Il nostro completamento e la nostra felicità sono lì, in quell’altro essere umano, anche lui meravigliosamente imperfetto.
E, invece, no: l’amore esiste e può durare.
La felicità di coppia non è un’illusione o una fantasticheria, e non per forza si raggiunge, sottoponendosi a sofferenze e frustrazione.
Basta solamente imparare a conoscersi, comprendere di chi abbiamo bisogno, cosa ci fa stare bene, senza caricarci di sensi di colpa e delusione per tutto ciò che non siamo.
Riconoscere sé o il proprio partner come inadeguato non ci condurrà lontano, ma solo dritte dritte dentro sabbie mobili emotive da cui, più passa il tempo, e più è difficile uscirne illese.
Nessuno è perfetto e tutti lo siamo.
Sono gli incastri a dover essere giusti! E oggi li possiamo riconoscere, cercare e trovare molto più facilmente.
Fondendo la teoria dell’attaccamento in amore in età adulta (e dei pattern sentimentali) con la mia esperienza sul campo come psicoterapeuta, ho scritto questo libro, una sorta di manuale di sopravvivenza per cuori delusi o, al contrario, ancora speranzosi.
Troverai degli identikit in cui sarà facile riconoscerti, prendere consapevolezza di te, e da cui sarà semplice trarre piccoli insegnamenti di orientamento e azione, così da evitare tutte le insidie e gli autoinganni che i nostri schemi mentali ci spingono a perpetuare.
Avvicinarsi a se stessi significa principalmente ammettere i propri bisogni e i propri limiti, combattere stati d’ansia scatenati da paure e scarsa autostima a, comprendere quali sono i confini oltre i quali non concedere spazio ed entro i quali cercare il proprio baricentro.
Un tuffo nella realtà.
A tal proposito, ti racconto una storia, la mia.
Non quella di oggi, di psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Breve Strategica e con una lunga esperienza in disturbi alimentari e problemi dell’infanzia e dell’adolescenza, felicemente sposata e con una splendida figlia.
Ma quella di ieri: la storia di una giovane donna a cui non era ancora chiaro il proprio stile di attaccamento e quello del partner ideale.
Correva l’anno 2005.
Io ero una studentessa di psicologia, ma prima ancora una ragazza felice, con la testa sulle spalle, una buona dose di vitalità e tutta una gamma di certezze che in anni di amore familiare e buona educazione, permeavano i miei rapporti interpersonali, permettendomi di essere “un tipo sicuro”.
Ancora non conoscevo la teoria degli stili di attaccamento in amore.
Ma conobbi un ragazzo, che mise in crisi le mie sicurezze e spostò il mio baricentro. Per quanto sapessi esattamente come avrei dovuto comportarmi, mi misi nelle condizioni di essere disarmata davanti ai suoi comportamenti.
La storia è certamente comune a molte: lui è affascinante, un po’ schivo, sfuggente, ci sa fare con le ragazze e, soprattutto, non adotta un approccio standardizzato per tutte, ma studia la preda, adattando il suo comportamento alla situazione. L’obiettivo, raggiungere il proprio risultato, in un gioco che naturalmente è completamente sbilanciato a suo favore.
In particolare, Mister Big (per chi ricorda, l’eterno amante di Carrie Bradshaw in Sex and the City) durante il primo appuntamento, organizzato nella casa di un amico, a cui accedemmo attraverso la finestra (campanello d’allarme!), mi disse che non mi avrebbe sfiorata perché le sue intenzioni erano serie e non avrebbe voluto perdere l’occasione di rivedermi.
Disse che gli piacevo davvero.
Seguirono appuntamenti indimenticabili, fatti di sentimenti intensi ed emozioni travolgenti. Dopo i quali, però, il mio personale Mister Big spariva per giorni, facendo perdere traccia di sé.
Quando ci si ritrovava, nonostante la mia ritrosia, riusciva sempre a convincermi della bontà delle sue intenzioni e a prestarmi tutta l’attenzione di cui avevo bisogno. Salvo, però, poi sparire di nuovo dentro la sua vita parallela, a cui io non avevo accesso.
Passava così il tempo e io ero lì, legata a lui da questo filo invisibile che aveva tessuto da solo intorno al mio cuore strapazzato.
Ma la sua astuzia manipolatrice si manifestava in molti altri atteggiamenti che, con la giusta distanza e obiettività, avrebbero dovuto farmi fuggire a gambe levate.
Una trappola ben orchestrata, la sua.
Di tanto in tanto, faceva delle insinuazioni su di me che io, per quanto false, mi sentivo in obbligo di smentire. Quando richiamava e mi trovava sconcertata dal tempo trascorso, si giustificava dicendomi che aspettava tanto, proprio perché temeva la mia reazione.
