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Emma Pagani – Benacum

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Quando i telefonini che hanno ripreso la morte del professor Marjanovic sembrano inchiodare due agenti di polizia – Christian Lombardi e Alberto Massari –, Emma Pagani ha la conferma di ciò che il suo sesto senso le suggeriva: l’incarico presso la nuova Procura non sarà privo di problemi. Quello che sembra un caso spinoso ma risolvibile nasconde però una trama oscura e misteriosa, difficile da sbrogliare. Stabilito grazie alle telecamere di sorveglianza che i due agenti sono innocenti, resta da scoprire l’identità del cadavere trovato in casa del professore. E perché è vestito da postino? Chi era davvero Marjanovic? Cosa nasconde questa placida città adagiata sulla sponda del lago?

MI DICA TUTTO, ISPETTORE

Ricordo nitidamente la strana sensazione, mista e contraddittoria, di tenerezza, compassione e, sì, me ne vergogno, di ilarità che mi davano quelle gambe a penzoloni che si muovevano alla ricerca del terreno sotto di loro. Raspavano di tanto in tanto l’asfalto quando il corpo riusciva a contorcersi ed estendersi tanto da colmare quello spazio così piccolo in misura ma così grande di fronte alla libertà che la distanza impediva di raggiungere.

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Gli anni avevano lavorato duramente sulla scorza del professor Luciano, che dimostrava ben più dei suoi sessant’anni, ma non ne avevano intaccato lo spirito, la vitalità e la voglia di esprimere i propri pensieri, senza condizioni.

Per questo, sollevarlo da un lato infilandogli il braccio destro, che da vecchio sportivo era ancora piuttosto allenato, sotto l’ascella sinistra e sentire l’osso scricchiolare anche se protetto da strati di vestiti mi faceva temere per la sua salute e anche per le conseguenze sulla mia professione.

Mig, così è soprannominato il collega di pattuglia con il quale condivido ormai ogni pensiero ed esperienza – che deve il nomignolo alla passione per il volo –, non era altrettanto preoccupato. Non perché privo di empatia, ma semplicemente perché era troppo impegnato a combattere con la mole da portarsi dietro, forgiata dagli anni di alimentazione sregolata e dallo sforzo di mantenere sollevato e staccato da terra il professore, eseguendo la maggior parte della fatica.

È visibilmente più basso di me e lo sosteneva, tra l’altro, con il braccio sinistro normalmente usato, al massimo, per sollevare la singola patatina unta trasferendola dalla scatola rossa del McDonald’s, sempre maxi per non sbagliare, alla bocca, dopo una raccolta abbondante di maionese o ketchup, alternativamente.

Smash, l’altro componente del trio, ex collega e anima di importanti indagini risolte, si è trasferito in Inghilterra per seguire alcune questioni legate alla famiglia del padre. Tennista di classe ma dai risultati sportivi inferiori alle sue capacità, è particolarmente orgoglioso di essere un omonimo, almeno per il cognome, del suo idolo giovanile, Jimmy Connors.

Avevamo provato a convincere con le buone il professor Marjanovic – padre serbo sparito nel nulla a cui doveva il cognome, madre napoletana a cui doveva il nome –a seguirci senza dover arrivare a usare la forza.

«Dai, ’Ciano, si tratta di una visita. È solo un dottore. Ci parli, lo metti tranquillo così smette di assillarti, lo saluti e te ne vai» gli avevo detto. «Ci conosciamo da tanti anni ormai, non pensare che ti voglia fregare, lo so che ti senti un prigioniero, ma io ho quest’ordine, non posso far finta di niente. Una visita, è solo una visita e poi te ne vai.»

Alle mie parole Luciano aveva smesso di fissare la punta delle proprie scarpe attraverso le spesse lenti incastonate nella montatura rotonda, pulite al centro dagli stanchi polpastrelli che togliendo la polvere avevano lasciato quella sottile patina oleosa che ne contraddistingueva ormai la fisionomia.

I suoi occhi si erano girati piano piano verso di me e la sua testa china ne aveva seguito il percorso per fermarsi solo quando le pupille avevano collimato con le mie. Le parole, si sa, sono armi, ma lo sguardo qualche volta dice cose mai scritte, comunica cose mai dette. Mi sentii nudo, dentro.

Gli occhi, che un tempo erano stati di un azzurro intenso ed erano ora inquinati da un sottile velo biancastro, fissandomi da sopra gli occhiali mi erano entrati nell’anima e ci erano restati, anche se avevo distolto lo sguardo al primo brivido, quasi subito.

Si può leggere il pensiero di una persona attraverso i suoi occhi? Sì, ne avevo la prova. Non lo so, ma ciò che lessi lì dentro non mi piacque.

Pensavo di essere furbo e lo avevo trattato dal malato di mente che credevo fosse.

Aveva chinato di nuovo la testa a fissare le scarpe e aveva preso un lungo respiro, poi con la voce roca che si confondeva con il rumore di fondo della strada e delle macchine e con le voci dei curiosi ma non ne veniva mai sopraffatta disse, ridendo sommessamente: «Vedi, Christian, gli occulti non si manifestano mai apertamente. Non ne senti la voce perché non si devono sentire, non li vedi perché non si devono vedere. Quello che vedrai sempre o sentirai sempre saranno i pedoni. I re rimangono nell’ombra, protetti. I re controllano e sacrificano i pedoni, poi le torri, i cavalli e così via. Tu cosa sei, Christian? Sei un pedone? O sei un cavallo? Di certo non sei un re!».

Rimasi in silenzio.

Ancora una conferma. L’uomo che avevo conosciuto ricco di conoscenza e sapienza era andato per sempre, il corpo si era piegato agli anni e anche la mente aveva ceduto ai fantasmi. La senilità è un vecchio amico che conosci da sempre. Non ci avevi mai parlato ma sapevi che sarebbe arrivato prima o poi, e per questo era di casa. Ma quell’amico di tutti alle volte si diverte a fottere qualcuno a caso entrandogli nella testa e trasformandosi poi in un terribile nemico.

«Su, Christian! Lo sai bene che sei solo un pedone. Ed è per questo che sei qui. L’occulto ha paura di quello che io so. E ho commesso l’errore di parlare. E il potere non si manifesta mai apertamente.»

«Che cosa sai?» gli chiesi, più per tenerlo tranquillo che per reale interesse.

Ormai avevo fatto decine e decine di trasporti verso il reparto psichiatrico e conoscevo, pensavo, il modo per tenerli quieti. Lavorare nella polizia cittadina mi aveva permesso di conoscere le mille sfaccettature della vita sociale, immerso nel territorio. Il trasporto per il Trattamento Sanitario Obbligatorio è una delle nostre tante incombenze. Riuscivo spesso a entrare in empatia con i malati da scortare. Li ascoltavo, assecondando i loro deliri mentre li accompagnavo, li consegnavo alla struttura e chi si è visto si è visto. Andiamo a berci un caffè.

Qualche volta avevo rischiato, e di brutto. In fondo, la mente è perversa e se sei anche matto può diventare diabolica. E una coltellata da un malato di mente fa doppiamente male: fisicamente, perché restarci è un attimo, e moralmente, perché è incapace di intendere e volere e non risponderà mai di quanto commesso. Siamo lì proprio per quello. Rischi del mestiere.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

Commenti

  1. Serena Ciaghi

    (proprietario verificato)

    Un libro avvincente, dai risvolti psicologici sorprendenti, un continuo sali e scendi di emozioni, un finale mozzafiato…un mix vincente tra situazioni e personaggi mai banali…in attesa del secondo imperdibile sequel…

  2. Un viaggio emozionante nel buio dell’anima umana e nei meandri esoterici di una setta. Svelati dalla Procuratrice Emma Pagani, bella e innamorata. 400n pagine di puro thriller con un finale esplosivo e inaspettato.

  3. Elsa Deimichei

    (proprietario verificato)

    Un libro avvincente. La prosa è accattivante, ben scritta, dal ritmo incalzante. L’autore sa dosare correttamente gli elementi della narrativa che danno suspence, non è mai scontato. Sicuramente vale la pena di comprare il libro e leggerlo, rimango in attesa del libro editato e auguro a Walter Bobicchio di avere il successo che si merita in quanto ha saputo trasporre la propria esperienza personale e vena creativa in un’opera adatta anche ai lettori più esigenti.

  4. (proprietario verificato)

    Stupendo. Mai scontato, avvincente e imprevedibile. Letto tutto d’un fiato. Aspetto il sequel. Consiglio a tutti.

  5. (proprietario verificato)

    Proprio quello che cercavo in un libro, entusiasmante e avvincente, l’ho letto tutto d’un fiato, non vedo l’ora che esca il secondo. Complimenti all’autore.

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Walter Bobicchio
fedele al suo segno d’acqua, si è diviso fra quella salata della sua Trieste, dove è nato nel 1965, e quella dolce del suo Garda. Vagabondo del basket, ha messo radici nell’ultimo parquet calcato, per poi diventare definitivamente adulto nella Polizia locale, esperienza lavorativa che ha dato vita a un sogno rimasto prigioniero di un cassetto per anni, evaso ora sotto il nome di Emma Pagani.
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