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Due paroline in italiano

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Marta vive a Milano insieme a Sara, una sua cara amica, e lavora come baby-sitter presso la famiglia Berardo, che lei stessa definisce “dell’alta borghesia”. È appassionata di serie TV turche, in particolare Love Me Tender, che racconta le avventure amorose – e non – di Leyla e Kent, vicende lontane e opposte rispetto alla sua esistenza monotona e piatta. Per mettere da parte qualche soldo in più, e seguire le orme della sua eroina turca, Marta si finge insegnante di italiano con Derek, da poco arrivato in Italia. 

Ma si sa, le bugie hanno le gambe corte e quello che era nato come un semplice incontro lavorativo, ben presto si trasformerà in una situazione che Marta dovrà gestire senza essere scoperta. 

SORPRESINA

Lunedì 13 marzo, ore 16.00

Ho iniziato il mio turno con la morte nel cuore. Da circa due mesi lavoro a casa dei Berardo, un’agiata famiglia composta da cinque persone: madre, padre e tre figli. A me piace pensare che facciano parte dell’alta borghesia milanese, ma non so se sia davvero così… In ogni caso, è quello che dico ai miei amici quando mi chiedono cosa faccio: «Lavoro per l’alta borghesia milanese».

«Wow…» rispondono loro. «E quanto prendi a botta?» 

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La casa in cui passo almeno quattro ore al giorno è piena di mobili pregiati e quadri antichi, e questa cosa mi piace molto perché getta un velo di austerità sulla mia persona. Quando passeggio per le stanze, mi sento come la Madre Superiora di un collegio, che impone digiuni serali e organizza raccolte di erbe aromatiche. Il mio bersaglio preferito sarebbe Emilia, la figlia mezzana. A lei farei svuotare le latrine e spazzare via le foglie dal patio (una parola che ho sempre sognato usare), così magari impara a essere un po’ meno stronza e ad ascoltare di più gli adulti. Capirebbe che sono io la regina di casa e non lei. E se solo osa ribellarsi ai miei ordini, a letto senza cena e dieci giri di corsa per il patio.

Ecco la classifica dei Berardo in ordine di simpatia:

1. Clara, la figlia piccola di sette mesi;

2. Nicolas, il figlio di dieci anni;

3. Robi, il padre;

4. Giulia, la madre;

5. Emilia, la peggiore.

Ore 20.00

Sono tornata a casa stravolta, totalmente svuotata. Per fortuna, la mia coinquilina Sara mi ha gentilmente fatto trovare un kebab ancora caldo e una Coca-Cola. Mi avvento sul cibo e comincio a mangiare di gusto, mentre lei guarda la TV stravaccata sul divano. Dopo una ventina di minuti di totale silenzio, prende parola e mi lancia una bomba delle sue, di quelle che le piace sganciare di soppiatto, senza nessun tipo di preavviso. 

«Guarda che ti ho trovato un lavoretto. Una cosina poco impegnativa per arrotondare.»

A quel punto, sento l’intero kebab inchiodarsi in una zona imprecisata fra la gola e lo stomaco.

«Cosa?!» riesco a dire con un urletto strozzato.

«Ma sì, così la smetti di lamentarti perché non hai mai soldi» continua lei senza staccare lo sguardo dallo schermo. 

Detesto, e forse ammiro anche un po’, la sua capacità di comunicare una notizia del genere col tono di chi sta leggendo gli orari dell’autobus. A ogni modo, non ha tutti i torti: dopo essere stata licenziata dallo studio, ho trovato subito un ripiego dai Berardo, ma lo stipendio che mi danno non è sufficiente a coprire tutte le spese. E così sono costretta ad attingere ancora dalla liquidazione e a cercare di fare economia su qualunque cosa. Il risultato è che non posso avere lo stesso tenore di vita di prima e la cosa sta cominciando a diventare frustrante.

«E che lavoretto sarebbe?» chiedo timidamente, spazzandomi via qualche briciola dalla bocca. 

«C’è questo mio conoscente tedesco, Derek, che l’altro giorno cercava su un’app un’insegnante di italiano non troppo costosa» ha risposto Sara. «Non trovava nessuno di suo gusto e così gli ho proposto te.»

Sono abbastanza sconcertata, ma cerco comunque di mantenere la calma.

«Tu sai che io non ho nessun tipo di competenza per insegnare italiano, vero?!»

«Sì, vabbè, ma hai una zia che vive a Monaco e hai fatto Lingue» replica lei impassibile. «Il tuo profilo è perfetto.»

«Certo, se mi fossi laureata e se non avessi parlato sempre in italiano con zia Maria» commento io ancora interdetta.

«Ma qualcosa ti ricorderai dei tuoi anni all’università, no?»

«Ho dato solo due esami, non ti ricordi?! Non ho nessuna competenza per poter insegnare italiano, faccio una fatica bestia con i congiuntivi!»

«Senti, volevo solo aiutarti e ormai ti ho organizzato l’incontro» risponde lei distogliendo finalmente gli occhi dalla TV. «È una chiacchierata conoscitiva, tutto qui. Magari scopri che invece è alla tua portata.»

«O magari faccio la figura dell’imbecille, come al solito» ribatto io scuotendo la testa. 

«Be’, in quel caso almeno avrai conosciuto qualcuno e ti sarai bevuta un buon caffè… Non esci mai e non fai mai niente!»

Touché un’altra volta.

«E quando e dove dovremmo vederci con questo Derek?» chiedo mantenendo un tono polemico, prima di scolarmi tutta d’un fiato la Coca-Cola rimasta.

«Domani alle cinque al Caffè Next. È vicino casa sua.»

Mi prendo un secondo per fare mente locale: in effetti il martedì a quell’ora di solito sono libera, ma non mi sta bene che abbia deciso tutto lei, senza considerarmi.

«Almeno hai preso il suo numero di telefono in modo che possa contattarlo in caso di imprevisti?» la incalzo piazzandomi proprio davanti al televisore.

«Ma che telefono, è stata una cosa spontanea, improvvisata… come si faceva una volta.»

«No, aspetta,» puntualizzo schiarendomi la voce «una volta, quando?! C’è mai stata un’epoca in cui per lavoro non servisse il numero di telefono? Forse negli anni Venti!»

«Veramente il telefono è stato inventato a fine Ottocento, asinella. Menomale che non vai a insegnare storia, va’.»

Non do retta alla sua provocazione, sennò rischiamo di punzecchiarci a vita, quindi senza aggiungere altro sparecchio la tavola e mi chiudo in bagno. E comunque non sopporto quando Sara mi mette in questo tipo di situazioni: prende l’iniziativa senza neanche interpellarmi e poi, se io oso incazzarmi, mi dice che sono ingrata perché voleva solo darmi una mano. 

Dopo una doccia rapida e nervosissima, la saluto con un cenno veloce e vado in camera mia a sbollire. Sul letto, prendo lo smartphone e digito la parola “incazzata” su Google. È un participio passato declinato al femminile singolare, che funge da aggettivo e che può essere usato in svariati modi all’interno di una frase. 

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Elisabetta Elia
È nata in provincia di Milano e ha frequentato il corso di sceneggiatura presso la Scuola di Cinema Luchino Visconti. Dopo aver conseguito il diploma, lavora per alcuni anni come autrice televisiva, per poi trasferirsi in Spagna e dedicarsi esclusivamente alla scrittura. Due paroline in italiano è il suo romanzo d’esordio.
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