Chiosava, additandomi: la causa delle attese lunghe era solamente il mio atteggiamento. Una tattica che accresceva i miei sensi di colpa e mi teneva soggiogata ai suoi umori.
Ancora più frequentemente, cadevo in momenti di ansia vischiosa, da cui era difficile liberarmi.
L’ansia dell’attesa, l’ansia della paura di non vederlo più, l’ansia del vivere continue contraddizioni.
Ma che fine aveva fatto quel tipo sicuro che vedevo ogni volta che mi guardavo nel mio specchio personale?
A posteriori, a studi conclusi e in virtù della mia specializzazione, posso dire che prima di lui, io avessi assolutamente uno stile di attaccamento sicuro.
Capace di lasciarmi andare, di creare un rapporto equilibrato tra il dare e il ricevere, presente e certa delle mie qualità.
Allora, cosa stava succedendo con lui?
Successe questo: gli eventi della vita muovono emozioni differenti e quando in ballo ci sono sia il cervello che il cuore, è sempre quest’ultimo a dirigere.
Le sensazioni che riusciva a darmi, però, erano più alimentate da quello che ci mettevo io, con il mio innamoramento, piuttosto che dalle sue caratteristiche personali.
Quando i sentimenti sono discordi da ciò che si vede e si vive, non sono le caratteristiche e le qualità dell’altra persona a nutrirli: è lo stare sull’otto-volante, catapultati tra picchi e baratri continui, che rilascia scariche di adrenalina.
Con grande probabilità, se Mister Big fosse stato inquadrato fin da subito, quel coinvolgimento e quel trasporto non ci sarebbero stati.
Le sue caratteristiche, per l’appunto, al netto dei giochi psicologici che ci tenevano uniti, non mi avrebbero fatto innamorare.
Amore o ansia?
Il movimento interiore che tu chiami sentimento, generalmente è ansia: è la base di tutti i rapporti tossici che, a causa del nostro stile di attaccamento, instauriamo. È questo meccanismo che ti inchioda a lui, alla relazione.
“Sì, lo so, lui è incapace di tenere in piedi una relazione, di rispettare la sua partner, ma non ha mai conosciuto davvero l’amore! Con il mio sentimento sincero e devoto, gli dimostrerò che può cambiare e che può essere tutto diverso, perché io sono la persona giusta!”
Ecco qui il mio flusso di coscienza, probabilmente molto simile al tuo, a quello di Anna, di Francesca, di Paola…
Smantellato il meccanismo, a forza di contraccolpi dolorosi, davanti a me c’era solo un tipo bugiardo e sfuggente al limite del patologico, che non meritava un secondo della mia attenzione.
E, a un certo punto, ho rimesso in atto il mio stile sicuro.
Lui non c’è più e non c’è stato più nessun altro come lui.
Al contrario c’è un marito meraviglioso.
Quindi, laddove anche una persona abbia generalmente uno stile di attaccamento sicuro, non è detto che non possa incappare in situazioni in cui ci si trovi ad adottare atteggiamenti di tipo ansioso.
La loro ripetizione porta, poi, alla conseguenza di sentirsi sbagliate, sempre più sbagliate.
Nel mio caso, ho messo in atto il pattern della Donna Anastasia (la ricercatrice di mostri), ma anche quello della Donna Baby (l’infermiera salvifica).
I campanelli suonano, ma tu li ascolti?
In tutte le nostre storie fallimentari ci sono dei segnali d’allarme, chiari fin dall’inizio. Siamo noi che scegliamo di non vederli.
Quello che vorrei fare in queste pagine è aiutarti a capire quando è giusto fermarsi a osservarli, imparare a valutarli con lucidità, ed evitare di costruire una rete di autoinganni che non fa altro che rendere ciechi.
Perché nella maggior parte dei casi, la ragione di questa cecità sta nelle nostre fragilità, nelle nostre insicurezze, nella bassa autostima.
Si è più focalizzate sull’andare bene all’altro, piuttosto che sul chiedersi quanto l’altro vada bene a noi stesse.
Si è più concentrate a tessere una storia che celi le nostre paure, piuttosto che usare lo strumento più potente che abbiamo: la sincerità.
Quello che accade con una frequenza disarmante, soprattutto durante le prime uscite, è che ci si auto-censuri per non apparire troppo… troppo sensibili, troppo assillanti, troppo socievoli, troppo razionali, troppo intelligenti, troppo avventate, ecc..
Ma è proprio questo l’errore originario: non esprimersi con libertà e sincerità, non comunicare fin da subito le proprie esigenze e le proprie aspettative.
La verità è la prima prova per comprendere qual è lo stile di attaccamento adottato dal nostro partner o futuro tale.
Ed è un buon modo di capire anche noi stesse.
