curativo... Riti, tradizioni, usanze. Qualcuno ancora pensa alle streghe, qualcuno la accantona come creduloneria, altri ridacchiano. Molti, tra i quali io, pensano che raccogliere fiori e aromatiche nella notte di san Giovanni, purifichi quantomeno i pensieri. tenga ben radicate le nostre esistenze e, diciamocelo, quanto bisogno abbiamo di rallentare, prenderci tempo, vedere davvero quello che ci circonda, riempirci le narici di odori e profumi. E quante meravigliose storie ci arrivano direttamente dalla creduloneria popolare, che più che ingenua a me sembra saggia.
2023-06-23

Aggiornamento

Da quando ho memoria, lettura e scrittura fanno parte della mia vita, con uguale misura e medesimo peso. Ho appena finito di leggere un libro struggente, forte, commovente che voglio condividere con tutti voi. "Fiore di Roccia" scritto dalla brava Ilaria Tuti. Se non la conoscete ancora (e mi sembra improbabile) ve la presento io, con grande piacere.
2023-06-20

Aggiornamento

Ma lo sentite il tremito pacato che esce dall'acqua dei laghi? Le vedete quelle increspature argentate che pizzicano la superficie? Da bambina credevo fossero fate, abitanti delle acque, che rendevano il lago più bello per attirare le persone e farle stare bene. Da adulta... Pure! Credo che tutti abbiamo bisogno di bene e di bello! Provate ad assaporare il lago e capirete al meglio l'amore per lui descritto nel romanzo che avete acquistato. Liana
2023-06-17

Aggiornamento

Questa calda e colorata luce, che per me ha un significato importante (forse un giorno ve lo racconterò), è esattamente quello che provo per tutti i sostenitori del mio progetto: affetto, calore, felicità, gratitudine. In meno di 24 ore siamo arrivati al 25% del risultato che vorremmo raggiungere in 100 giorni. Avete raccolto il mio sogno e gli avete fatto spiccare un primo timido volo. Non so dirvi altro che "GRAZIE" ma, credetemi, nasce davvero dal profondo di me!

Commenti

Ancora non ci sono recensioni.

Recensisci per primo “D’ombre e luci”

Condividi
Tweet
WhatsApp
Liana Predieri
Non più tardi di dieci giorni fa uno dei miei scolari mi ha confessato di amare il borsone con cui arrivo a scuola ogni giorno. Non riuscivo a capire e lui, candidamente, ha spiegato che quando apro la zip, in aula comincia la magia: iniziano gli scambi di racconti del nostro quotidiano che, in questo modo, si veste di colore. Ecco, io sono esattamente questo! Da cinquantacinque anni guardo il mondo con occhi curiosi, m'interrogo sugli accadimenti e sulle persone e cerco di vestire tutto, intorno a me, di bellezza e buone vibrazioni. Sono mamma, insegnante, amica, figlia, sorella, dirimpettaia, compagna... Non sempre facilmente e non sempre in quest'ordine, ma ogni giorno con passione.
Liana Predieri on Facebook
Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors