Bigmouth, ex proiezionista di cinema con l’ossessione per i B-movie e la musica elettronica, si troverà, suo malgrado, a diventare il partigiano di una grottesca guerra globale. Nelle buche, trincee improvvisate in una città non meglio identificata, tra alcol e tante sostanze psicotrope, incontrerà due strampalati compagni di viaggio: Kebab Machine Gun, virtuoso del Saz-mitragliatore, e Sylvester, maniaco terrorista ferroviario. In un viaggio sconclusionato per il mondo infiammato dal conflitto, dimezzato dalla cavalcata del Cavallo della Guerra, metteranno in scena una parodia del romanzo picaresco, costruendo un diario ridicolo del conflitto mondiale, tanto assurdo quanto grottesco.
Electronic Bloody Novel è una metafora dell’idiozia di tutte le guerre, resoconto delirante delle dipendenze tossiche, fisiche e psicologiche, ambientato in un mondo futuribile poco credibile, ma tanto verosimile allo sguardo di chi è succube dell’immagine, come in un vecchio B-movie in bianco e nero.
Perché ho scritto questo libro?
“EBN” nasce come sviluppo di un racconto che scrissi nel 2021. All’epoca immaginai una guerra globale, risultato della prima pandemia contemporanea, ben prima dello scoppio della guerre odierne. La tragica valenza profetica del racconto, mi ha spinto a riprenderlo e a ampliarlo in un romanzo. Ne è venuto fuori un viaggio paradossale tra l’estetica dei vecchi film sci-fi, il racconto distopico e tanta letteratura “off” americana. Ho tentato di scrivere un romanzo che mi sarebbe piaciuto leggere!
ANTEPRIMA NON EDITATA
Bigmouth vide il Cavallo della Guerra galoppare in sogno, ma pensò che fosse il frutto di quel montaggio alternato di cui aveva approfittato per troppi anni, nelle sue nottate in cabina di proiezione. C’era qualcosa di più concettuale, in quella sua corsa continua, senza cenni di fatica, che avrebbe dovuto farlo riflettere, ma le giunzioni in continuità lo avevano sempre messo in imbarazzo, per cui non capì subito la portata della faccenda, fino all’apparizione dei titoli di testa, almeno.
La notte la struttura fu issata, nel mezzo del deserto dei mai concepiti, tutto in grande velocità, come quando si costruiscono strutture destinate alla fine del mondo, o almeno abbastanza durature perché il sommario dia un punto di appiglio al consenso diffuso. Pareti senza finestre, intarsiate da decori antichi mai visti prima. Guglie di affilata perfezione, da far impallidire anche la più gotica delle cattedrali.
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Ballatoi abbastanza alti da non permettere la sopravvivenza del rimorso, architravi di raffinata eleganza classica, dai colori abbacinanti nella luce del Sole, testimone ancora una volta dei crimini più efferati, senza che questo gli impedisca di brillare di gioia atomica. Quando il tetto della torre più alta del palazzo fu chiuso, si stapparono bottiglie e tagliarono teste, anche delle maestranze più umili, per dovere di giustizia. Il suono della festa svegliò il Cavallo della Guerra che, quello stesso giorno, abbandonò il suo cavaliere al proprio destino. Dalla stalla del palazzo eretto dall’Architetto dell’Omicidio, lanciò la sua galoppata eterna, lasciando dietro di sé il sentiero della eterna polvere, con nitriti bestiali mai uditi da chi si era dimenticato tutto, se non quelle fotografie e spezzoni di vecchi film, dal sapore esotico.
Kebab Machine-Gun raccontò la storia di Uhor Orso, mentre beveva il suo tè. Bigmouth ascoltò estasiato le parole del compagno, nella buca che quella notte avevano scelto come riparo. Parole dolci, rimate in scala minore, come i versi di antiche preghiere, pronunciate con la metrica dei saggi, di quelli che “tu non avere mai sentito un suono così”, che avrebbero intenerito anche il più duro dei duri dei tempi d’oro del cinema. La mattinata era trascorsa relativamente tranquilla, già da un po’ non comparivano sulla scena i personaggi principali, chiaro segno di un certo lassismo da parte degli sceneggiatori del conflitto. La strage de The Humanoid Kraken non era stata una bazzecola, il cambio di strategia si era reso necessario a tutti i livelli, e questo, stranamente, aveva portato ad una sorta di tregua ben accetta ai benpensanti, che, com’è noto, non hanno mai capito una mazza in fatto di premonizioni paranoiche. Le onde Alpha di Bigmouth, invece, percepivano nettamente il controllo del suo benefattore straniero e sconosciuto, ma la presenza di Kebab Machine-Gun al suo fianco, lo rendeva più fiducioso sul prossimo taglio di montaggio e certo del risultato finale. Un buon film ha sempre bisogno di colpi di scena e vie di fuga inaspettate, anche prima dell’intervallo.
[…] Stava per addormentarsi quando videro la nuvola, stranamente in ritardo. Questo significava solo una cosa: dovevano aver camminato tanto in questi giorni di tregua, adesso la loro posizione era pericolosamente più a nord del previsto, forse sarebbe stata necessaria una giunta in opposizione di gelatina, magari anche in controcampo, per evitare il peggio.
Prima di chiudere gli occhi, poi, vide Lei armeggiare nella sua sacca. Estrasse una penna e si iniettò una dose de Il Modernista; gli fece un sorriso e disse: “Grazie!”. Quella notte non era il caso di chiudere occhio, nemmeno per individuare in sogno il prossimo obiettivo di Sylvester e godere del fiore di ferro e fuoco, no, quella notte non sarebbe stato proprio il caso di chiudere occhio. Vigile veglia della paura, quella che ha il sapore del sangue freddo, di chi sa che il sangue vero non è mai rosso come la vernice di Insignia Red.
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