Due picchi, un destino. Ogni donna ha una storia, e Nelea le conosce tutte. È il filo che unisce vite diverse, raccontate con delicatezza e profondità: Lewa, che ha attraversato il mare per cercare speranza; Claudia, bloccata in un amore spento; Ornella, divisa tra doveri e passioni; Sara, artista enigmatica; Carolina, in fuga da un matrimonio tradito. E poi altre voci, come Sabrina, Valentina e Cecilia, ciascuna portatrice di scelte, dolori e sogni. Ma anche Nelea è combattuta, tra razionalità e istinto, simboleggiati dai due picchi che popolano i suoi pensieri: il blu, che invita a rischiare, e il verde, che richiama alla stabilità. Celebrando la forza e la complessità dell’universo femminile, il suo destino si intreccia con quello delle donne che incontra, in un viaggio emozionante tra amore, desiderio e scelte di vita.
Prologo. Il filo rosso
Penso spesso a quel filo rosso del destino. Le leggende popolari non mi hanno mai convinta, ma tutto ciò che riguarda l’Oriente ha sempre avuto ai miei occhi un fascino di verità e purezza.
Tuttavia, la tradizione orientale secondo cui un filo rosso immaginario sia legato ai mignoli della mano sinistra delle anime gemelle mi sconforta: possibile che il nostro destino sia già scritto fin dalla nascita? Oppure dipende dalle scelte che facciamo, che possono modificare anche i percorsi più scontati?
Ogni donna di questo romanzo mi ha lasciato qualcosa.
Se per alcune, forse, il destino era già scritto, per altre era il momento di sfidarlo.
Il mio, invece, non mi è chiaro: non ho ancora capito dove finisca il mio filo rosso, ma è davvero così importante?
Preferisco ascoltare il canto di uno dei due picchi che mi tamburellano i pensieri quando devo fare una scelta: quello verde mi vorrebbe sempre razionale, quello blu istintiva e audace.
Ho sempre scelto di agire senza essere legata a un filo, preferendo la libertà nelle mie decisioni.
Lewa
Sul letto c’erano due scelte: la prima opzione era un vestitino nero di lana a collo alto con manica lunga e gonnellina svolazzante; la seconda una camicia a scacchi scozzese con jeans aderenti. A terra uno stivaletto basso, adatto a entrambe le soluzioni.
La casa era vuota e, per una volta, ero riuscita a farmi una doccia senza essere disturbata dalla frase “Mamma ho fatto!” o senza dover mediare e gestire alcun litigio. Non avevo ricevuto agguati alle spalle da elfi di Babbo Natale, personaggi di Stranger Things o Ronaldo entusiasta dopo aver segnato un goal.
Il risultato? Uno smalto perfettamente in posa e senza sbavature.
Ho potuto scegliere le canzoni che desideravo ascoltare: non commerciali, non spagnole e non quelle del vincitore dell’ultima edizione del talent show del momento.
I ragazzi erano da mia sorella Carla, che aveva promesso loro due giorni di fuga nella sua casa di campagna, tra natura e ottimi manicaretti.
Mio marito Luca ne aveva approfittato per organizzarmi un’uscita a sorpresa: «Fatti ancora più bella, stasera andiamo in un posto che ti piacerà». Uno dei rari sabato sera da soli.
Guardavo le due scelte sul letto. Avrei dovuto concentrarmi su quella per la serata, ma il mio unico pensiero era che ciò che avrei scartato, l’avrei quasi sicuramente utilizzato in quel fatidico giovedì.
Poi Luca mi ha cinto i fianchi e mi ha dato un bacio sul collo, indicandomi il vestitino nero.
Non ci sarà nessun giovedì, ho pensato, e con questa decisione sotto braccio e Luca per mano ho spento la luce di casa e sono uscita.
La sorpresa è stata meravigliosa: Jimmy Sax suonava all’EuAuditorium. Non me l’aspettavo. Ho pensato a una cena romantica, qualche bevuta in giro per locali e una notte a folleggiare nudi in casa, invece la serata è iniziata accesa, spettacolare, diversa.
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Quando si sono spente le luci tutti attendevamo che l’artista comparisse sul palco, ma un unico faro ha illuminato il centro della sala: Jimmy si era seduto tra il pubblico di nascosto, ha estratto il sax dal mantello che lo copriva fino ai piedi e ha iniziato a suonare No Man No Cry, accompagnato dalla Symphonic Dance orchestra diretta da Vincenzo Sorrentino.
