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EL UAYEB – Un viaggio iniziatico per conoscere se stessi attraverso l’amore di Sole e Luna

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Maya e Runi, figli di Luna e Sole, al compimento del loro ventunesimo anno di età vengono inviati sulla Terra per un viaggio iniziatico che si svolge nei cinque giorni fuori dal tempo. Attraverso riti e cerimonie ancestrali, utilizzati ancora oggi dalle popolazioni indigene, i due giovani conosceranno meglio loro stessi e l’ambiente che li circonda, per esplorare le profondità dell’essere, risvegliare la parte sacra e rinascere abbandonando ciò che è di intralcio al loro compito. Tra i sentimenti, le virtù e le debolezze terrene, scopriranno anche l’amore, fino ad allora sconosciuto, ma fondamentale per completare l’evoluzione animica nella dualità maschile-femminile.

PROLOGO

“Se vuoi cambiare il mondo, prendi la tua penna e scrivi.”

Martin Lutero

In un giorno lontano, perso nell’aurora dei tempi, quando la materia regnava nell’immensità del vuoto e il tempo e la vita non appartenevano ancora a questo mondo, il Creatore, stanco dell’oscurità che dominava su tutto, disse: «Sia fatta la luce sopra la Terra e gli astri. E siano il Sole e la Luna a governare la luce durante il giorno e la notte».

Così, Sole e Luna sorsero simultaneamente per dissipare le tenebre e un giorno, allo stesso modo, quasi contemporaneamente, ebbero dei figli.

Una bimba meravigliosa sorse dalla Luna e un bambino sempre sorridente nacque dal Sole.

Questa storia è il racconto delle loro avventure, della nascita del loro amore attraverso il risveglio della spiritualità, perché lo Spirito è Amore e Amore è Spirito. Ma è anche il racconto della prima eclissi mai avvenuta e la descrizione di un viaggio. Un viaggio molto speciale, un viaggio magico.

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LA PARTENZA

“Non si può toccare l’alba se non si sono percorsi i sentieri della notte.”

Khalil Gibran

La pelle di Maya, luminosa e diafana, sembrava emanare luce. La figlia della Luna aveva lunghi capelli argentati che le carezzavano la schiena come schizzi d’acqua fresca; gli occhi, di un verde quasi trasparente, brillavano come diamanti e le labbra rosse dai contorni perfetti erano petali mossi da un vento profumato. Il corpo piccolo era perfettamente proporzionato: giovani seni rotondi e turgidi, vita sottile e fianchi da donna che aprivano la strada a gambe lunghe e dritte, con caviglie affusolate e piedi minuti.

Maya sembrava uscita dalla tela di un pittore intento a raccontare storie di ninfe che si muovono con disinvoltura, nuotando fra pesci di mille forme e colori o ballando felici sulle rive dei corsi d’acqua di cui la Luna abbondava.

Le piaceva muoversi libera, saltare, piroettare lanciando in aria le braccia e la testa, accompagnandosi con melodie improvvisate che a volte cantava a voce alta e a volte lasciava risuonare all’interno, ascoltando nella sua testa una musica che non esisteva per nessun altro. Poi un giorno, quasi per gioco, provò a ballare nell’acqua, ripetendo quegli stessi movimenti che effettuava sulla terraferma e che, stando immersa nel liquido azzurro, venivano ancora meglio. L’acqua, infatti, si faceva carico di un po’ del suo peso e la faceva sentire leggera come una piuma, permettendole di muoversi senza ostacoli, senza interruzioni, avvitandosi su se stessa e contorcendosi. Grazie alla padronanza del proprio corpo, la sua abilità nel nuoto e la capacità di orientamento, riusciva a creare in acqua magiche figure acrobatiche.

Maya trascorreva così gran parte del suo tempo, giocando fra le onde e gli schizzi, oppure passeggiando sulla riva, dove raccoglieva conchiglie colorate e pietre dai bordi ormai lisci e levigati che nascondeva dentro un sacchettino di stoffa viola. Poi si sedeva in cima a un grande scoglio e cominciava a tirar fuori i suoi tesori uno a uno. Con uno strumento appuntito che aveva trovato in mezzo alle pietre praticava dei piccoli fori nelle conchiglie, poi prendeva un filo ricavato dalle piante acquatiche e cominciava a farvi cadere dentro, una dopo l’altra, le conchiglie, alternandole fino a formare delle graziose collane o dei braccialetti che indossava civettando da sola o con le piccole sirene che ogni tanto venivano a trovarla sullo scoglio. A Maya piaceva regalare anche a loro le sue creazioni, finché queste se ne andavano via felici e sorridenti, tuffandosi rapidamente nell’acqua per mostrare alle sorelle il loro nuovo tesoro.