Esprimere le proprie aspettative con franchezza, senza nascondersi dietro bugie o false verità, e senza farlo in modo accusatorio, è un atteggiamento molto sicuro che, tendenzialmente, appartiene difficilmente a chi ha uno stile di attaccamento ansioso o sfuggente.
Semplificando al massimo, se la reazione alla libera espressione di noi stesse sarà l’ascolto, la comprensione e l’accoglienza, saremo davanti a un uomo con uno stile di attaccamento sicuro.
Se la persona con cui stiamo uscendo ha uno stile ansioso, la nostra trasparenza lo rinfrancherà e si sentirà libero di poter creare un rapporto più intimo e aperto, trovando una via di fuga dalle sue titubanze.
Se, invece, il partner è un tipo sfuggente, la sincerità lo metterà in crisi, si sentirà a disagio e tenterà la fuga.
Avere questo quadro fin dalle prime battute è un buon modo di farsi strada.
Ecco, questo è solo un primo strumento da usare.
Lungo questo percorso ti aiuterò a capire come trovare la persona giusta, partendo dal tuo stile di attaccamento.
O come trovare un bilanciamento in una storia già in essere, capendo quando gli atteggiamenti del partner diventano non più tollerabili rispetto alla parte buona della relazione.
Si badi bene: dividere in categorie, così come ho fatto per questo prontuario di sopravvivenza amorosa, serve solamente per orientamento, per semplificazione. Non ci sono scatole in cui inserire se stessi o il proprio partner e sigillare ermeticamente, come non ci sono persone che meritano etichette indelebili.
Nelle categorie ho illustrato comportamenti tipicizzati, non caratteristiche personali. Queste simbologie di richiamo non servono a nulla se non c’è la consapevolezza del comportamento proprio e altrui.
Per creare fin dall’inizio una relazione equilibrata e soddisfacente (ma questo vale anche per le storie già consolidate), l’unico cambiamento capace di andare in una direzione sana è quello che parte da te.
E questo potrebbe avere l’effetto di produrre un cambiamento a catena nella coppia.
Partendo da una base chiara, fatta dall’analisi dei nostri comportamenti e da quelli del nostro partner, possiamo disegnare e seguire un cammino di libertà e di equilibrio.
In parole povere, dire addio alle sofferenze, ai sensi di colpa e agli autoinganni.
Gli stili di attaccamento in amore.
Quante parole sull’amore, quante sulla ricerca dell’anima gemella. Si trascorrono anni a raccogliere informazioni su come muoversi e orientarsi nel mondo dei sentimenti e, nonostante tutto, paradossalmente, la maggior parte di noi arriva impreparata alla relazione o si accorge di non avere gli strumenti per gestirla con consapevolezza ed equilibrio.
Ogni stadio della nostra vita è puntellato da un adagio che, nostro malgrado, ci accompagna per tutta la vita.
Anche se ormai del tutto anacronistiche, chi non ha dovuto ascoltare locuzioni come “cerca il principe azzurro”, “l’anima gemella esiste”, “c’è la nostra metà nel mondo che ci aspetta”, “se lo desideri, l’universo ti ascolta”, “Cupido ha l’occhio lungo”?
Una piccola sentenza che ci è stata ripetuta da familiari e amici, che si instilla nei nostri pensieri e ci accompagna nella crescita, durante la formazione del nostro carattere, proprio mentre si definisce e mette a punto la cassetta degli attrezzi che ci permetterà di muoverci nel mondo.
Poche parole che, come dei bisturi, racchiudono considerazioni ed esperienze di generazioni di amanti, prima di noi. Impossibile opporsi.
A queste visioni fiabesche e romantiche, seguono le indicazioni più pragmatiche, dettate dalle esperienze di vita, ma che suonano anch’esse come delle ricette poco efficaci, certamente disequilibrate per almeno una delle parti: “ci vuole senso di sacrificio per stare in coppia”, “l’empatia è una dote femminile”, “dare è meglio che ricevere”, “comprendere significa giustificare e perdonare”, “essere monogami non è naturale, quindi il tradimento è da mettere in conto”, “il compromesso è la moneta da pagare per un quieto vivere della coppia”…
Ma se cercare l’unione sentimentale è tanto naturale, come può essere che le relazioni che conosciamo o che viviamo siano così spesso mosse da meccanismi instabili, innaturali, rugginosi?
Com’è possibile che la vita di coppia sia un continuare a provare, adattare, allenare, mettersi alla prova?
Quando, invece, il nostro desiderio è solo quello di trovare una forma non artefatta di amare l’altro. Di concedersi e affidarsi senza sovrastrutture.
Con le migliori delle intenzioni si va lontano, ma forse questo non basta.
A volte si deve necessariamente ricorrere alla scienza, che in questo caso ci offre davvero ciò che serve per orientarci in amore, un mondo variegato e fluido, spesso impossibile da comprendere, men che meno da governare.
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