Due ore di calore e pura magia. Quando siamo usciti mi sentivo elettrizzata, avevo ancora voglia di divertirmi e di fare le ore piccole. Ci siamo fermati a bere qualcosa al Quanto Basta. L’alcol cominciava a farmi effetto.
Quando sono andata a sciacquarmi il viso, mi sono osservata allo specchio del bagno e ho visto una giovane me. Mi piacevo. Sono tornata al bancone a testa alta con passo sicuro, senza staccare gli occhi da quelli di Luca.
Mi ci sono avvicinata e gli ho sussurrato piano: «Stava aspettando me, professore?».
«Ero intento a osservare la tua gonnellina. Si alza piano quando cammini.»
«Si sta chiedendo cosa ci sia sotto?» La mia lingua gli stava solleticando l’orecchio.
«So cosa c’è sotto, ma non so quanto sia morbida.»
«Mi dia la sua mano.»
«Non posso, mia moglie sta arrivando.»
«Venga in bagno, solo pochi minuti.» Mi sono allontanata, girandomi appena mentre stavo per varcare la soglia. Poi sono sparita.
Luca si stava già alzando, guardandosi intorno. Aveva uno di quei sorrisi che mi fanno girare la testa dall’eccitazione. È entrato e ha girato la chiave dell’antibagno, quello dove di solito si lavano le mani sia gli uomini che le donne e che nessuno chiude.
Io ero girata di spalle e lo osservavo attraverso lo specchio con le mani appoggiate al lavandino e il sedere leggermente sollevato, quasi in punta di piedi. Mi muovevo lentamente con voglia, il mio corpo era un richiamo, gli diceva di prendermi.
Lui, però, aveva altri piani: si è avvicinato, mi ha coperto gli occhi con una mano e con l’altra è salito piano piano dal ginocchio all’interno della coscia. Mi ha sfiorata con un dito, un solo accenno, uno di quelli che fanno vibrare.
Mi ha scostato le mutandine di lato e ha cominciato ad accarezzarmi con sempre più trasporto, scendendo e assaggiandomi di tanto in tanto, per poi smettere d’improvviso quando sentiva che avrei goduto. Mi sono guardata allo specchio mentre lo imploravo di non fermarsi.
Poi la maniglia si è abbassata due o tre volte.
Ci siamo ricomposti velocemente, con calma ho girato la chiave e, mentre un ragazzo imbarazzato s’infilava erroneamente dentro al bagno delle donne, Luca mi ha sorriso e mi ha detto piano: «Stasera tu vieni a casa con me e mia moglie».
Così è stato: abbiamo fatto l’amore un po’ ovunque in casa, fantasticando sulla presenza di una sconosciuta insieme a noi. La domenica mattina ricordavo solo metà serata; il resto me lo sono dovuto far raccontare.
La giornata è volata tra fiumi di acqua e medicinali per il mal di testa.
La sera mi sono resa conto che mancassero quattro giorni al giovedì e io ancora non avevo preso una decisione, ma in quelle condizioni, stanca e con la nausea da postumi, proprio non ne avevo voglia e mi stavo convincendo di non andare.
Il telefono ha squillato. Era mio figlio Martino che, con voce pimpante ed entusiasta, mi ha spiegato la ricetta dei muffin al cioccolato e frutti di bosco che aveva preparato con la zia. Ho capito solo la parola bosco.
Nel mentre stavo riflettendo sul fatto che io e Luca avremmo dovuto ritagliarci più tempo per noi e che nei giorni seguenti avrei dovuto ricercare una babysitter da chiamare più di una sera al mese. L’unica che abbiamo avuto è stata nel periodo in cui Luca aveva aperto la gelateria all’Isola dei Moli: Rebecca e Chiara avevano tre anni, Martino pochi mesi.
Avevo pubblicato un annuncio di ricerca su un sito apposito: tata qualcosa. Avevamo bisogno di una persona che potesse partire e alloggiare con noi per tutta l’estate e che mi aiutasse con i bambini. In cambio avremmo offerto vitto, alloggio e compenso mensile.
Francesca Mauro
Anteprima che esprime tutta la bellezza del libro…non vedo l’ora di leggerlo!! Bravissima l’autrice!!