Maya era felice nel suo mondo, un universo tutto al femminile in cui le creature che la circondavano avevano le sue stesse forme: donne dai capelli lunghi, di colori diversi, che scendevano su colli delicati e spalle piccole; seni al vento sui ventri piatti e braccia sottili con mani lunghe e affusolate. Certo, le sirene avevano grosse code di pesce al posto delle gambe, ma questa era una differenza necessaria perché loro vivevano tutto il tempo nell’acqua mentre lei, a un certo punto, doveva correre a casa da sua Madre che l’aspettava per il racconto e il bacio della buonanotte, quindi gambe forti e piedi piccoli ma veloci risultavano indispensabili.

Ogni sera infatti, prima di addormentarsi, Madre Luna le raccontava qualche storia e lo faceva con tanta passione e trasporto, immedesimandosi e partecipando nelle avventure dei protagonisti a tal punto che Maya si chiedeva se non lo facesse solo per piacere personale. Qualunque fosse la risposta, le storie che le raccontava in quel rituale di tutta una vita erano comunque sempre interessantissime, ricche di informazioni e cariche di insegnamenti, perché parlavano di gente e culture diverse, delle abitudini di persone che popolavano pianeti lontani e vivevano spesso in strani gruppi chiamati “famiglie”.

Maya ascoltava quei racconti con attenzione e spesso si addormentava sognando queste persone straniere: sapeva che la forma dei loro corpi era simile alla sua, ma chissà qual era il colore della loro pelle. Pensava a cosa mangiavano, a come passavano il tempo e si chiedeva come fossero davvero i padri, quelle figure che in molte specie erano considerate fondamentali per la creazione dei figli, nati dall’unione amorosa fra un uomo e una donna. Ma cosa significava esattamente tutto questo? Perché né lei né sua Madre ne avevano uno? Com’erano state create, allora? E c’era forse qualcun altro, in tutto l’universo, che come loro era nato senza avere due genitori?

Era incuriosita da questi mondi sconosciuti e particolarmente attratta da quei sentimenti così belli e potenti che riempivano pagine e pagine di versi, ma che lei probabilmente non avrebbe mai potuto provare.

 

Runi, il figlio del Sole, racchiudeva in sé una bellezza mai vista in un ragazzo. La sua pelle nera come la cenere vulcanica era lucente e gli occhi, altrettanto scuri, erano profondi come l’immensità dello spazio. Una ricca cascata di riccioli stretti cadeva sul suo collo come gocce di miele dorato. Alto e robusto, spalle larghe e muscoli scolpiti che parevano voler uscire dalla carne, aveva un corpo agile e flessuoso. Portava una leggera barba anch’essa color dell’oro che, tutto intorno alla bocca carnosa, rendeva ancora più affascinante il suo bianco sorriso.

Se Maya era una creatura d’acqua, Runi invece era un vero figlio della terra, gli piaceva appoggiare i piedi ben piantati al suolo e sentire il calore forte che brucia la pelle.

2023-03-01

Aggiornamento

Buongiorno! Grazie a tutti voi la campagna di preordini del mio romanzo ha già superato il 50%, così ho pensato di ringraziarvi con un pensierino che arriverà direttamente nelle vostre caselle di posta elettronica. Assicuratevi solo di lasciarmi il vostro indirizzo scrivendo: "IO SONO CON TE" in un'email inviata a: unoceanoperculla@gmail.com A presto! E continuate a spargere la voce che... più siamo, meglio è! Grazie!

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Valentina Russo
è nata a Prato ed è laureata in DAMS. Dal 2003 pratica Psicogenealogia e Tarocchi terapeutici con gli Jodorowsky. Nel 2008 lascia New York e il Living Theatre per il Perù, dove vive dieci anni fra maestri come la curandera M. Apaza e lo scrittore H. H. Mamani. Attualmente insegna, canalizza Registri Akashici, fa la mamma, studia Tarotdramma e scrive libri per bambini. “El Uayeb” è il suo primo romanzo.
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